Parlando di pessimismo il pensiero va subito alle tesi filosofiche di Arthur Schopenhauer in merito alla sofferenza causata della volontà e dal desiderio che essa genera senza mai poterlo soddisfare in via definitiva, oppure alle posizioni, fra il serio e il faceto, di Edward Murphy di cui è notissima la sentenza secondo la quale «se una cosa può andar male, allora andrà male». Parlando, invece, di ottimismo non si può non pensare alla visione del mondo come creazione perfetta di Gottfried Leibniz, già appartenuta agli stoici e alla filosofia cristiana medioevale.
Sul piano sociologico, definendo come ottimismo o pessimismo una visione generalmente positiva oppure negativa della realtà, non è chiaro come oggi stiano le cose. Numerosi sondaggi, anche internazionali, sembrano testimoniare la relativa prevalenza dell’ottimismo, ma con una certa variabilità che dipende dalla situazione complessiva di un Paese. È infatti ovvio che, durante una grave crisi economica o una guerra civile, gli atteggiamenti ottimistici siano meno numerosi. Altrettanto naturale è che i giovani, in linea di massima, siano più ottimisti degli anziani.
La prevalenza degli ottimisti ha comunque una funzione sociologica strategica poiché, se prevalessero i pessimisti, una società non progredirebbe in alcun modo, condannata all’inazione e al timore di intraprendere qualsiasi iniziativa.
Sul piano professionale, per esempio, senza ottimismo non avremmo alcun ceto imprenditoriale poiché un imprenditore pessimista non avrebbe alcuna propensione ad investire. In effetti, qualsiasi imprenditore non può che essere mosso da atteggiamenti ottimistici dal momento che accetta il rischio nella persuasione di saper comprendere e dominare la complessità degli eventi.
In fondo, quanto detto vale anche per ogni professionista perché nessun avvocato, medico o ingegnere evita timorosamente di assumere le decisioni operative che crede opportune. Ciò non significa che, in cuor suo, un avvocato o un medico non intuiscano la situazione disperata in cui si può trovare un cliente o un paziente. Tuttavia, il professionista agirà adottando ogni misura che a suo parere potrebbe generare soluzioni positive anche se poco probabili. Nelle professioni, come del resto in ogni attività di governo, vige insomma una sorta di ottimismo intrinseco, quasi obbligato. Un ottimismo che, invece, non è necessariamente richiesto in attività nelle quali prevalga l’esecuzione di compiti stabiliti da altri. In questa chiave, l’ottimismo può essere collegato alla responsabilità decisionale mentre il pessimismo può essere visto come correlato della mera meditazione sulle cose che non vanno o che potrebbero non andare, senza alcun dovere di stabilire azioni in merito ad esse.
È per questo che gli intellettuali, di norma lontani da ogni ruolo decisionale rilevante, sono generalmente più pessimisti che ottimisti. La loro specialità, infatti, consiste nella «denuncia contemplativa» delle manchevolezze o, appunto, dei rischi che questo o quell’evento, questa o quella innovazione, questa o quella tendenza collettiva comportano per una certa società o persino per l’intera umanità.
Ad ogni modo è sicuro che l’esasperazione dell’ottimismo sfocia nell’euforia visionaria, per la quale le cose vengono percepite come fossero, per così dire, schiave o al servizio di una iniziativa, di un’idea o di una volontà. Credo che al lettore potranno facilmente venire alla mente personaggi, storici o quotidiani, che ben si identificano con questa sindrome e che hanno dovuto subire, alla fine, la dura lezione della realtà.
L’esasperazione del pessimismo, da parte sua, sconfina nell’angoscia paralizzante. Ogni nuovo dato di realtà viene innanzitutto percepito come minaccioso, in grado di introdursi come fattore sinistro di sconvolgimento rispetto allo stato delle cose cui ci si era, peraltro faticosamente, adattati. Accompagnata dall’ansia, questa sindrome produce depressione e, nei casi più gravi, può persino portare al suicidio.
In questo quadro si delinea poi il paradosso dell’artista e dello scienziato. Pur in un’estrema varietà tipologica, i creatori di opere d’arte, a causa della loro caratterizzante posizione solitaria e spesso innovatrice, nutrono e non raramente esprimono un pessimismo generale nei riguardi dell’umanità ma, nel contempo, credono fermamente, quali ottimisti di prima grandezza, nella propria capacità di conoscere e nella propria potenza espressiva. È probabilmente questa la posizione di Beethoven, certamente assai fiducioso nella qualità delle proprie composizioni, quando sostiene che la musica consente di «…entrare in un più alto mondo che include l’umanità ma che l’umanità non può comprendere».
Anche molti scienziati si trovano per definizione lungo una perenne «nuova frontiera», dove nulla è garantito e tutto è affrontato «a rischio». Essi sanno, per una sorta di pessimismo metodologico, che è molto più probabile produrre ipotesi o teorie fallaci piuttosto che vere, ma non si scoraggiano e lavorano con entusiasmo fino alla possibile smentita finale o alla conferma della loro spiegazione degli eventi.
Questi paradossi non sono del tutto prerogativa delle due categorie sopra citate poiché momenti di ottimismo e di pessimismo si incrociano variamente, lungo l’esistenza, in tutti gli esseri umani, anche se l’uno o l’altro, nel tempo, tendono stabilizzarsi come preponderanti.
Comunque, che l’ottimismo prevalga, più o meno marcatamente, si evince anche dalla massiccia presenza di situazioni nelle quali esso prevale surrettiziamente senza che si colgano le contraddizioni in cui ci si imbatte. Come quando giochiamo alla lotteria nella forte speranza di vincere e poi saliamo in aereo contando sul fatto che esso non cada, pur essendo la probabilità dei due eventi grosso modo identica.
Nessuno conosce quale sia l’equilibrio quantitativo ideale fra ottimisti e pessimisti in seno ad una società: si può solo ipotizzare che una leggera prevalenza dei primi sia funzionale al suo sviluppo complessivo e che la resistenza dei secondi, se esercitata razionalmente, sia invece funzionale al mantenimento della necessaria stabilità dei suoi fattori fondamentali.