Paolo Giordano dice: «Le fratture peggiori sono quelle che ci si procura da fermi, quando il corpo decide di andare in pezzi…». A prescindere dalla lirica filosofica dello scrittore italiano, nella realtà può capitare di subire un trauma fisico e dover ricorrere al chirurgo ortopedico. Anche questa specialità medica può contare sull’evoluzione delle tecnologie, degli strumenti operatori e dei materiali. Un progresso continuo del quale i medici specialisti devono tenere il passo. «Parecchie le novità degli ultimi vent’anni, soprattutto per quanto attiene agli impianti usati in chirurgia ortopedica. Ma in ortopedia traumatologica, in cui prevale il mantenimento della giusta creatività del chirurgo, la robotica non trova molto spazio. Il fattore umano è imprescindibile e ciò vale ancor di più quando si parla di fratture», esordisce il chirurgo ortopedico Christian Candrian, viceprimario e responsabile dell’Unità di ortopedia traumatologica dell’Ospedale Regionale di Lugano.
Parliamo di evoluzione delle nuove tecnologie in ambito ortopedico traumatologico e della relativa formazione degli ortopedici. Il suo capoclinica dottor Luca Deabate, a proposito dei nuovi materiali, porta ad esempio le protesi in titanio: «È un materiale più sofisticato dei precedenti: completamente inerte, non crea reazioni da parte del corpo né provoca rigetto e ha un effetto negativo sulle infezioni». Egli ci illustra questo progresso con placche e chiodi in mano: «Per i nostri interventi di osteosintesi (fissazione di una frattura con viti e placche) c’è stata un’importante evoluzione: oggi disponiamo di un nuovo sistema di ancoraggio delle viti nella placca per osteosintesi, dove la vite munita di un filetto va avvitata in un corrispondente filetto nella placca. Ciò dà maggior stabilità per la fissazione delle fratture».
Il dottor Candrian ne svela i grandi vantaggi: «Le viti si bloccano all’interno della placca e ciò permette di fissare placche più semplici nell’ambito di fratture molto complesse, come quelle delle ossa osteoporotiche che hanno l’handicap di essere molto fragili». Queste innovazioni permettono una migliore prognosi anche nelle fratture cui vanno incontro gli anziani, tenendo conto dell’incremento dell’età media della popolazione e il conseguente relativo aumento della casistica».
Le innovazioni, le nuove tecnologie e i nuovi materiali devono essere acquisiti dai chirurghi ortopedici che dovranno applicarli con sicuri gesti operatori. A questo proposito, il dottor Candrian ci ricorda che l’Unità di ortopedia e traumatologia dell’ORL è oggi un centro di formazione riconosciuto SIWF – FMH (Schweizerisches Institut für ärtzliche Weiter-und Fortbildung), da cui ha ricevuto il premio come Unità fra le migliori dieci nella formazione: «La formazione specialistica del chirurgo ortopedico inizia con sei anni in cui è assistente medico e lavora all’interno di un’Unità come la nostra, assistendo in fase iniziale agli interventi senza eseguire personalmente dei gesti chirurgici. Nei primi anni egli segue corsi specifici (AO: Arbeitsgemeinschaft für Osteosynthesefragen) che gli insegnano i principi della traumatologia, studia tutti gli impianti, gli strumenti, la teoria della guarigione delle fratture, e impara a discernere quando è il caso di operare e quando non lo è. Assistito da un chirurgo ortopedico esperto, viene gradualmente messo in condizione di iniziare a operare».
Il dottor Deabate conclude: «Durante la propria formazione specialistica, il chirurgo ortopedico viene condotto per mano fino alla completa autonomia, quando otterrà il riconoscimento FMH e avrà così anch’egli permesso e responsabilità di operare in autonomia». I progressi nell’ambito chirurgico ortopedico toccano pure chi già è formato e a sua volta insegna agli specializzandi, come i medici nostri interlocutori. In termini di formazione continua, ad esempio, a fine agosto si è tenuta una giornata di specializzazione durante la quale il mobile education centre (un camion con all’interno otto postazioni chirurgiche sulle quali fare pratica e acquisire familiarità con le nuove tecnologie) è sbarcato all’Ospedale Civico di Lugano. Gli specializzandi di tutto il cantone hanno potuto conoscere, fare pratica e testare tutta la nuova tecnologia in quella sorta di ospedale su ruote. Non si pensi però che i test siano effettuati sui pazienti, ci spiega Candrian: «Tutto ciò che utilizziamo è già stato testato e validato dalla ricerca attraverso specifici test biomeccanici e studi clinici. Noi abbiamo riscontro diretto attraverso la presa a carico dei nostri pazienti e il decorso positivo della loro convalescenza».
Ciò avviene in un altissimo numero di interventi: «Siamo uno dei dodici centri in Svizzera (unico in Ticino) di medicina altamente specializzata, in cui si concentrano i pazienti politraumatizzati. Per questo motivo disponiamo della maggiore casistica cantonale di traumatologia, con circa 800-900 interventi chirurgici annui complessivi, e con la maggior casistica di fratture complesse dei quali una ventina sul bacino. Il grande flusso di pazienti permette una casistica sufficiente per assicurare una certa qualità, soprattutto per le fratture più complesse come quelle del bacino».
Un numero sufficiente di pazienti, la formazione diretta degli specialisti e la formazione continua, uniti alle nuove tecnologie, fanno della chirurgia ortopedica traumatologica una specialità in grande evoluzione, anche se Candrian riduce tutto questo alla sua giusta dimensione: «Oggi siamo giunti a uno standard qualitativo molto alto a cui sarà difficile apportare ulteriori miglioramenti a vero beneficio nostro e dei pazienti. Penso che in traumatologia ossea, almeno nei prossimi vent’anni, saranno la formazione dei medici e la casistica dei pazienti a fare la differenza».
Oggi conta più che mai la formazione dei giovani medici e degli specializzati: «Abbiamo ancora molto da imparare, ad esempio, dal campo dell’aviazione, per applicarlo nel nostro ambito. Inoltre dobbiamo formare sempre meglio i nostri medici, avendo cura di insistere su check list, protocolli, simulazioni di interventi e quant’altro». Tutto ciò sta a cuore al dottor Candrian, che ci ricorda ancora una volta l’importanza della relazione medico-paziente come condizione insindacabile, che potrà nutrirsi anche dei grossi progressi.