Maledetto braccino

Sport - Sovente, nel mondo agonistico, gli outsider che giungono a un passo da un clamoroso successo, crollano sul più bello
/ 03.08.2020
di Giancarlo Dionisio

Nel linguaggio comune, quando si parla di «braccino», si pensa a coloro che fanno fatica ad allungarlo per raggiungere la tasca posteriore dei pantaloni, quella che cela il portafogli. Insomma, «braccino corto» sta per spilorcio, taccagno. 

Nello sport, la prima disciplina a utilizzare questo termine è stato il tennis. Quante volte abbiamo assistito a dei crolli eclatanti? Giocatori che sembravano avere il match nelle loro sapienti mani, e che d’un tratto non riescono più a fare entrare la prima di servizio, spediscono sistematicamente il diritto in corridoio, e vedono rovesci e volées infrangersi sulla rete. È uno sport democratico il tennis. Queste situazioni capitano a tutti, anche ai fenomeni. Non si contano le volte in cui abbiamo visto Roger Federer sottomettere Rafael Nadal e Novak Djokovic alla sua sublime legge, e poi arrancare nel finale quando la vittoria era lì a due passi.

Nel momento in cui mi accingo a scrivere, non so ancora chi vincerà il campionato di calcio in Svizzera e in Italia. Tempo fa, avevo ipotizzato che alla ripresa dei vari tornei, dopo oltre cento giorni di stop, avrebbero trionfato le squadre capaci di gestire meglio la pressione psicologica, quelle con una guida in grado di amministrare saggiamente le risorse mentali dei singoli e del gruppo. Quindi, non necessariamente la più forte sul piano tecnico. 

In Svizzera e in Italia stiamo, o forse è più opportuno dire stavamo, per assistere a una sorta di rivoluzione. San Gallo e Lazio sembravano in grado di infrangere l’egemonia dei club storici, quelli più ricchi. La squadra romana proponeva un gioco arioso, piacevole, spettacolare. Tutto sembrava riuscirle per incanto, a fronte di una Juventus priva di idee e di brillantezza, che reggeva il passo grazie alla classe e all’esperienza di alcune sue individualità. Il dopo Covid-19, per la squadra allenata da Simone Inzaghi, è stata un calvario. La recente sconfitta di Torino, nello scontro diretto, ha praticamente sancito l’abbandono di qualsiasi velleità. 

La Lazio è scivolata al quarto posto, scavalcata anche dalla magica Atalanta e dall’Inter, mentre la Juventus si è avviata verso la conquista del nono scudetto consecutivo. L’ultimo successo al di fuori dell’asse Milano-Torino risale agli anni 1999-2001, quando a imporsi furono nell’ordine, Lazio e Roma, che sono pur sempre la due squadre di «Caput mundi».

Per ritrovare l’ultima provinciale nell’albo d’oro bisogna risalire a trent’anni or sono quando a imporsi fu la Sampdoria di Vialli e Mancini, con Gianluca Pagliuca fra i pali e il granitico Pietro Vierchowod al centro della difesa. Anche in Svizzera pareva di essere vicinissimi a un ribaltone. Dopo 19 anni di dominio assoluto del Basilea (12 titoli), Zurigo (3), Grasshoppers (2) e Young Boys (2), il San Gallo di Peter Zeidler era a un passo dalla mega sorpresa. Matematicamente tutto è ancora possibile, tuttavia i risultati più recenti ci hanno fatto pensare al cosiddetto «braccino». 

Pochi giorni fa la squadra della Svizzera orientale è stata strapazzata per 5 a 0 dal Basilea, e nel turno precedente era stata sconfitta dal Thun, che lotta per non retrocedere. Se aggiungiamo, a fine giugno, il tracollo casalingo, 0 a 4, contro lo Zurigo, vediamo una delle più esaltanti cavalcate del recente passato rischiare di infrangersi contro il solito e solido muro delle grandi.

Proprio il San Gallo, a cavallo fra il secondo e il terzo millennio, era stata l’ultima «piccola» a sgretolare la grande muraglia che circonda il triangolo Basilea-Zurigo-Berna. È difficile analizzare le ragioni di queste inopinate battute d’arresto. Possiamo ipotizzare che guidare una classifica, guardare il resto del mondo dall’alto, possa provocare vertigini, quindi perdita dell’equilibrio e rischio di cadute. La malattia ha cause fisiche, legate prevalentemente all’apparato uditivo, ma cela anche disturbi della sfera psicologica. Mi viene da pensare a quanto possa aver influito sui risultati calcistici l’assenza del pubblico, con i suoi canti, i suoi slogan, i suoi rumori. 

Tuttavia il pensiero corre anche alla perduta e sorprendente normalità, alle rare situazioni in cui l’egemonia delle grandi è stata infranta dal coraggio e dalla spavalderia di una piccola. Come non ricordare il trionfo del provincialissimo Leicester City di Claudio Ranieri nella Premier League del 2016, con le squadre di Londra, Manchester e Liverpool tutte lì, a osservare da lontano il ballo della Cenerentola. 

Sono queste le storie che danno sapore al calcio e allo sport in genere. Per questa ragione, per dirla con Jovanotti, un eventuale titolo del San Gallo o una rimonta dell’Atalanta sulla Juventus, sarebbero «una libidine, una rivoluzione».