Non studia, non lavora, non si forma

Giovani – Il fenomeno dei NEET (Not in Education, Employment or Training): ragazzi tra i 15e i 29 anni disoccupati transitori o inattivi per scelta che rischiano l’esclusione sociale
/ 07.11.2022
di Fabio Dozio

Chiamateli, se volete, sfaccendati, nullafacenti, sdraiati. Con questi termini in possiamo tradurre NEET (Not in Education, Employment or Training), ossia giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano più, non lavorano ancora e vivono in un limbo in eterna attesa. Un dolce far niente che può avere accenti amari. Perché c’è una differenza di fondo tra chi sceglie questo stato di ignavia e coloro che lo subiscono; tra chi si gode il divano e chi soffre per non riuscire a entrare nei mondi dello studio o del lavoro.

Il termine NEET è stato usato per la prima volta nel 1999 in uno studio sull’esclusione sociale del governo del Regno Unito. In questi vent’anni il fenomeno è monitorato nel mondo intero. In Europa i dati più recenti vedono l’Italia con tassi di NEET che sfiorano il 30%. In Svizzera, nel 2020, 90 mila persone tra i 15 e i 29 anni erano NEET, il 6,3% della popolazione di questa fascia d’età. Si tratta, spiega l’Ufficio federale di statistica – di una percentuale in calo rispetto al 2010, quando si attestava all’8,1%. Un po’ meno della metà (il 2,8%) era composta da persone disoccupate ai sensi dell’ILO (secondo la definizione dell’Ufficio internazionale del lavoro) e quindi attivamente in cerca di un impiego: NEET loro malgrado, perché alla ricerca di un’occupazione.

«Caritas Ticino – ci dice il vicedirettore Stefano Frisoli – non ha uno specifico osservatorio, ma incontra sicuramente nei suoi servizi persone che potrebbero ricadere in questa definizione, sia all’interno delle misure d’inserimento socio-professionali che attraverso il servizio sociale. La definizione di NEET comprende le persone a partire da una considerazione, ossia cosa non fanno: non studiano, non lavorano e non completano una formazione. Su questi tre aspetti potremmo anche riaprire una serie di altre considerazioni. Ma ce n’è una che sta a monte: quando definiamo qualcosa concettualmente è scorretto partire dicendo cosa non è. Nello specifico, ci rimane da capire non solo cosa fanno ma anche chi sono queste persone e come si posizionano rispetto alla società, alle famiglie di appartenenza, al contesto di riferimento. La domanda quindi rimane aperta e richiama sicuramente a una complessità non facilmente comprimibile in una sigla. In sintesi, se la sigla ben delinea alcuni elementi per comunanza, sicuramente non definisce gli appartenenti. Possono esserci percorsi formativi interrotti o anche addirittura assenti, ma ogni persona fa emergere un mondo a parte».

In Ticino si quantificano circa 5 mila giovani che non lavorano, non studiano e non si formano. Una parte di loro si nasconde fra le pieghe dei percorsi formativi, in particolare tra giovani che concludono le scuole medie, con o senza licenza.  Una riforma importante, entrata in vigore nel cantone nel settembre dello scorso anno, riguarda l’introduzione dell’obbligo formativo fino a 18 anni. Non si tratta di un obbligo scolastico stretto e non comporta necessariamente la frequenza di una scuola – afferma il Dipartimento Educazione Cultura e Sport (Decs) – ma prevede che ogni giovane abbia un progetto formativo concreto, adeguato alle sue capacità e interessi. Oggi l’88% dei venticinquenni consegue un simile diploma, la sfida è di raggiungere il 95%, come indicato dalla Confederazione.

Per realizzare «Obiettivo 95» è stato lanciato il progetto GO95, coordinato dalla Divisione della formazione professionale, che si occupa di contattare i giovani fra i 15 e i 18 anni che risultano non seguire nessuna attività formativa per aiutarli a costruire il proprio progetto. «Il bilancio è sicuramente positivo, – spiega Tatiana Lurati Grassi, capa dell’Ufficio della formazione continua e dell’innovazione – abbiamo contattato circa 1700 giovani in un anno, 204 hanno beneficiato di un accompagnamento da parte del servizio GO95 nell’anno scolastico scorso e ad oggi 81 di loro hanno trovato una collocazione per questo anno scolastico. In generale abbiamo rilevato che tre quarti delle persone contattate aveva un progetto formativo in corso. Positiva è anche la collaborazione con i genitori dei giovani seguiti dal servizio, i quali sono invitati al primo colloquio e con i quali si rimane in contatto. Sono principalmente persone che hanno bisogno di rivalutare il loro progetto formativo o che necessitano di un supporto, per inserirsi nuovamente in un percorso di formazione duale o a tempo pieno. Ai nostri occhi, coloro che collaborano attivamente con il servizio GO95 e stanno intraprendendo gli sforzi necessari per trovare una soluzione non rientrano nella categoria NEET. Parliamo piuttosto di giovani che attraversano un periodo di transizione ma che si stanno adoperando per raggiungere il loro obiettivo di rientrare nel mondo della formazione».

Dal vostro punto di vista, chiediamo al vicedirettore di Caritas, quali sono le cause che portano i giovani a non studiare e a non lavorare? «Uno è il disorientamento rispetto alle ipotesi future, alle attese proprie e altrui, alle attese di una società che preimposta in modo forse rigido le traiettorie professionali, performanti e competitive, e anche personali fin dai primi momenti formativi. Chi fa fatica, chi non si ritrova o chi mette in dubbio un percorso dato, quando va bene non viene semplicemente capito, altrimenti viene additato come un elemento problematico. Questo però possiamo tranquillamente allargarlo anche a tante altre persone di altre età e magari inserite nel mondo del lavoro, che faticano altrettanto a capire i momenti di transizione professionale o personale e che “rallentano”, e per forza centrifuga vengono allontanati. Quali “marginalità” si aprono così, quali e quante “periferie” dove smarrimento e solitudine diventano i compagni del quotidiano?».

Il progetto GO95 ha un impatto positivo soprattutto per i giovani che si perdono per strada dopo la scuola media o che faticano a scegliere un posto di lavoro o di formazione. C’è però una parte non indifferente di giovani disillusi che non riesce a dare uno scopo al proprio futuro. «Infatti, – ci dice Tatiana Lurati Grassi – una piccola parte delle persone seguite presenta delle problematiche multiple che interferiscono nelle sfere della vita privata, sociale, familiare, scolastica e che rendono difficile l’elaborazione di un progetto a carattere formativo. Cerchiamo dunque di sostenere i giovani nel mettersi in contatto con figure professionali specializzate che possano aiutarli nel superare queste difficoltà personali, le quali rappresentano un ostacolo verso l’inserimento nella formazione. A ogni modo, non c’è un profilo unico per tutti i giovani seguiti dal servizio».

Come si può contrastare il fenomeno dei NEET? «Viste le premesse, rimane difficile ipotizzare una ricetta che sia efficiente e adeguata. – sottolinea Stefano Frisoli – Si può però aprire una riflessione che cominci a tratteggiare un percorso possibile. L’incontro come primo passo. Luoghi e tempi si possono discutere, ma penso sia necessario che questi ragazzi vadano incontrati e forse anche cercati. In questa direzione molto interessante va il lavoro del Decs con il progetto GO95. Quindi l’incontro inteso come spazio di ascolto anche attraverso strumenti che possano parlare il linguaggio dei NEET. Molti di loro sono nativi digitali. Questo aspetto attraversa spesso le loro vite. Come Caritas Ticino abbiamo lavorato con un progetto formativo nell’ambito digitale puntando sulle competenze web e video con un gruppo di giovani under 30 con molte attinenze a questa tipologia di persone. Il percorso utilizzava la tecnica del video, come primo elemento di aggancio. Ma poi? Probabilmente l’ascolto genera ipotesi e progettualità, magari accompagnando il percorso. È chiaro che non si può immaginare per queste persone un modo parallelo disegnato a loro misura, non vale per loro come per tutti noi, ma le istanze e i desideri raccontano anche di immaginari personali che possono cambiare gli immaginari collettivi».

La galassia dei NEET è fatta di tante storie diverse e quindi è bene non semplificare e generalizzare. Negli ultimi venti anni in Svizzera il tasso di NEET rilevato dalle statistiche (sempre indicative) si aggira costantemente attorno al 7% della popolazione giovanile. Un dato che rivela un probabile aspetto fisiologico.

Però, attenzione, in Ticino, 900 giovani tra i 18 e i 25 anni – un ragazzo su trenta – beneficiano dell’assistenza sociale.