Nuovi scenari per la pianificazione

Ticino – Negli ultimi anni l’evoluzione demografica vede una perdita di abitanti mentre le abitazioni sfitte sono aumentate: una vera sfida per chi si occupa di pianificazione del territorio
/ 01.02.2021
di Fabio Giacomazzi*

Il Ticino sta perdendo abitanti. Risulta dai più recenti dati statistici (v. Gianpaolo Torricelli in CdT del 7 dicembre 2020 e Elio Venturelli in «Azione» della stessa data). La novità è il saldo migratorio negativo, intervenuto a partire dal 2015 e in costante crescita, che ha determinato negli ultimi 5 anni una perdita di 3000 abitanti. Il saldo migratorio della fascia di persone tra i 20 e i 39 anni è ormai costantemente negativo e in crescita da una trentina d’anni. Da qualche anno si è invertito anche il saldo migratorio con l’Italia, che è passato al segno negativo, dopo essere stato positivo per lunghi decenni. In assenza di dati più approfonditi e dettagliati, gli esperti non hanno ancora una spiegazione univoca sulle cause di questo capovolgimento. Il fenomeno sembra essere comunque legato, fra gli altri fattori, alla debolezza strutturale dell’economia ticinese, evidenziata su «Azione» del 14 dicembre 2020 da Angelo Rossi, che cita una recente previsione dell’Ufficio federale di statistica: si indica per il 2060 una diminuzione in Ticino di 40’000 posti di lavoro, mentre globalmente in Svizzera tendono a crescere, concentrandosi nei grandi agglomerati. 

Non sarà certo una decrescita felice! Le conseguenze per l’impiego, per le finanze e per la socialità saranno dolorose e pesante sarà l’ipoteca sull’obiettivo di un Ticino innovativo e competitivo. La politica è chiamata a reagire e a darsi da fare per prendere le dovute contromisure. Se n’è discusso in un ciclo di conferenze sul futuro della Città Ticino dopo l’apertura della galleria di base del Ceneri, recentemente indetto da Coscienza Svizzera.

Anche nella migliore delle ipotesi, il cambiamento di tendenza potrà esserci solo sul medio-lungo periodo. Nel frattempo il capovolgimento dell’evoluzione demografica del Ticino, combinato con l’evoluzione delle abitazioni sfitte, passate in 10 anni da 1500 a 6600 unità, raggiungendo un tasso del 2,71% (cfr. Ivano D’Andrea in CdT del 7 dicembre 2020) pone sfide epocali alla pianificazione del territorio.

L’articolo 15 della legge federale sulla pianificazione del territorio dice che le zone edificabili devono soddisfare il fabbisogno prevedibile per 15 anni e che, se sono sovradimensionate, devono essere ridotte. È vero che da almeno 25 anni in pratica in Ticino non vi sono più stati significativi ampliamenti delle zone edificabili. Ma questo solo perché si era ecceduto in precedenza con i piani regolatori (PR) di prima generazione.

In base a un’indagine condotta nel 2017 dall’Ufficio del piano direttore del Dipartimento del territorio, l’insieme delle zone edificabili del cantone potrebbe oggi accogliere circa 1’233’000 unità insediative, suddivise in 530’000 abitanti, 321’000 posti di lavoro e 382’000 posti turistici, a fronte di circa 804’000 unità insediative attuali. Le prognosi di allora dell’Ufficio di statistica indicavano uno scenario per il 2030 di 921’000 unità insediative, con un aumento di 117’000, di cui quasi 47’000 abitanti. Già allora la previsione del rapporto tra contenibilità ed effettivi era di 1,34. I nuovi dati inducono a ritenere che nel 2030 tale rapporto sarà ben superiore. Le direttive di applicazione della legge federale indicano che le riserve non possono superare il 20% di quanto necessario; quindi in ogni caso sono dati gli estremi del sovradimensionamento. Prendendo alla lettera il dettato della legge federale, non pochi comuni sarebbero obbligati a rivedere l’estensione delle zone edificabili dei propri PR.

Tuttavia, con l’edificazione a macchia di leopardo intervenuta nel corso dei decenni, le riserve inutilizzate di terreno edificabile si trovano oggi principalmente in singole parcelle sparse all’interno del perimetro edificabile e quindi non entrano in linea di conto per un dezonamento. Rarissimi sono in Ticino i comparti di una certa consistenza non ancora edificati e urbanizzati al margine della zona edificabile. È facile immaginarsi le reazioni dei proprietari toccati e la riluttanza dei Comuni ad assumersi il rischio di indennizzi milionari. Si tratta di operazioni tutt’altro che semplici e politicamente delicate.

La contenibilità di un PR non dipende unicamente dall’estensione delle zone edificabili, ma anche dai parametri edificatori. Negli anni 90, in numerose revisioni di PR, il concetto allora in voga di «densificazione» ha condotto sbrigativamente ad aumenti indiscriminati dell’indice di sfruttamento, anche laddove non era opportuno e/o necessario, ad esempio in zone di casette monofamiliari discoste, difficilmente allacciabili ad un efficiente servizio di trasporto pubblico, o in quartieri più centrali con un tessuto edificato storico minuto e di buona qualità residenziale, il cui carattere meritava di essere conservato.  

Un approccio alternativo per rientrare o riavvicinarsi ad un corretto dimensionamento del PR potrebbe quindi essere quello della riduzione della densità edificatoria in determinate aree. In numerosi comprensori di casette monofamiliari l’indice di sfruttamento è stato utilizzato solo in parte da chi ha costruito in proprio, spesso solamente della metà o poco più. Una riduzione dell’indice di sfruttamento non farebbe male a nessuno, se non a qualche operazione speculativa intesa a sfruttare al massimo il terreno, per poi rivendere casette generalmente di bassa qualità abitativa. Fenomeni speculativi che in alcuni quartieri urbani sono stati fermati unicamente da una struttura fondiaria frammentata, non idonea per grandi operazioni immobiliari. Anche in questi casi una riduzione dei parametri edificatori sarebbe di beneficio non solo per il corretto dimensionamento dei PR, ma anche per la qualità dello spazio urbano e permetterebbe di preservare, laddove c’è ancora qualcosa da salvare, il carattere dei quartieri urbani sorti tra fine 800 e inizio 900.

Una buona pianificazione non può in effetti ridursi a mere questioni quantitative. Del resto la stessa legge federale, accanto alla limitazione dell’estensione delle zone edificabili, preconizza anche uno sviluppo degli insediamenti centripeto e di elevata qualità (art. 8a cpv. 1 lett. c). Al di là della contabilità dei metri quadri di superficie edificabile e delle unità insediative, la pianificazione in un cantone che proclama l’idea della «Città Ticino» deve in primo luogo promuovere la qualità dello spazio urbano e l’attenzione al delicato paesaggio in cui gli insediamenti si inseriscono. Le maggiori sfide per la pianificazione si giocano sulla promozione dell’attrattiva dei centri quali luoghi di scambio sociale, culturale e commerciale e sulla riqualifica degli informi corridoi insediativi periferici cresciuti in modo disordinato lungo i principali assi di collegamento viario. Il rischio più grosso è che i mutati scenari demografici spengano le dinamiche funzionali e spaziali necessarie per attuare le nuove visioni dei masterplan per lo sviluppo territoriale elaborati a Mendrisio, Bellinzona e Lugano, venendo pure a mancare le risorse economiche per finanziare misure territoriali incisive e di qualità.

È da evitare che la necessità di ridimensionare le zone edificabili porti alla rinuncia a progetti urbanistici innovativi e ambiziosi, che a fatica si stanno promuovendo per luoghi strategici e significativi in varie parti del cantone, da Cornaredo al Quartiere delle Officine di Bellinzona, passando per il Quartiere dell’area Gas-Macello di Locarno e dai comparti attorno alle stazioni ferroviarie, senza dimenticare altri progetti altrettanto importanti nelle periferie urbane. Queste pianificazioni hanno una valenza strategica in funzione dell’attrattività e della competitività della «Città Ticino» e non devono necessariamente rispondere a fabbisogni, peraltro difficilmente comprovabili, basati su tendenze del momento. Inoltre questi progetti non aumentano le zone edificabili, ma convertono e riqualificano comparti dismessi, sottoutilizzati o male utilizzati, oppure il cui assetto e funzione oggi non rispondono più ad esigenze di qualità urbana per il luogo in cui si trovano.

L’esperienza dimostra che simili progetti urbanistici richiedono decenni di tempo fra la fase di pianificazione e la conclusione dell’attuazione. Si va quindi ben oltre l’orizzonte di tempo dei 15 anni della LPT. È saggio essere pronti con delle valide pianificazioni per rispondere fra 20, 30 o più anni, quando gli scenari potrebbero essere radicalmente cambiati. Semmai sono da verificare taluni parametri quantitativi: è da pensare un’attuazione a tappe e lasciare la dovuta flessibilità per adattamenti nel corso del tempo. Se adesso si rinunciasse a questi progetti, oltre al danno avremmo anche la beffa: dopo anni di sviluppo insediativo senza qualità, sull’onda di prorompenti tassi di crescita, adesso che finalmente si inizia a fare dell’urbanistica, ecco che le si taglia l’erba sotto i piedi. Alla faccia dello sviluppo centripeto di qualità e della «Città Ticino»! Per lunghi anni ancora dovremmo sopportarci quell’accozzaglia di villette e capannoni, che oggi è la caratteristica dominante del nostro territorio insediativo, e di cui tutti si lamentano. 

* Architetto urbanista, presidente del Gruppo Ticino di EspaceSuisse