«Ai tempi, a Vogorno, c’era una discoteca, il Disco Club. La creò la figlia dei gestori del Pizzo Vogorno. Pensi, veniva gente persino dalla Valle Maggia». Senti questa! Storie originali al bar, inaugurata domenica primo luglio, è una mostra temporanea del Museo della Val Verzasca di Sonogno, dedicata al patrimonio inedito di storia verzaschese.
Una mostra creata dalla gente, direttamente nei ristoranti, a cui la popolazione può contribuire. Ce ne parla con entusiasmo la sua curatrice, Veronica Carmine, convinta che una mostra deve «essere fatta in modo da rendere partecipativo il sapere: il pubblico che partecipa alla creazione di una mostra la sentirà più vicina e potrà ricevere più facilmente e con maggior coinvolgimento il messaggio che vuole essere trasmesso. L’arte dà strumenti per ragionare, divertendosi e mettendosi in gioco».
Il Museo, ci dice, non aveva spazio per conferenze e laboratori e nello stesso tempo si stava ragionando su come farlo diventare un luogo sociale e d’incontro. L’idea di questa mostra ha trasformato così queste due debolezze in due punti di forza: si è andati fra la popolazione, uscendo dalle quattro mura del museo. «Abbiamo scelto nove ristoranti, il luogo di socializzazione per eccellenza in Valle, che partecipavano alla rassegna gastronomica. A ognuno abbiamo abbinato un tema: emigrazione, osterie e botteghe, hockey, scuola di valle, viticoltura, divertimenti giovanili, le frazioni sommerse dal lago artificiale, l’emigrazione oltreoceano, la pesca, la strada e i trasporti di un tempo. Tematiche molto diverse che attraversano il Novecento della Verzasca e raccontano una valle in continua evoluzione. Durante le serate, gli avventori erano invitati a partecipare per parlare dell’argomento e portare anche degli oggetti ad esso legati».
La socializzazione e i racconti nascono al tavolo degli amici (lo «Stammtisch», come viene chiamato oltralpe). «Fra gli oggetti, sono arrivate la lettera di un emigrato in America e anche un tappetino per giocare alle carte appartenuto a un ristorante che è stato poi sommerso dall’acqua». Alcune serate hanno visto partecipare più persone, altre hanno registrato un andirivieni, altre generazioni a confronto. «Parlando della scuola, è stato bello veder confrontarsi un docente che insegnava negli anni 60 e uno pronto ad andare in pensione».
All’Alpino di Sonogno si è parlato di trasporti, e la signora Marilena, che vi lavora da sempre, ricorda una serata vivace, «si è riso parecchio, perché abbiamo sentito raccontare molti aneddoti divertenti, sono riemersi i vecchi ricordi degli autisti. C’era anche qualche giovane, che ha potuto imparare come funzionavano per esempio gli erogatori di biglietti di un tempo». Durante la rassegna gastronomica ogni oste stimolava i propri clienti ad annotare ricordi sul tema. «Qualcuno l’ha fatto, altri hanno portato a casa le schede su cui scrivere».
Come è, esattamente, la mostra? «Si entra nel bar del museo, c’è una parete con una gigantografia di una foto scattata durante uno degli eventi, dall’interno del bancone: si vede una persona che beve, con le bottiglie da bar su una mensola. Si può sorseggiare un caffè, nel mentre si sfogliano dei porta menù dei nove ristoranti coinvolti, un testo contestualizza la tematica e le schede raccolte, le testimonianze. Gli oggetti affettivi sono accanto al bancone insieme a un touch screen dove si possono leggere ulteriori documenti consegnati, vedere le foto dell’evento o ascoltare le clip audio delle registrazioni. Sono registrazioni da bar, voci che si sovrappongono, rumore del caffè, la qualità non è pulita ma in fondo non era quello lo scopo», racconta Veronica Carmine.
Ma che immagine della Verzasca ne esce? Se la signora Paola del Grotto al Bivio, che ha ospitato il tema delle frazioni sommerse (conseguenza della costruzione della diga, fra il 1960 e il 1965), non ha dubbi nel vedere comunque una valle chiusa e divisa fra «alta e bassa», per la curatrice le cose stanno diversamente: «ho visto una Valle aperta a condividere. Tutti abbiamo una storia degna di essere raccontata, soprattutto nell’anno del patrimonio culturale. La storia nasce dalla base, il luogo non è solo fisico, ma è fatto anche di racconti, di cose capitate che sai solo se entri in relazione con altri».
Senti questa! ha dato dunque vita a una performance attiva, dove lo spettatore è anche e soprattutto protagonista, prima, dopo e durante. Un evento e un allestimento per la popolazione e con la popolazione, un’ottima idea se è vero, come ci dice la signora Marilena che «il cambiamento che ho notato negli anni è che dopo cena si sta a casa davanti al pc e non si viene più al ristorante a prendere il caffè e a socializzare».