Nuovi orizzonti, nuovi confini?

Sport - Si spera in una ritrovata normalità. Purtroppo, per ora, non vi è nulla di facile e di scontato
/ 11.01.2021
di Giancarlo Dionisio

Ci mancavano solo le mutazioni del virus, a rendere ancora più tesa e angosciante una situazione tutt’altro che serena. Lo si sa, lo si è più volte ribadito, quello sportivo, con le cancellazioni e con le porte chiuse, è il settore che, unitamente a quello della cultura, ha sofferto maggiormente le conseguenze del Covid-19. 

Se scorriamo gli albi d’oro delle maggiori manifestazioni sportive, scopriamo dei vuoti, negli anni fra il 1915 e il 1918, e quelli fra il 1940 e il 1946. Nel 1912 a Stoccolma andarono in scena i Giochi Olimpici estivi, tuttavia si dovette attendere il 1920 per assistere, ad Anversa, all’edizione successiva. Lo stesso accadde una ventina di anni più tardi. Nel 1936, Berlino recuperò l’edizione annullata nel 1916. Poi, per 12 anni, il silenzio planò sui giochi. 

Ci si ritrovò solo nel 1948 in una Londra desiderosa di rinascere, e di diventare presto una Swinging London. Lo stesso accadde per l’altra mega manifestazione totalizzante: la Coppa del Mondo di calcio, che ancora non esisteva all’epoca della Grande guerra. Si passò invece, per tetra magia, dall’edizione del 1938 in Francia, che corrispose al secondo trionfo consecutivo dell’Italia, a quella del 1950 in Brasile, con la squadra di casa costretta a cedere il passo al nemico Uruguay. 

Le due guerre paralizzarono comunque tutto lo sport. Da un lato perché i buoni atleti erano considerati anche dei buoni soldati. Dall’altro perché non era il caso di gareggiare sotto una pioggia di bombe. Anche le grandi corse a tappe, a maggior ragione, dato che si disputano sotto tiro, non sfuggirono a questa logica. Anzi, lo stop della Vuelta di Spagna iniziò già nel 1937 quando il paese era devastato dalla fase più acuta della guerra civile fra Nazionalisti e Repubblicani. 

Il 2020 non è stato un anno di guerra, anche se in questi nove mesi di pandemia, abbiamo preso confidenza con termini come isolamento, quarantena, coprifuoco. Il virus è stato cieco. Ha colpito indiscriminatamente. Sono stati i fattori anagrafici e quelli socioeconomici a selezionare i sani dagli ammalati. 

Lo sport ha tentato di reagire. Ha reagito, con determinazione e con coraggio. Soprattutto il grande sport. Le piccole manifestazioni hanno dovuto soccombere di fronte a esigenze di protezione e di sicurezza che prevedevano mezzi e persone in enorme quantità. Nella Svizzera italiana prendiamo, ad esempio, la Media Blenio, il Memorial Arturo Gander e il Gran Premio ciclistico Città di Lugano, tutti spazzati via dal virus. 

Non hanno alzato bandiera bianca colossi come la Champions League e i grandi giri ciclistici. Da un lato la Uefa è corsa ai ripari, ideando una formula nuova ed eccezionale, che prevedeva tutta la fase post gironi in una sola località, senza pubblico, con giocatori e staff immersi in una bolla quasi asettica. Dall’altro, le grandi corse a tappe, così come le grandi classiche, hanno ugualmente vinto la sfida, sia pure con la complicità della buona sorte, che le ha baciate dal primo all’ultimo giorno. Hanno pianto, fatto strepiti, opposto resistenza, poi hanno accettato di andare in scena, in rapida sequenza, da fine agosto a metà novembre. Se il calendario fosse stato spostato avanti anche solo di un paio di settimane il giocattolino si sarebbe infranto contro i marosi della seconda ondata pandemica. Meglio così. Tour, Giro, Vuelta, e Classiche, senza pubblico, anche se ogni tanto le immagini televisive sembravano farci ripiombare in edizione pre-Covid, hanno regalato una botta di ottimismo. 

Non sarà facile ripetersi nel 2021. Mi spiego: se tutto tornerà alla normalità entro la primavera, non ci saranno gravi conseguenze per la struttura economica del fenomeno sport, visto anche il sostegno da parte degli Stati. Ma se la soluzione «Huis clos», a porte chiuse, dovesse protrarsi a oltranza, lo sport dovrà essere capace di reinventarsi. L’unica via percorribile sarebbe quella della fruizione televisiva o, in termini più generali, online. Ciò comporterebbe conseguenze positive, ma anche aspetti negativi. Alla ridotta mobilità di centinaia di milioni di fans sull’arco dell’anno, con i relativi benefici per l’ambiente, e la riduzione dei costi per la sicurezza, corrisponderebbe un calo nettissimo dell’indotto. Il tifoso, viaggia, mangia, beve, acquista, a volte dorme. Stadi e piste vuote significherebbero anche casse chiuse. E vuote. 

Poi, come la metteremmo con le passioni e le emozioni? Anche per questo aspetto, si corre su un crinale: passione significa abbracci, ma, ahinoi, significa anche botte da orbi. I club sportivi potrebbero recuperare terreno negoziando nuovi parametri per la gestione dei diritti di trasmissione. Questa fase, che coinvolgerebbe federazioni, società sportive, televisioni e agenzie, a mio modo di vedere, potrebbe essere quella più delicata. I rappresentanti di queste quattro categorie, dovrebbero dare prova di equilibrio e senso di responsabilità. Se ci sarà un beneficio, sia pure minimo, per tutti, si potrà guardare al futuro con una briciola di ottimismo. Se invece qualcuno vorrà a tutti i costi vincere a braccio di ferro, qualche fibra muscolare andrà allo sfascio. E con lei tutto il sistema. 

Conoscendo la natura umana, non resta che sperare in un rapido ritorno alla normalità e alla tradizione. Con l’augurio che la lezione Covid-19 possa aiutare a una più sana e consapevole gestione dei bilanci.