Nuova vita per gli edifici dismessi

Edilizia - Il Governo propone misure per incentivare la rivitalizzazione degli stabili non più utilizzati. Un tema in discussione da anni che potrà ora avere sbocchi concreti.
/ 01.07.2019
di Fabio Dozio

A Salorino un cappellificio si è trasformato in abitazioni. A Balerna una fabbrica di sigari è diventata centro polifunzionale di servizi. A Mendrisio una filanda è rinata come centro culturale e biblioteca. A Lugano la ex centrale termica ospita una multisala cinematografica. In Valle di Blenio la vecchia fabbrica di cioccolata si è trasformata in atelier e residenze per artisti. Sono solo alcuni esempi virtuosi, in Ticino, di recupero di edifici artigianali o industriali dismessi. Nel mondo intero ci sono innumerevoli esempi qualificati in materia: la centrale termica di Londra trasformata in museo; stabili industriali milanesi rinati come spazi espositivi o universitari; birrerie diventate centri culturali a Berlino; ad Amburgo un magazzino fa da base a una sala da concerto; fabbriche, birrerie, latterie che rivelano una seconda vita a Zurigo.

Recuperare spazi e stabili abbandonati è un’ottima cosa, soprattutto pensando agli imperativi della Legge federale sulla pianificazione del territorio, che impone di non sprecare ulteriore terreno, limitando l’estensione degli agglomerati. In Ticino si può fare di più: sui tavoli del Gran Consiglio c’è una proposta volta a concedere sussidi a chi intenda rivitalizzare edifici industriali dismessi. Un’operazione che non deve riguardare solo stabili pregiati o testimonianze di archeologia industriale, bisogna intervenire per offrire una nuova vita a capannoni artigianali e a vecchie costruzioni abbandonate.

In Svizzera si discute da anni di promuovere la riqualificazione delle aree industriali e commerciali dismesse. Uno studio dell’Ufficio federale dello sviluppo territoriale (ARE) e dell’Ufficio federale dell’ambiente (UFAM) del 2004 precisava che le aree industriali e artigianali dismesse di almeno un ettaro (10’000 mq) si estendevano su 17 milioni di metri quadrati, pari a una superficie poco più grande della città di Ginevra. Il Consiglio federale, nel 2008, prendeva atto di queste cifre e sottolineava l’importanza di sfruttare queste importanti superfici per promuovere uno sviluppo sostenibile: «La riconversione – scriveva il Governo – offre quindi un potenziale interessante per migliorare l’attrattiva degli insediamenti e rivitalizzare i quartieri trascurati e abbandonati.

Dal punto di vista dello sviluppo territoriale, la rivitalizzazione delle superfici edificate dismesse è di grande interesse». Recuperare aree dismesse è interessante dal punto di vista economico, ambientale e anche sociale, per incrementare la qualità degli insediamenti senza sprecare terreno. La disamina del Consiglio federale concludeva indicando nei Cantoni, Comuni e Città gli attori incaricati di «incoraggiare progetti pilota sostenendo concorsi di idee e studi di fattibilità» in merito. Infatti, «la scarsità delle risorse finanziarie e umane limita la possibilità di promozione della Confederazione».

In Ticino nel 2007 l’Accademia di architettura di Mendrisio ha messo a punto uno studio per monitorare gli edifici industriali facendo riferimento ai dati dell’Ufficio Stima del Dipartimento delle finanze e dell’economia. La ricerca ha così evidenziato che erano presenti 3681 stabili industriali. Da questo patrimonio immobiliare risultavano potenzialmente dismessi 1120 edifici, pari al 30,4% del totale, per circa 5 milioni di metri cubi edificati disponibili. Risultati da capogiro: «Una valutazione del potenziale di riconversione – si legge nello studio – ha permesso di evidenziare che il riuso delle superfici degli edifici industriali potenzialmente dismessi permetterebbe di realizzare 6705 abitazioni oppure 32’183 postazioni di lavoro; mentre l’edificazione della superficie dei lotti disponibili permetterebbe di fabbricare alloggi per circa 78’000 persone».

Questi dati si rivelano un po’ farlocchi. Infatti, lo stesso studio avanzava riserve: «Il risultato ottenuto semplicemente dall’analisi dei dati forniti dall’Ufficio stima non rispecchia esattamente lo stato reale della dismissione dell’architettura industriale ticinese». In sostanza, basare l’inchiesta solo sui dati delle stime non è sufficiente per avere una visione corretta della situazione. Vi sono stabili che non valgono niente, ma che sono occupati e non dismessi. Utile corollario: gli studi accademici non sono sempre attendibili. Malgrado queste lacune, lo studio del 2007 ha avuto il pregio di smuovere la politica su questo tema.Nel 2016 il deputato Nicola Pini ha depositato una mozione che chiedeva di rivitalizzare gli edifici dismessi, specificando prima di tutto che era necessario aggiornare lo studio dell’Accademia «per identificare potenzialità di recupero e di sviluppo degli edifici dismessi presenti sul territorio cantonale». Il tema interessa, ma bisogna studiarlo più attentamente. Nel 2016 è l’Osservatorio dello sviluppo territoriale che elabora un’analisi a tappeto delle aree di attività.

C’è maggiore attenzione alla definizione di questo tipo di spazi, perché non esiste una definizione univoca: «La dismissione è una combinazione tra lo stato di conservazione di un edificio e la presenza o meno di attività economiche riconosciute. Così, un edificio vetusto ma occupato non è dismesso; analogamente, nemmeno un edificio in buono stato, ma vuoto, lo è».

La nuova indagine chiarisce lo stato della situazione: gli edifici inattivi sarebbero 187 in tutto il Cantone. Valutando ulteriormente lo stato di conservazione e la presenza di un’attività conosciuta emerge che gli edifici verosimilmente classificabili come dismessi sono poco più di un centinaio, 114 per la precisione. L’Osservatorio ha indagato con cautela e metodo certosino e alla fine ha decimato (da 1120 a 114!) i risultati del 2007. In sostanza, per quanto riguarda la pianificazione del territorio, il fenomeno è meno incisivo di quanto si poteva immaginare.

Dunque, il Ticino non è un paese di industrie dismesse e speriamo che non lo diventi. C’è però un potenziale di rivitalizzazione di spazi abbandonati che potrà essere utilizzato. Il Consiglio di Stato propone di mettere a disposizione degli interessati alla riconversione una decina di milioni di franchi, ma i criteri per elargire i sussidi sono piuttosto severi, anche per evitare intenti speculativi: «L’aiuto pubblico è destinato ai Comuni, gruppi di Comuni o altri enti di diritto pubblico, oppure a partenariati pubblico-privati che presentano un progetto di recupero e di rivitalizzazione di immobili prioritariamente ubicati in regioni periferiche». Anche nei centri possono essere considerati dei progetti, purché «siano particolarmente rilevanti per l’agglomerato di riferimento».

Nicola Pini, il granconsigliere che ha promosso questa idea, è soddisfatto del Messaggio governativo che permette di intervenire non solo nelle aree industriali: «Sarà una buona opportunità, – ci dice – potranno essere presi in considerazione per esempio il Grand Hotel di Locarno, da anni abbandonato. Si tratta di mettere in moto uno sviluppo territoriale ed economico che potrà dare un bel risultato per il Cantone in termini di abbellimento del territorio e di rilancio di attività».

La proposta verrà discussa in Gran Consiglio non prima dell’autunno, la neoletta deputata Anna Biscossa sarà la relatrice. Pini sottolinea che il Messaggio prevede molti criteri per concedere i sussidi, «forse troppi, nell’esame parlamentare bisognerà riflettere se allentarli un po’». Sarà soprattutto nelle zone periferiche che si giocherà il senso dell’operazione. Gli Enti regionali di sviluppo e i Comuni si daranno da fare, come auspica il Consiglio di Stato? Nasceranno sinergie tra pubblico e privato per far rivivere qualche vecchio edificio nelle Valli?