Interventi di premunizione

Oltre all’autorizzazione di eseguire, in via sperimentale, stacchi artificiali con l’esplosivo, sul versante Sud il Cantone ha promosso un progetto che – proprio a monte dei corsi valangari più critici – prevede la posa di ripari in legno e la creazione di piantagioni nonché la cura selvicolturale dei boschi di protezione esistenti. Nel corso di quest’anno gli uffici competenti ultimeranno il progetto di dettaglio che verrà poi presentato formalmente all’Associazione Pro Lucomagno durante la sua prossima assemblea ordinaria.

Filippo Genucchi mentre, dall’elicottero, lancia l’esplosivo nel punto mirato (Mara Maestrani)

Oltre la barriera

Passo del Lucomagno – Un «ordinario» giorno di chiusura della strada nel regno della neve e dei suoi pericoli
/ 12.03.2018
di Mara Zanetti-Maestrani

In barba ai «giorni della merla», questa bella mattina del 30 gennaio preannuncia una giornata soleggiata e non poi così fredda. Mi trovo davanti alla barriera che chiude il Passo del Lucomagno, in zona Campra. Diversamente allo scorso inverno che ha ben abituato gli automobilisti permettendo loro di transitare pressoché tutti i giorni (solo un decina i giorni di chiusura), quest’anno l’inverno ha portato sul Passo che collega il Ticino ai Grigioni molta neve. E quindi parecchio lavoro per gli addetti alla sicurezza del valico. 

Da sempre, la barriera chiusa fa sorgere in me diversi pensieri. Cosa c’è oltre? L’incognita della Natura vera in tutte le sue forme; il fascino della sua potente e misteriosa forza. Il pericolo di valanghe. E proprio il fatto che l’accesso al valico è proibito, fa sì che tutta la già di per sé magnifica regione del Lucomagno sia investita di un ulteriore, irresistibile fascino. Tuttavia il rispetto è d’obbligo: oltre la barriera si entra in una zona di pericolo nella quale la vita potrebbe esser messa a rischio.

Ma qual è la differenza tra pericolo e rischio? Filippo Genucchi, la persona che – per la Pro Lucomagno – da una decina di anni si occupa dell’apertura (o chiusura) del versante Sud del passo e della sua sicurezza, mi aspetta nel suo veicolo a Campra, davanti alla barriera. Nel suo lavoro è in costante contatto con il collega grigionese Otti Flepp che, sul versante Nord, ha lo stesso compito. Filippo mi porta diversi chilometri più avanti, nel punto dove un escavatore e una fresa stanno liberando la strada da una valanga. Nella notte il canalone ha nuovamente scaricato a valle una massa di neve compatta. Si tratta di una valanga definita «da reptazione» (Gleitschneelawine in tedesco) che si forma, su versanti ripidi, a seguito della perdita di attrito tra il manto nevoso e il terreno liscio sottostante. La pioggia, filtrata attraverso il manto nevoso, si accumula e forma una specie di cuscinetto tra il terreno e la neve, cuscinetto sul quale la neve scivola via spontaneamente. Una situazione, quella della pioggia e delle temperature alte per la stagione, venutasi a creare diverse volte quest’inverno.

Siamo ai piedi del corso valangario (ossia nel «canalone») poco prima di Acquacalda, definito in gergo tecnico S13, che sta per il tredicesimo corso a Sud del passo partendo dal culmine. In totale i corsi valangari inventariati dall’inizio dell’apertura invernale del Lucomagno sono ben 84, di cui 35 sul versante bleniese. Ogni «canalone» rappresenta un potenziale pericolo. A Sud, quelli più problematici sono gli S13 e S14. Qui le valanghe, quando scendono, raggiungono pressoché sempre la strada. La situazione a monte di S13 è instabile. La linea di stacco delle masse cadute a valle appena il giorno prima e nella notte è ben visibile. Su di una piccola chiazza di terreno brullo lasciata libera al sole dall’impressionante massa di neve compatta scivolata via, cinque cervi brucano tranquilli qualche vecchio filo d’erba. «Bisogna fare quel che si può per cercare di garantire la sicurezza», dice Filippo. Anche loro, i due autisti dei mezzi spazzaneve, lavorano in situazione di rischio. Per questo motivo i due veicoli non devono essere vicini: se la massa lassù si stacca e colpisce un mezzo, l’altro deve poter intervenire.

Il pericolo rappresenta una situazione oggettiva nei confronti della quale l’uomo non può intervenire. In quasi tutto il mondo, il pericolo di valanghe è definito in 5 gradi da debole a molto forte in base alla condizione della neve e del terreno. Il rischio, invece, dipende dal comportamento delle persone. Se, in presenza di pericolo di valanghe, entro nel raggio di azione di questo pericolo, ciò significa che in quel momento mi assumo un rischio. Possiamo fare un paragone con l’automobile: sappiamo tutti che circolare di notte coi fari spenti è pericoloso. Oltre che proibito. Se, pur sapendolo, circoliamo coi fari spenti, ci assumiamo una bella dose di rischio.

Inoltre, lo sci-escursionista si assume coscientemente il rischio di essere travolto da una valanga e deve quindi adottare quei comportamenti (appresi in appositi corsi di formazione) che lo aiutano a ridurre il massimo possibile questo rischio o ad aggirarlo. Chi, invece, chiuso nella sua auto, si trova a dover transitare su una strada pubblica esposta a pericolo di valanghe – come il Lucomagno – deve poterlo fare in sicurezza. E, diversamente dallo sci-escursionista, lungo la strada l’automobilista non ha possibilità di scelta, non può «aggirare» il pericolo. All’autorità comunale o statale o agli enti preposti, spetta quindi il dovere di garantire la sicurezza, nella misura del possibile. La sicurezza dell’utenza della strada diventa l’assoluta priorità.

«Nello studio e nel lavoro con la neve c’è e ci sarà sempre una zona grigia», continua Filippo. Quest’anno poi il lavoro, anche di osservazione e di studio, non manca proprio: a fine gennaio a quota 2000 metri c’erano da 1,80 fino a 2 metri di neve; tanta quanta non si misurava più dal 1999 a quella quota. «Se devo allontanarmi per un giorno o due dal Passo – racconta – è come se mi mancasse una pagina di un libro: devo sapere cosa è successo durante la mia assenza, come è cambiata la neve, come è evoluta la situazione. È un’attività, la mia, che definisco “totalizzante”, mi prende interamente». In caso di assenza dal lavoro sul Passo – per motivi di formazione, istruzione o altro – è Elio Solari il competente sostituto di Filippo. Elio ha infatti svolto per parecchi anni prima di lui questo lavoro.

Intanto siamo arrivati a Casaccia, punto dove è giunta la fresa. Filippo riceve una telefonata e allora io ne approfitto per scattare qualche foto, col telefonino. Già, il telefono. Ecco! Il fatto che sul Lucomagno persistono le zone d’ombra di ricezione telefonica dovrebbe davvero e finalmente trovare una soluzione. In fondo siamo nel 2018, e avere... «campo» fa parte della sicurezza, anzi ne è un fattore che può essere determinante. Mentre parliamo si alza un po’ di vento freddo. Se non sono le valanghe a ostacolare l’apertura del passo, può farlo il vento. Quando soffia forte, specie nella tratta finale prima del culmine, è in grado di spostare importanti quantitativi di neve sulla carreggiata. Una vera trappola per gli automobilisti.

Per quanto riguarda il versante grigionese, vi rimandiamo all’interessante volume di Ciprian Giger, pubblicato nel 2016, dal titolo Uomini, valanghe e storie sul Passo del Lucomagno dal 1955 al 2015 (volume tradotto in italiano da Lino Vescovi di Olivone e dalla figlia Simona). Sul versante grigionese il maggior problema è rappresentato dal corso valangario 34, situato all’imbocco nord della galleria di Santa Maria che ora, proprio per eliminare questo pericolo, verrà prolungata di 350 metri. Il corso N34 è stato finora responsabile nel 50% circa dei casi di chiusura del valico. Nello stesso volume, Clau Venzin (responsabile dal 1975 al 2000 della sicurezza sulla strada del passo) scrive: «Normalmente si pensa che le valanghe scendano a valle col brutto tempo o dopo forte vento. Si rimane poi delusi quando le valanghe si staccano col bel tempo». Proprio come successo ieri, in due stupende e soleggiate giornate di fine gennaio.