Presentazione

Storie di questo mondo. Cinquant’anni di cooperanti e cooperazione sarà presentato il 12 settembre alle 17 al Centro Al Ciossetto di Sementina (iscrizione obbligatoria allo 058 854 12 10). www.comundo.org/50anni.


Partire è uno stato d’animo

Pubblicazioni – Per i suoi 50 anni l’Associazione Inter-Agire ha raccolto in un libro le esperienze dei suoi cooperanti dal 1970 a oggi. L’autrice, la giornalista Sara Rossi Guidicelli, ci racconta gli incontri e le emozioni che hanno reso possibile la stesura di Storie di questo mondo
/ 07.09.2020
di Sara Rossi Guidicelli

Partire. Da giovani o in età matura. Spinti da un senso di giustizia ma anche dalla voglia di conoscere se stessi in un altro luogo. La voglia di accorgersi che siamo tutti esseri umani e che la distanza da casa fa crescere nuove idee.

A oggi sono 160 i cooperanti che dalla Svizzera italiana sono partiti in cinquant’anni di storia di Inter-Agire: dal 1970, quando un prete, Padre Silvio, ha creato il solco di un’associazione che ancora oggi continua a distinguersi per il suo modo di dare sostegno ai paesi del Sud: senza inviare soldi né materiale, ma solo persone. Interscambio lo chiamano, perché sanno che quando si semina, si raccoglie, che quando si regala un pezzetto di sé, tutto il bene ricade sulle proprie spalle. La cooperazione secondo Inter-Agire (che fino agli anni Novanta si chiamava Solidarietà Terzo Mondo) non è fatta di carità ma di lavoro insieme. Esiste un disagio a volte: abitanti del Nord che si sentono più fortunati, troppo; e allora, a causa di quella sensazione forte di squilibrio, a qualcuno viene voglia di andare a portare qualche sua competenza a Sud. Lo scopo non è tanto fare né costruire, ma piuttosto sostenere i processi di autodeterminazione in atto presso le popolazioni più fragili che escono da lunghi periodi di colonizzazione. E così Padre Silvio creò l’associazione e iniziò questa bella storia di incontri per agire insieme.

Oggi Inter-Agire opera sotto il cappello di Comundo, insieme a due altre associazioni svizzere che lavorano con gli stessi principi. Un cooperante può farsi avanti e sarà valutato per le sue competenze lavorative, la sua motivazione e il suo approccio all’idea di un intervento di cooperazione. La formazione per chi intraprende un percorso dura un anno, durante il quale si imparano tecniche di comunicazione e di relazione, si riflette su se stessi nel gruppo e sul senso profondo della cooperazione. Ci si prepara, non si parte allo sbaraglio.

Inter-Agire/Comundo ha collaborazioni con sette paesi e 64 associazioni locali in cui ha fiducia. Solo quando scaturisce un bisogno preciso di una figura professionale si può pensare di iniziare un intervento. Per esempio, se sono un insegnante, un ingegnere o un videomaker e desidero partire per un’esperienza all’estero, devo aspettare che Comundo riceva una richiesta da un partner locale specifica per il mio profilo. Non si va a «rubare il posto di lavoro» a qualcun altro; non si va a «insegnare qualcosa che anche all’altro capo del mondo sanno benissimo»; si parte con umiltà e voglia di rimboccarsi le maniche insieme, con la «valigia possibilmente vuota», come mi hanno raccontato due ragazzi che stavano per partire, o meglio: piena di semi, da lanciare e da farsi germogliare dentro.

Il primo anno si osserva, il secondo si fa insieme e il terzo si cerca di trasmettere le competenze al gruppo o a qualcun altro; così da rendere indipendente l’associazione partner. Creare dipendenza da un aiuto esterno è il peggio che si possa fare.

Per i suoi cinquant’anni, Inter-Agire ha deciso di realizzare un libro: la loro storia raccontata dai protagonisti, chi è partito, chi ha accolto, chi ha permesso di partire. Mi hanno chiesto di raccogliere quelle storie; e così per sette mesi, Covid permettendo, ho ascoltato persone che 50, 40, 30, 20, 10 anni fa sono andate oltre oceano per lavorare. Per vivere, qualcuno mi ha detto. Per imparare a buttare l’orologio, per intessere amicizie profonde, per trovare una famiglia, per scoprire cosa significa abitare con un camaleonte come animale di compagnia che ti mangia le mosche; per affiancare i partigiani di una dittatura, per trovare l’amore e non tornare più, non per vivere e basta, che sarebbe poco, ma per convivere, su questa Terra, l’unica di cui disponiamo tutti noi. Così tanti, così diversi.

Gli ultimi che partivano li ho incontrati due giorni prima del grande giorno: scalpitavano. I primi, che hanno raggiunto l’Africa, l’America Latina e l’Asia negli anni Settanta, alcuni dei quali in nave, hanno ancora gli occhi accesi; non è un ricordo che mi raccontano: è uno stato d’animo che non ti lascia mai più.

Ho parlato anche con chi fa parte di un’associazione locale, ho chiesto: ma com’è avere un cooperante dalla Svizzera, a cosa serve? Vede il bosco, mi hanno detto. Guarda ciò che noi non vediamo più. Ci porta idee fresche, ci dà visibilità, ci protegge anche, perché a volte se siamo nascosti siamo in pericolo, ci aiuta a valorizzare qualcosa che possediamo già ma che non interessa il mondo, prima che qualcuno non arrivi e torni a casa sua a parlarne. Il ritorno, già. Il ritorno è difficile, non ci si abitua più a certe cose. Si resta sempre un po’ sospesi tra due mondi, con quella valigia lì pronta a volare via di nuovo, leggera. Si appartiene a due colori, a due modi diversi di vivere e di intendere. Ma per gli amici, per la famiglia, qualcuno che va e che torna a raccontare è una grande ricchezza: si viaggia stando fermi, si apre la testa, si fa giardinaggio, si strappano le erbacce dei pregiudizi, si lascia spazio ai fiori.

Idealisti, alcuni. Con la fede, altri. Solidali, tutti. Ma più che altro questi 160 cooperanti volontari sono un esercito del bene colmo di desiderio, colmo di un’esperienza di incontro con gente diversa, con realtà diverse, di un nuovo modo di pensare e di guardare il mondo, quello conosciuto e tutto il resto. Forse eccolo il modo per non invecchiare mai, l’unico: partire, senza dimenticare di portarsi dietro qualche sogno.