Eglantine Jamet, formata in sociologia, è stata per molti anni ricercatrice all’Università Paris Nanterre su questioni di genere, studiando l’accesso femminile alle sfere del potere. Poi ha sentito una frustrazione: studiare, va bene, ma lei voleva generare un cambiamento concreto. Come fare in modo che i risultati delle statistiche su donne e lavoro siano diversi tra uno, due, dieci anni?
E così, insieme a Sigolène Chavane, una collega attiva nel mondo imprenditoriale, Eglantine Jamet ha fondato Artemia, un’agenzia con sede a Neuchâtel dedicata alle assunzioni di personale dirigente, manageriale e specialistico. «Cerchiamo di trovare una soluzione pratica al problema che meno donne occupano posti nei quadri alti», spiega la direttrice Jamet. «Si dice che è così perché le donne hanno meno desiderio di fare carriera, perché privilegiano la famiglia, perché scelgono formazioni diverse e molte altre scuse. Il fatto però è che il problema non riguarda solo le donne o la parità in sé. È un problema che tocca prima di tutto le aziende perché per il mondo imprenditoriale è un fallimento sapere che metà dei talenti nel nostro paese è meno accessibile. Anche per il mondo scientifico, medico, tecnologico e così via è un insuccesso ammettere che metà dei diplomati nel nostro paese non userà le proprie risorse al meglio. Senza contare che in Svizzera viviamo da decenni una penuria di personale altamente qualificato: se non riusciamo a fare avanzare le donne formate, se non usiamo le loro competenze, a livello economico è un disastro. Un team misto è vantaggioso per l’organizzazione, la creatività e una corretta rappresentazione dei clienti di un’azienda. Quando si è capito questo, bisogna però ancora imparare come si fa, perché non si tratta di assumere più donne: si tratta di trasformare la cultura dell’impresa a lungo termine e in profondità».
Eglantine Jamet ricorda come negli ambiti delle nuove tecnologie lavorino poche donne: «Ma è lì che si determina come si vivrà nel futuro; l’innovazione scientifica cambia la società ed è essenziale che a creare il mondo di domani sia uno staff con i cittadini meglio preparati, composto da giovani e esperti, gente empatica e competitiva, uomini e donne». Jamet non crede in chi dice che le donne siano più performanti, più collaborative, più empatiche... crede anzi che queste dicerie costituiscano l’ennesima discriminazione che subiamo; sa però che i talenti femminili sono più difficili da scovare e da convincere ad accettare un posto dirigenziale. Per questo con Artemia ha sviluppato un metodo e un processo di ricerca che permette di trovarle «comunque».
Ma da dove derivano queste differenze di approccio? Perché le donne faticano tendenzialmente di più ad assumere ruoli chiave in politica, nella ricerca e in economia? Le donne hanno sempre lavorato ma per secoli sono state private dei loro diritti. Nel Novecento sono stati fatti molti progressi verso l’eguaglianza a livello di leggi, di studi, di voto, di possibilità di lavorare e di aprire un proprio conto in banca. Viviamo però ancora in un sistema che porta a esacerbare le differenze esistenti tra uomini e donne. Il mercato a volte rema contro la parità in maniera subdola e soprattutto da una trentina d’anni è tornato a rafforzare le differenze. «Guardate per esempio i giocattoli», fa notare Eglantine Jamet. «Ci sono settori per le bambine e quelli per bambini... e non è perché maschi e femmine non possono andare su una bicicletta “del colore sbagliato”, ma perché questa distinzione permette di vendere il doppio. I Lego, che per decenni avevano parificato le bambine e i bambini nella gioia di costruire torri, città, navicelle spaziali, ecco che dagli anni Novanta si iniziano a differenziare anche loro: quelli per le bambine sono rosa, hanno meno pezzi e meno possibilità di incastri complessi; puntano sull’amicizia, la relazione, i saloni da tè, la cucina e i fiori. E la bellezza. Basta bambine che sviluppano curiosità verso il mondo della tecnica e dell’esplorazione, basta con quell’ideale del Lego di rendere i bambini tutti uguali. Da trent’anni ormai, complice la crisi economica, si sta tornando verso un mondo femminile pieno di empatia e un mondo maschile intriso di competizione. Quando invece a tutti servirebbero entrambe le competenze, per essere buoni padri e buone madri, ma soprattutto per essere persone realizzate».
L’uguaglianza è tutta ancora lì da costruire, a partire da come si trattano inconsapevolmente i bebè (lo stesso pianto viene interpretato come «paura» nelle bambine e come «rabbia» nei bambini) fino a come si giudica il modo di porsi di un capo donna o uomo. È una questione sistemica, secondo le fondatrici di Artemia e bisogna lavorare su tutti i fronti, educativo, legislativo, politico. Commerciale. E imprenditoriale, come fa Artemia, che impiega oggi cinque persone nella sua sede di Neuchâtel ma che lavora in tutta la Svizzera. A contattarla sono aziende private o enti pubblici che hanno a cuore il problema. Chiedono di essere accompagnati nella ricerca del profilo giusto al fine di non operare discriminazioni e di ottenere la persona migliore per il posto vacante. «Bisogna spezzare un circolo vizioso: perché si tende a riprodurre il sistema conosciuto e così non se ne viene più fuori. Gli uomini per ora sono più presenti, quindi più visibili, quindi più comunicativi e sicuri di sé. Se si lancia un concorso e si guarda chi arriva, si troveranno più uomini. Se si cerca in modo superficiale, si trovano più uomini con esperienza direttiva e maggior numero di diplomi. Allora noi promuoviamo un metodo di ricerca più capillare. Poi, al momento dei colloqui, dobbiamo tenere conto dell’immagine che abbiamo interiorizzato della persona formata, competente, capace di leadership, che in generale è un maschio bianco tra i 40 e i 50 anni vestito da un completo elegante; se qualcuno non corrisponde a quel modello, per età, etnia, abbigliamento o sesso, beh, sarà giudicato inconsapevolmente in modo meno favorevole. Quasi nessuno discrimina coscientemente, perciò noi proponiamo di sviscerare i comportamenti inconsci». Il lavoro di Artemia è dunque di fare ricerca insieme, a caccia di talenti anche di genere femminile, prendendo in considerazione una più vasta gamma di competenze. Dopo la ricerca dei candidati, accompagna l’azienda o l’ente pubblico nei colloqui per garantire che il processo di scelta avvenga senza pregiudizi. «Funziona solo se il committente ci crede, se capisce che abbiamo lo stesso suo scopo: trovare la persona migliore, senza escludere nessun candidato in partenza», spiega Jamet.
«Le donne che incontriamo, cioè i talenti in ogni campo ad alto livello, per ora hanno bisogno di più tempo. Abbiamo osservato che gli uomini sono più ricettivi a una nuova proposta di lavoro; si buttano con maggiore facilità; sono più disposti a rischiare di rompere un equilibrio di vita per affrontare una nuova sfida. Le donne invece hanno in generale più paura di non essere all’altezza (e qui torniamo a motivi legati all’educazione) e in generale hanno più paura del cambiamento perché spesso se lo sono conquistato con più fatica, anche per questioni di gestione famigliare. E qui subentrano ragioni di ordine sociale: bisogna ricordare a tutti, genitori e non, datori di lavoro e non, che per fare un figlio ci vogliono due persone mentre l’impatto sulla carriera pesa quasi interamente su una sola delle due persone, spessissimo la mamma», deplora la direttrice di Artemia. Si lavora dunque sia sulle donne con alta formazione, sia su chi potrebbe impiegarle, sia a livello di sensibilizzazione della società. «A proposito di maternità, bisogna ricordare che assumere la persona giusta, cioè trovare il talento che si stava cercando, è la cosa più importante. Poi, se sarà assente per qualche mese di congedo maternità una, due o tre volte nella sua carriera, non importa. Il tasso di natalità è veramente basso in Svizzera (1,5 figli), quindi le conseguenze non sono grandi. Gli uomini solevano assentarsi per questioni militari e non è mai stato visto come un problema. Le donne che diventano madri acquisiscono moltissime competenze e la loro assenza è solo una questione di organizzazione. Dell’azienda e della famiglia. Anche il lavoro parziale dopo la maternità è quasi sempre possibile e offriamo consulenza pure su questo punto preciso e molto importante».
Già. Un altro ambito che preme su chi ha a cuore le questioni di genere è il tempo di lavoro: gli uomini si stanno piano piano accorgendo che possono anche loro diminuire la percentuale di impiego dopo essere diventati genitori. È giusto ed è bello. Questo riequilibra la ripartizione degli impegni professionali e familiari tra uomini e donne e li rende tutti più partecipi all’educazione dei figli, che sono il nostro avvenire.