Nuove parole per la famiglia allargata

Il caffè delle mamme – Una volta erano matrigna, patrigno, sorellastra e fratellastro, termini che oggi non sembrano essere più accettabili: la lingua cerca nuove soluzioni
/ 15.05.2023
di Simona Ravizza

La matrigna è la perfida regina Grimilde di Biancaneve; il patrigno l’autoritario e violento Mr. Murdstone del romanzo di Dickens che non esita a picchiare David (Copperfield) con una canna; le sorellastre le insopportabili Anastasia e Genoveffa di Cenerentola; non manca la figliastra dei Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello in un contesto sociale da inizio Novecento, e di sicuro da qualche parte ci sarà anche un fratellastro cattivo. Ora, ci domandiamo a Il caffè delle mamme, è mai possibile che in tempi di famiglie allargate non esistano termini che definiscano i nuovi rapporti familiari senza dare una connotazione negativa? In Svizzera il 13% dei genitori con almeno un figlio sotto i 18 anni non sta più insieme all’altro genitore. Fare tornare il cuore a battere dopo una storia finita e rifarsi una vita vuol dire anche aprire le porte di casa a un’altra persona e, per chi ha figli, farli crescere insieme: è la nascita di una nuova famiglia a tutti gli effetti, in cui l’obiettivo è sempre circondarsi di amore e serenità. Noi l’abbiamo chiamata «7infamiglia» che racchiude me, mio marito Riccardo e, in due, i nostri 5 figli dai 9 ai 21 anni. Una volta, in un gioco di società, alle prese con dei biglietti da pescare con i nostri nomi, l’allora 10enne risolve la questione così: «Lui è nostro papà, lei vostra mamma. Io scrivo Ric e Simo che va bene per tutti!». Ma la domanda si ripropone soprattutto fuori dalle mura di casa: senza nulla togliere ai rispettivi padri o madri, quando per esempio, ci presentiamo a qualcuno, non trovate assurdo che non esistano termini per definire il marito della mamma o la moglie del papà o i figli dell’una e dell’altro che stanno crescendo come fratelli?

In francese vengono usati, per dire, beau-père, belle-mère e demi-frère che non suonano male come i termini che finiscono in -igno/a, -astro/a; lo stesso vale per l’inglese con stepfather, stepmother e stepbrother. La questione, dunque, sembra riguardare soprattutto l’italiano, motivo per cui ci rivolgiamo all’Accademia della Crusca, uno dei principali punti di riferimento nel mondo sulla lingua italiana. Così a Il caffè delle mamme scopriamo con piacere di non essere le uniche a esserci poste la questione: «Molti lettori chiedono come si possano sostituire i termini fratellastro e sorellastra per indicare fratelli e sorelle che hanno in comune un solo genitore. Altri quesiti – tra cui quello di due bambine, entrambe di nome Giulia (Giulia Viola e Giulia Rossa) – vertono su come si possano indicare il figlio e la figlia del partner della propria madre o del proprio padre, per i quali neppure fratellastro e sorellastra sembrano appropriati (visto che nessun genitore è comune). Molte domande riguardano anche la sostituzione di matrigna, sgradito perché, al pari di fratellastro e sorellastra, percepito come negativamente connotato. Non di rado, si invita l’Accademia a “inventare” sinonimi o a proporre nomi nuovi per indicare questi rapporti familiari. Almeno quando si tratta di persone a cui, come scrive una nostra lettrice, si vuole “un mondo di bene”». A Il caffè delle mamme Carmela Torelli, docente di comunicazione interpersonale e public speaking alla Statale di Milano, riassume così: «Quando il rapporto personale con il partner della mamma o del papà e con i rispettivi figli fa un upgrade, ossia un salto di qualità, sarebbe importante avere dei termini che lo rendessero esplicito». A me viene in mente Nanni Moretti in uno dei suoi indimenticabili film, Palombella rossa: «Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!».

L’Accademia della Crusca è d’accordo sull’archiviare i termini che arrivano oltre che dalle fiabe anche da un’altra epoca: «Risalgono a una fase storica in cui un nuovo matrimonio era possibile solo dopo la perdita del coniuge e quindi implicavano la morte di uno dei due genitori; si poteva dunque essere figliastri rispetto a un patrigno o una matrigna che prendeva il posto, in famiglia, di un padre o una madre scomparsi ed essere quindi fratellastri o sorellastre dei figli nati da questo secondo matrimonio (o anche dei figli che il patrigno o la matrigna, se vedovi anch’essi, avevano avuto dalla precedente unione coniugale). Il fenomeno delle famiglie allargate, che è in costante crescita, ha da tempo determinato rapporti di parentela o affinità a cui non sembrano adattarsi questi termini del lessico tradizionale: patrigno, matrigna e figliastro, fratellastro e sorellastra […] non sembrano più accettabili, perché, dal valore puramente denotativo che probabilmente avevano in origine, hanno assunto un valore connotativo […] che del resto ben si confà a certi personaggi letterari delle fiabe e della narrativa, specie quella per l’infanzia. Non sarebbe, dunque, ingiustificato formare nuove parole, più adatte ai rapporti creatisi con le famiglie allargate».

Assodato che il problema esiste, come risolverlo? Dall’Accademia della Crusca arrivano due indicazioni importanti con due dei suoi massimi esponenti. 1) «Possiamo invitare i nostri lettori – scrive Paolo D’Achille il 22 aprile 2022 – a usare fratello e sorella per indicare sia il fratellastro e la sorellastra, sia il figlio e la figlia del partner della propria madre o del proprio padre, e a considerarli tali, almeno quando c’è un rapporto di affetto profondo». 2) Francesco Sabatini propone il neologismo configlio: «Il termine vuole dimostrare anche sul piano formale la disponibilità di chi lo usa ad accogliere tra i propri figli il figlio del partner (da designare come configlio soprattutto quando si parla di lui in sua assenza) o a considerarlo come tale, e al tempo stesso serve a chiarire a estranei il particolare rapporto di parentela». Aggiunge ancora D’Achille: «I singoli congenitori potrebbero essere indicati senza particolari difficoltà come compadre e commadre in funzione di appellativi». Che cosa ne pensate?