Rendering di uno degli elementi in acciaio che costituiscono il contenitore sottovuoto del plasma, alto come una casa di sei piani e pesante 800 tonnellate. (iter.org)

Nucleare, ma più pulito per l’ambiente

Energia - Evento importante nel passaggio dalla fissione alla fusione: si è aperto in Francia il cantiere della centrale ITER
/ 01.02.2021
di Loris Fedele

La scorsa primavera a Cadarache, nel sud della Francia, è cominciato l’assemblaggio del prototipo di centrale nucleare a fusione ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor), tappa fondamentale di un programma internazionale al quale la Svizzera sta partecipando tecnicamente e finanziariamente. I partner coinvolti sono l’Unione Europea, che rappresenta i suoi 28 Stati membri, e la Svizzera, gli USA, la Cina, la Corea del Sud, il Giappone, la Russia e l’India.

ITER è una macchina gigantesca, alta come un palazzo di 10 piani, un’apparecchiatura che dovrà provare che è possibile ottenere sulla Terra una fusione nucleare come quella che alimenta il Sole. Un processo del genere libera straordinarie quantità di energia. Confidando nelle nostre sempre migliorate conoscenze scientifiche e tecnologiche sono decenni che al mondo si cerca di ottenere la fusione nucleare. Questa tecnica costringe alcuni nuclei degli atomi a fondersi insieme, diversamente da ciò che succede oggi nelle centrali nucleari, dove si fendono i nuclei atomici di elementi radioattivi per ottenere energia (e per questo si parla di centrali nucleari a «fissione»).

Il processo di fusione rilascia ancor più energia della fissione e, in più, non produce scorie radioattive. Tra tutte le reazioni di fusione possibili si è individuata come la più favorevole da riprodurre sulla Terra quella che fa unire due nuclei di deuterio e trizio (che sono isotopi dell’idrogeno, cioè atomi di idrogeno che hanno uno e due neutroni in più) i quali fondendosi danno origine a un terzo elemento più pesante che è l’elio, un gas raro, inoffensivo per gli esseri umani e per l’ambiente. Liberano anche un neutrone fortemente energetico.

Il processo di fusione sviluppa calore nel reattore, calore che, come succede nelle centrali nucleari classiche, permetterebbe di generare il vapore che aziona le turbine e gli alternatori per produrre la corrente elettrica. La grande sfida sta nel fatto che per «accendere il Sole sulla Terra», cioè per far fondere insieme questi nuclei atomici, ci vogliono temperature superiori ai 100 milioni di gradi. A queste temperature la materia si trova allo stato di plasma, che è un gas ionizzato. Non bisogna lasciargli toccare le pareti del contenitore perché non resisterebbero al calore.

Per nostra fortuna il plasma è conduttore e quindi lo si può influenzare con i campi magnetici che, posti tutto intorno, lo possono «confinare», si dice così, in uno spazio controllato. Abbastanza facile a dirsi, difficilissimo a farsi, tant’è che ci stiamo lavorando da una sessantina d’anni. Nel 1957 fu fondata l’EURATOM, la Comunità europea dell’energia atomica, che nacque contemporaneamente alla CEE (Comunità economica europea). Nel 1958 si tenne a Ginevra una importante conferenza internazionale sull’uso pacifico dell’energia atomica e si parlò di fusione nucleare.

Nel 1961 la Svizzera raggiunse le nazioni pioniere in queste ricerche con la fondazione di un laboratorio di fisica dei plasmi e nel 1978 si associò pienamente a un programma europeo di ricerca sulla fusione nucleare, siglando un accordo di collaborazione con l’EURATOM. Dal 2014 questa partecipazione è regolata dall’accordo di associazione a diversi programmi quadro di ricerca e innovazione in seno all’UE (Unione Europea) come Horizon 2020, che scade alla fine di quest’anno e che va rinnovato con il pacchetto Horizon 2021-2027.

Torniamo al discorso scientifico: come detto il combustibile per la fusione nucleare è idrogeno «pesante» e quindi risulta abbondante sulla Terra perché lo possiamo trovare nell’acqua. Una molecola di acqua è fatta di due atomi di idrogeno e uno di ossigeno. In ogni metro cubo d’acqua sono contenuti circa 35 grammi di deuterio. Invece il trizio ha debolissime presenze in natura ma lo possiamo generare all’interno del reattore utilizzando il litio e i neutroni liberati. I nuclei di trizio sono gli unici elementi radioattivi nel processo di fusione che abbiamo scelto. Come detto si forma unicamente dentro il reattore e fondendosi con il deuterio va a formare l’elio, che non è radioattivo. Vero è che i neutroni ad alta energia liberati dal processo attivano i materiali della struttura coi quali vengono a contatto, cioè li rendono radioattivi.

Poco male: mentre la centrale è in funzione non esce nulla e una volta che sarà cessato il suo sfruttamento gli studi ci dicono che bastano 100 anni fino a che tutte le parti attivate della centrale non siano più radioattive. Potranno essere smantellate senza pericolo e addirittura riciclate. Non sarà necessario alcuno stoccaggio come deve avvenire oggi per le famigerate scorie nucleari radioattive per decine e centinaia di millenni.

La centrale a fusione non produce scorie altamente radioattive e non libera anidride carbonica. Sempre di nucleare si tratta ma molto più leggero delle attuali centrali a fissione. Riprendiamo un poco la storia di questo difficile cammino verso l’obiettivo di costruire una centrale a fusione di tipo commerciale. Il 1979 può essere considerato un inizio, con la costruzione del JET (Joint European Thorus) a Culham, vicino a Oxford in Inghilterra. In quella struttura sperimentale il plasma viene mantenuto sotto vuoto all’interno di un contenitore a forma di ciambella (che in fisica chiamano Toro), confinato da potentissimi campi elettromagnetici, che lo mantengono in quella forma, ed è riscaldato con sistemi di microonde.

Con JET si è riusciti a ottenere la fusione ma per ora mettendoci più energia di quella che si ottiene. Tuttavia il successo del procedimento ha aperto la strada alla costruzione di ITER, fisicamente simile, decisa nel 2007. ITER non sarà ancora un reattore commerciale perché non produrrà energia elettrica ma è fatto per poter dimostrare la fattibilità tecnica di un reattore dove si guadagna nella produzione.

È concepito per generare 500 MW di energia di fusione partendo da 50 MW di potenza fornita. Sono più di dieci anni che in giro per il mondo si stanno costruendo i pezzi della macchina e finalmente lo scorso aprile si è cominciato l’assemblaggio del reattore con la posa del primo componente, la base del criostato, che per intenderci è una specie di thermos. Il criostato di ITER è un cilindro d’acciaio alto 30 metri e del diametro di 30 metri, pesante 1250 tonnellate. Qui dentro entreranno la camera a vuoto e il sistema di magneti a superconduttori necessario al confinamento del plasma, oltre agli acceleratori di particelle e generatori di microonde per riscaldarlo.

Ad accrescere le future difficoltà tecniche sta il fatto che il sistema dei magneti a superconduttori deve lavorare alla temperatura di soli 4 gradi sulla scala assoluta, che corrispondono a 269,15 gradi sottozero. Sistemato il criostato si monteranno gli altri pezzi che arrivano da tutti i Paesi coinvolti nel progetto. La tabella di marcia prevede l’ottenimento del primo plasma nel 2025, con l’accensione della macchina, ma bisognerà aspettare il 2035 per vedere le prime reazioni di fusione nucleare.

Il sito ufficiale
www.iter.org