Paure e speranze

Editoria - L’ambientalista Bill McKibben, nel libro Falter, lancia l’allarme sulla catastrofe imminente causata dai cambiamenti climatici
/ 16.12.2019
di Stefania Prandi

L’aumento generalizzato delle temperature, lo scioglimento dei ghiacciai, l’innalzamento del livello dei mari, l’acidificazione degli oceani, sarebbero tutti segnali inequivocabili della catastrofe imminente che porterà alla nostra estinzione. Ad essere precisi, non sta per arrivare, è già qui: «Ci siamo dentro fino al collo». E non sappiamo esattamente come evolverà la situazione perché è senza precedenti, a memoria umana. 

Non usa mezzi termini Bill McKibben, ambientalista, fondatore del movimento internazionale «350.org», autore di diversi saggi sul global warming – cinque anni fa ha vinto il Right Livelihood Prize, considerato il Nobel alternativo – nel suo ultimo libro Falter (Vacillare), edizioni Wildfire (in inglese). Le quasi trecento pagine dell’anatema contro l’inquinamento raccontano i disastri ecologici che funestano diverse aree del pianeta. 

Si va dalle «distese infernali» dei giacimenti di sabbie bituminose dell’Alberta, in Canada, all’aria grigia e irrespirabile di New Delhi, in India, «orrendo purgatorio», la capitale più inquinata del mondo, passando per «lo stadio terminale» della Grande barriera corallina in Australia e per la carenza di acqua, si teme strutturale, di metropoli come Cape Town, in Sudafrica.

Oltre a offrire un panorama accurato degli scenari più tragici che condizionano la quotidianità di milioni di persone, McKibben chiama in causa studi e rapporti sull’ambiente, e cita l’allarme sottoscritto nel 2017 da oltre 15mila studiosi di 184 Paesi «per il bene dell’umanità, perché si agisca prima di danni irreversibili». Sotto accusa, in particolare, le emissioni dei combustibili fossili, principali responsabili dello sfacelo attuale. 

«Quando si bruciano carburanti fossili, gli atomi di carbonio si combinano con gli atomi di ossigeno nell’aria e si produce biossido di carbonio, cioè anidride carbonica. La struttura molecolare del biossido di carbonio intrappola il calore che altrimenti verrebbe irradiato nello spazio. Abbiamo, in altre parole, cambiato l’equilibrio del nostro pianeta». È difficile intervenire: le multinazionali del petrolio e del carbone hanno molte più risorse e influenze degli ecologisti.

McKibben è diventato famoso per avere scritto, nel 1989, The End of Nature (Anchor), considerato uno dei primi libri sul cambiamento climatico per un pubblico non specialista. In Falter spiega: «Si parla pubblicamente dell’effetto serra da trent’anni, ma se ne era a conoscenza da prima. Semplicemente il problema era silenziato, veniva discusso soltanto tra gli specialisti». Con la sua amica Naomi Klein, attivista e autrice di uno dei più celebri bestseller della saggistica mondiale, No Logo, pubblicato nel 2000, ha lanciato lo sciopero globale dello scorso settembre. 

Seguendo l’onda dei Fridays For Future, le proteste degli studenti nate in risposta all’attivismo di Greta Thunberg, hanno invitato a uscire dai posti di lavoro e dalle case, chiedendo azioni contro la crisi climatica, «la più grave minaccia esistenziale che tutti noi ci troviamo ad affrontare». L’allarme è stato rilanciato pochi giorni fa, «sulla base di alcuni indici inequivocabili», da oltre 11mila scienziati da tutto il mondo. Studiosi e ricercatori hanno sottoscritto il rapporto «Avvertimento degli scienziati riguardo all’emergenza climatica», pubblicato sulla rivista «Bioscience» da William Ripple dell’Università dell’Oregon, Thomas Newsome dell’Università di Sydney e William Moomaw dell’Università Tufts.

Le previsioni apocalittiche non devono impedirci di provare a «correggere la traiettoria». Qualcuno pensa che sia già troppo tardi, ma di sicuro guardare senza fare nulla è già una sconfitta. Proprio nei mesi scorsi McKibben si è fatto arrestare durante una contestazione contro la «criminosa» politica migratoria di Trump. In una e-mail inviata alla rivista «Rolling Stone», l’attivista ha analizzato i legami tra l’immigrazione e la crisi climatica: «La colpa non è di chi parte e abbandona territori troppo aridi oppure allagati, dove è impossibile coltivare cibo. Il numero dei migranti aumenterà in maniera sconvolgente nel corso di questo secolo. Probabilmente dovremmo pensare a gestire il fenomeno invece di erigere muri e costruire gabbie».

Un altro modo per reagire è potenziare in maniera massiccia la diffusione delle energie rinnovabili, solare ed eolico in particolare, tecnologie ormai a basso costo. «Gli ultimi studi realizzati da laboratori come quelli di Mark Jacobson all’Università di Stanford dimostrano che ogni grande nazione, entro il 2030, potrebbe produrre l’80 per cento della sua energia usando fonti rinnovabili. Economicamente, sarebbe molto più vantaggioso che accollarsi i costi del cambiamento climatico». 

I numeri di Jacobson sono dettagliati: in Alabama, per esempio, ci sarebbero 59,7 chilometri quadrati di tetti disponibili (senza ombra e posizionati nella giusta direzione) per i pannelli solari. Ma serve altro: dobbiamo nutrirci in maniera più sostenibile, implementare il trasporto pubblico, aumentare la densità abitativa delle città, piantare alberi. 

Mettere al centro la salvaguardia dell’umanità significa, si legge in Falter, anche riconsiderare e regolare l’impiego dell’intelligenza artificiale e dell’ingegneria genetica. E si dovrebbe abbandonare l’idea di sfruttare al massimo la Terra cercando, nel frattempo, altri habitat su pianeti inospitali dove è un’utopia riuscire a vivere. Secondo uno studio del 2014 della National Academy of Sciences degli Stati Uniti, una missione su Marte comporterebbe rischi «inaccettabili» per la salute, dai danni al cuore e al cervello dovuti ai raggi cosmici durante il viaggio, alla difficoltà di ottenere cibo e medicine una volta arrivati e finite le scorte. 

Perché dovremmo rinunciare al nostro pianeta quando persino luoghi come il Sahara sono mille volte meglio di Marte o Giove? Resta a noi la scelta. Possiamo non fare nulla. Oppure possiamo agire, pensando che «siamo tutti sulla stessa barca», e impiegare per questa battaglia le migliori qualità umane, dalla solidarietà all’amore per il mondo, al coraggio.