«Per fare tutto ci vuole un fiore»: così dice una vecchia, ma sempre cara, filastrocca di Gianni Rodari, musicata da Sergio Endrigo, intitolata Ci vuole un fiore. Ha fatto riflettere intere generazioni di bambine e bambini (ma anche di adulti) che l’hanno recitata, cantata e amata, raccontando la consequenzialità che esiste in natura, tangibile nella vita di tutti i giorni. Una canzone che, in definitiva, parla di ambiente e di responsabilità.
In tal senso, se guardassimo oltre l’orizzonte spaziale proposto a un certo punto della canzone, cioè «il monte», se prendessimo in considerazione realtà estese come parchi nazionali, e se ancora volessimo forzare un po’ la catena proposta da Rodari, potremmo parafrasarne così il testo: per fare biodiversità, parola quanto mai attuale e nota anche ai profani, ci vuole geodiversità, parola nuova per i più, ma quanto mai nota a chi nei parchi si preoccupa, non solo della salvaguardia di quella che si chiama biosfera come fanno botanici, zoologi ed etologi, ma anche della litosfera, cioè del suolo, come fanno i geologi, che studiano, controllano e valorizzano tutti quegli aspetti che riguardano la geomorfologia, l’orografia e ancora prima, la storia (misurata in ere) che esprime il territorio.
Cento anni fa nascevano in Italia i primi parchi nazionali
In principio fu Yellowstone (1872): gli Stati Uniti furono, infatti, i primi a capire che per preservare l’integrità naturale di un luogo, e ciò che questo naturalmente ospita, occorre proteggerlo e regolamentare la sua antropizzazione.
Il primo parco europeo risale a qualche decennio dopo, 1909, Parco Nazionale Sarek nella Lapponia Svedese, poi fu il turno della Francia nel 1913 (Parc National des Écrins) e l’anno seguente, 1914, toccò al nostro Parc Naziunal Svizzer: 170 kmq che si estendono in Engadina.
Il primo parco nazionale italiano è del dicembre del 1922, quando 710,4 kmq di riserve reali dei Savoia in Val d’Aosta e in Piemonte, diedero origine al Parco Nazionale del Gran Paradiso.
Già dall’articolo 1 del regio decreto con cui Vittorio Emanuele III Re d’Italia istituisce il primo Parco Nazionale d’Italia, si identifica come obiettivo del Parco quello di «conservare la fauna e la flora e di preservare le speciali formazioni geologiche, nonché la bellezza del paesaggio». Si percepisce l’importanza che da sempre è stata data alla geodiversità, affiancandola alla biodiversità e al paesaggio.
Un mese dopo, nel gennaio 1923, al Gran Paradiso segue il Parco Nazionale D’Abruzzo (496,8 kmq), dal 1991 denominato Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.
Per celebrare il loro centenario, i due Parchi Nazionali Italiani hanno deciso di unirsi nei festeggiamenti e dare il via a un calendario di incontri e vere e proprie visite di delegazioni rappresentative, ma anche tecniche, dei due enti presso gli altri Parchi Nazionali Italiani. L’iniziativa promossa da Federparchi col nome Park to Park in primavera ha fatto tappa anche al Parco Nazionale delle Cinque Terre, ed è stata l’occasione per un proficuo scambio di reciproche buone pratiche ed esperienze.
Park to Park in Liguria
Il Parco Nazionale delle Cinque Terre con i suoi 38,68 kmq è uno dei più piccoli parchi nazionali Italiani, ma, sicuramente, uno dei più densamente abitati e frequentati. Si affaccia a picco su un’Area Marina Protetta insieme alla quale fa parte del famoso Santuario dei Cetacei. Per caratteristiche territoriali, economiche e sociali è già di per sé una vera e propria sfida di concertazione, che originariamente, nel 1999 (anno di fondazione) vedeva scontrarsi prima e collaborare poi, i vari soggetti istituzionali e civili coinvolti, oggi consapevoli che essere riconosciuti Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’Unesco significa impegnarsi per garantire elevati standard di tutela e valorizzazione del territorio del parco, percependo tali vincoli non come un limite ma come un’opportunità di crescita.
La tappa ligure di Park to Park si è celebrata con un’escursione sul Mesco, promontorio a ovest di Monterosso al Mare, dove presidenti, direttori, guardiaparco, manutentori e guide naturalistiche hanno potuto condividere vecchi e nuovi temi che riguardano anche i visitatori.
«Gestire un Parco, è un continuo equilibrio fra diversi aspetti che spesso il pubblico non prende in considerazione: tutelare e salvaguardare il territorio, la natura, è solo una parte…» così inizia a raccontare Patrizio Scarpellini, direttore del Parco Nazionale delle Cinque Terre, che continua: «…occorre anche valorizzare il Parco, proponendo ad esempio eventi sportivi, enogastronomici, culturali: esperienze che però rispettino l’ecosistema del Parco. Bisogna poi gestire i flussi dei visitatori, monitorandoli per evitare sovraffollamenti e per garantire la loro sicurezza: la manutenzione dei sentieri, dei muretti a secco, è fondamentale, tanto che abbiamo formato e riconosciuto professionalmente una squadra di una ventina di manutentori».
Geositi da valorizzare
A parlare della prossima sfida a cui ultimamente aspirano vari geositi in Italia (e anche nella nostra Regione Insubrica) è Emanuele Raso, il geologo del Parco: «Valorizzare il patrimonio geologico nelle sue diverse accezioni, significa studiare, salvaguardare e raccontare le differenze di suolo che troviamo nel territorio. Il Parco, infatti, si prepara a ricevere il riconoscimento che l’Unesco riserva ai Geoparchi». Lo stesso riconoscimento di cui si fregia da qualche anno il Geoparco della Breggia in Ticino.
Così può capitare che ripercorrendo gli stessi sentieri su cui il premio Nobel Eugenio Montale osservava e descriveva le sue Cinque Terre, si incontrino gabbri, serpentiniti, rocce magmatiche, argilliti, arenarie… Un viaggio nel tempo, che dal Giurassico, 200 milioni di anni fa, ci riporta sul fondo di Tetide, il grande oceano primordiale, i cui fondali oggi sono riconoscibili in cima a un promontorio, il Mesco, che separa Monterosso da Levanto.
Rodari ed Endrigo, probabilmente chiuderebbero così: per fare un geoparco ci vuole geodiversità.