La natura segue il suo eterno ciclo e da qualche mese gli alberi spogli si sono rivestiti di un trionfante fogliame. Un verde, che quest’anno, fino a oggi, sembra più che mai rigoglioso. È così che nel verde dei boschi ombrosi e folti, lungo le siepi o ai margini dei sentieri, ovunque fino a 1200 mlm possiamo rivedere e, volendo, raccogliere una pianta dal tenerissimo verde: il luppolo, nome scientifico Humulus Lupulus L, dal latino Humus (terra) della famiglia delle Cannabacee, di cui fa parte anche la canapa.
La caratteristica del luppolo, pianta che possiamo definire parassita, è quella di cercare sostegno arrampicandosi sui rami altrui, o di strisciare per terra quando non li trova. Il luppolo appartiene a una specie che viene definita «dioica», vale a dire che i suoi fiori unisessuali, maschili e femminili, sono collocati su piante diverse.
Come succede spesso in fitoterapia, si rimane colpiti dalla varietà del suo fitocomplesso, ricchissimo di estrogeni e di sostanze chimiche. Del luppolo si utilizzano le infiorescenze femminili, denominate «Coni», chi ama raccoglierli può farlo da agosto a ottobre, quando la rugiada è scomparsa: l’essiccazione avviene in locali arieggiati, lontano dai raggi solari diretti e la conservazione si fa in scatole metalliche o di cartone perfettamente chiuse.
I coni sono ricchi di ghiandole resinose che secernono una sostanza giallastra (dal sapore amaro) utilizzata da tempi immemorabili per conferire alla birra il suo caratteristico sapore, un ingrediente conosciutissimo dalle popolazioni nordiche che per prime avevano iniziato a produrre bevande di cereali profumati con l’aroma di luppolo. Già nell’anno mille in Germania, Boemia e Polonia esistevano grandi coltivazioni di questa pianta usata come importante merce di scambio e ancora oggi, come noto a molti, il luppolo è essenziale per la produzione della birra moderna.
Intorno al VIII secolo, il luppolo era anche coltivato presso i monasteri per la sua fama di anafrodisiaco, vale a dire che le preparazioni di questa pianta aiutavano i monaci a resistere alle «debolezze della carne»; era prezioso anche per le sue proprietà amaro-aromatiche e ricercato come materia prima.
È tra le poche piante selvatiche ancora usate oggi come alimento: i giovani getti che ricordano gli asparagi, entrano in minestre, frittate, insalate. Il luppolo, come si diceva, è ricchissimo di fitoestrogeni, cioè di sostanze ormonali vegetali e per questo può aiutare nelle manifestazioni dolorose delle mestruazioni, dare benessere alle donne in menopausa e sollievo ad adulti o bambini in casi di leggera ansia o disturbi nervosi del sonno, possiede inoltre una spiccata attività antibiotica nei confronti di batteri e funghi patogeni, ha proprietà amaro toniche, digestive, aperitive, blandamente sonnifere.
Il luppolo è reperibile come infuso, tintura madre o estratto secco; come sempre, a questo proposito, avvertiamo che qualsiasi uso «fai da te» è sconsigliabile e richiede comunque un’approvazione del medico. In medicina popolare un decotto in cataplasmi curava punti dolenti e reumatismi.
Un gruppo di ricercatori del dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze dell’Università degli studi di Milano Bicocca, da diversi anni, compie ricerche sulla prevenzione della malattia di Alzheimer mediante sostanze di origine naturale presenti in molte piante e alimenti medicinali, studia quindi i nutraceutici che possono combattere la neuro degenerazione. Questi scienziati stanno dimostrando – con test di laboratorio, approfonditi studi e pubblicazioni – che gli estratti dai fiori di quattro comuni varietà di luppolo utilizzati come componente dell’aroma della birra sono utili per combattere e soprattutto prevenire questa subdola e strisciante malattia neurodegenerativa i cui sintomi appaiono molto tardi, quando danni irreversibili al sistema nervoso si sono prodotti.
Le sostanze chimiche estratte dai fiori del luppolo hanno rivelato proprietà antiossidanti e antibiotiche in grado di inibire l’aggregazione di un tipo di proteine responsabili di questa dolorosa malattia: questa umile pianta per la prima volta ci apre la strada verso prospettive vincenti di prevenzione e guarigione.