Perché essere rifiutati fa così male

Psicologia - Il rifiuto – in amore, nell’amicizia, sul lavoro – è difficile da superare per ragioni legate all’evoluzione. Capire i meccanismi della nostra mente aiuta a non lasciarsi prendere dallo sconforto, come spiega il professor Mark Leary
/ 13.06.2022
di Stefania Prandi

Essere rifiutati è doloroso e provoca conseguenze negative: aumenta l’aggressività; favorisce comportamenti autodistruttivi; diminuisce l’autostima; fa perdere fiducia nel futuro. Diversi studi, negli ultimi anni, hanno analizzato le cause che rendono il rifiuto – in amore, nell’amicizia, sul lavoro – difficile da superare. Alla base sembrano esserci ragioni evolutive, apprese dagli esseri umani nel corso dei millenni. Capire i meccanismi della nostra mente può essere utile per non lasciarsi prendere dallo sconforto e non perdere nuove possibili occasioni, come suggerisce Mark Leary, professore di Psicologia e neuroscienze alla Duke University, negli Stati Uniti, tra gli esperti del tema.

Mark Leary, perché essere respinti è così doloroso?
Perché alla base ci sono ragioni evolutive. I nostri antenati non sarebbero sopravvissuti senza fare parte di un gruppo sociale solidale. Era impensabile vivere da soli nelle pianure dell’Africa. Nel corso del tempo, gli individui più motivati ​​a essere apprezzati e benvoluti dai membri del gruppo sono sopravvissuti e si sono riprodotti a un ritmo più elevato rispetto a quelli a cui importava meno del giudizio altrui. Di conseguenza, i geni associati all’accettazione e al senso di appartenenza sono stati trasmessi più velocemente, influenzando il cervello umano per motivarlo ​​a cercare connessioni con gli altri. Le emozioni negative che sperimentiamo quando veniamo respinti esistono per aiutarci nel lungo periodo, anche se nel momento in cui le proviamo sono angoscianti. Dato che il rifiuto è particolarmente doloroso, siamo spinti ​​a comportarci in modo da evitare di stare male, aumentando così la probabilità di essere accettati.

A tutti capita di venire rifiutati?
Sì, fa parte della vita di tutti i giorni. Naturalmente, non tutte le situazioni sono paragonabili: i grandi rifiuti come venire respinti in amore, licenziati da un lavoro oppure emarginati da un gruppo accadono solo occasionalmente. Nonostante le differenze di intensità, il meccanismo è lo stesso: ci sentiamo respinti quando ci rendiamo conto che gli altri non ricambiano l’apprezzamento che abbiamo per loro oppure non condividono la nostra stessa intensità nella relazione. Ogni volta che percepiamo il nostro «valore relazionale» in maniera inferiore a quello che vorremmo, ci sentiamo rifiutati. La vita di tutti i giorni è piena di situazioni in cui crediamo che il nostro «valore relazionale» sia inaccettabilmente basso: non veniamo inclusi nei piani degli altri; qualcuno non risponde a una nostra telefonata; c’è chi non sembra interessato mentre parliamo; ci sentiamo ignorati. In questi casi tendiamo a sentirci feriti. Accade di provare lo stesso malessere anche con chi ci ama e ci apprezza se, in una situazione particolare, sembra non dare valore al rapporto che ha con noi.

Anche il rifiuto delle persone che non conosciamo bene ci dà fastidio. Perché?
Nel corso dell’evoluzione umana, i nostri antenati vivevano in piccoli clan formati da trenta o cinquanta persone e in quell’ambiente era importante essere accettati praticamente da tutti. Quindi, il nostro cervello si è evoluto per evitare il rifiuto della maggior parte delle persone con cui interagiamo. Non abbiamo un filtro automatico che ci permetta di selezionare l’importanza di essere accettati da una persona e non da un’altra, che magari non conta molto per noi. Il nostro cervello risponde in modo simile con tutti.

E allora come possiamo cercare di gestire al meglio i rifiuti?
Se ci rendiamo conto che la reazione di una certa persona non ha importanza per noi, possiamo cercare di ignorare consapevolmente le nostre risposte automatiche. Dobbiamo provare a essere più razionali, per riuscire a valutare quanto effettivamente valga per noi un particolare rifiuto. In generale, è molto difficile determinare quanto siamo apprezzati e accettati perché gli altri, di solito, non ci forniscono un riscontro sociale esplicito. Inoltre, i segnali che utilizziamo per dedurre ciò che le persone pensano di noi sono spesso ambigui. A peggiorare le cose, secondo le ricerche, il fatto che tendiamo a sottovalutarci, interpretando, ad esempio, un feedback sociale relativamente neutro caricandolo di significati che non ha. Dato che spesso non sappiamo esattamente come ci vedono dall’esterno, un passo importante può essere quello di esaminare i segnali il più oggettivamente possibile, cercando di non caricarli di negatività. E senza addossarci la responsabilità o prenderla troppo sul personale.

C’è un modo per liberarci dalla paura dei rifiuti e riuscire a vivere più liberamente?
La verità è che non vogliamo smettere di avere paura del rifiuto. Le nostre resistenze rispetto al fatto di non venire accettati sono estremamente importanti per il nostro benessere perché motivano comportamenti che rafforzano e proteggono le nostre connessioni con le altre persone. Se non ci preoccupassimo del rifiuto avremmo grandi difficoltà a fare amicizia, creare una relazione d’amore, trovare un lavoro e tenerci lontani dai guai perché non prenderemmo in considerazione le reazioni di rigetto a comportamenti inappropriati. Sebbene il rifiuto sia doloroso, la paura di quei sentimenti negativi ci aiuta a evitare di danneggiare le nostre relazioni sociali proprio come il timore del dolore fisico ci aiuta a evitare di farci male – pensiamo al fuoco: sapere che scotta ci distoglie dalla voglia di toccarlo. Detto questo, spesso siamo più preoccupati del rifiuto di quanto dovremmo esserlo, diventando ansiosi e arrivando a comportarci in modi poco efficaci. L’obiettivo, quindi, dovrebbe essere di avere la giusta quantità di preoccupazione: abbastanza per proteggere le nostre relazioni e il benessere sociale, ma non tale da essere inutilmente angosciati e socialmente inibiti, nel tentativo inutile di essere accettati sempre e comunque.

Nota
L’intervista è stata tradotta e in alcuni passaggi adattata dalla giornalista.