Capire il dolore che accompagna le malattie reumatiche per evitarne la cronicizzazione: questo il filo conduttore della Giornata pubblica che Lega ticinese contro il reumatismo e Lega svizzera contro il reumatismo propongono alla popolazione lunedì 19 settembre al Palazzo dei Congressi di Lugano, con entrata libera. «Le malattie reumatiche raggruppano un ventaglio di oltre 200 quadri clinici diversi, con sintomi e disturbi che coinvolgono l’apparato locomotore: muscoli, ossa, articolazioni, legamenti e tendini». A parlare è il reumatologo Numa Masina che presiede la Lega ticinese contro il reumatismo di cui cita alcune forme: «Mal di schiena, artrite, artrosi, osteoporosi, fibromialgia, lupus e gotta sono fra quelle più conosciute. Si usa inoltre differenziare le malattie reumatiche infiammatorie e autoimmuni da quelle meccaniche e degenerative». In Svizzera, una persona su quattro soffre di reumatismi, per un totale di circa due milioni di persone, mentre i costi che ne derivano ammontano a circa 23 miliardi di franchi all’anno.
Quando si parla di malattie reumatiche, è inevitabile parlare di dolore perché, spiega Masina: «Sono patologie in numero nettamente superiore alle altre, il cui sintomo cardine è il dolore. Il paziente non arriva dal reumatologo se non sente dolore e di norma dice: “Dottore, ho male qui”, oppure, dopo un’adeguata presa a carico: “Dottore non ho più male”. È perciò importante definire e capire il concetto di dolore». Secondo l’Associazione internazionale per lo studio del dolore (IASP), «Il dolore è un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole, associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno». Dal canto suo, la fisioterapista Martina Rothenbühler (consulente della Lega svizzera contro il reumatismo) ne descrive le molte sfaccettature e lo definisce come sordo, acuto, profondo o superficiale: «Esiste il dolore a riposo e quello sotto sforzo, quello intenso o solo un disturbo lieve, costante o intermittente. Per la sua natura di sintomo, il dolore viene scatenato da stimoli dolorosi come pressione, calore, freddo intenso o infiammazione; determinanti sono quindi gli stimoli meccanici, termici o chimici nei tessuti del corpo, anche se a volte un’altra percezione sensoriale, un pensiero o un ricordo sono sufficienti per farci sentire dolore». Di per sé, dunque, anche nell’ambito delle malattie reumatiche il dolore è indispensabile per permetterci di comprendere che in quel tessuto sta succedendo qualcosa, come spiega il reumatologo: «È un vero e proprio sistema di allarme che ha lo scopo di avvertire di un possibile pericolo, idealmente anche prima che il tessuto sia effettivamente danneggiato. È da lì che parte lo stimolo neurologico, per mezzo di un recettore dell’articolazione dolente che si attiva attraverso un processo chimico il cui impulso risale a sua volta lungo il percorso dei nervi spinali fino al cervello che poi lo elabora e lo trasmette sotto forma di dolore».
La fisioterapista spiega che il vero problema nasce con la cronicizzazione del dolore: «in questi casi può occupare un campo di proiezione sempre più grande nel sistema nervoso centrale e sul corpo». In altre parole: se il dolore diventa cronico, occupa più spazio del necessario: «È reale, non immaginario. Tuttavia, non rivela nulla sull’entità della lesione o del pericolo per il corpo». Il dottor Masina rivela l’entità delle ripercussioni causate dal dolore cronico anche da un punto di vista economico-sanitario, a suffragio dell’importanza di prevenirlo per quanto possibile e prenderlo seriamente a carico con soluzioni interdisciplinari di differenti specialisti che collaborano con il paziente per una sua gestione consapevole: «Prendiamo ad esempio il mal di schiena: quando si risolve l’origine del problema, il dolore persiste anche se la causa non è più reale. Allora si generalizza, si allarga e diventa autonomo senza l’input dell’iniziale stimolo periferico che lo aveva generato. Ciò causa importanti costi nella sanità, anche se è piuttosto raro e tocca circa il 5 per cento o poco meno dei pazienti». Il dolore cronico va comunque considerato molto seriamente anche perché, prosegue il medico: «La sofferenza di chi ne è colpito fa lievitare i costi indotti del 20-30 per cento e, non da ultimo, cronicizzando diventa molto più difficile da curare». È essenziale riprenderne il controllo, consiglia Rothenbühler: «Il dolore cronico nasce da una concatenazione di fattori biologici, emotivi e psichici che si potenziano negativamente a vicenda. Allora, bisogna saper chiedere un aiuto professionale e il medico di base può supportare nel trovare lo specialista adatto».
Reumatologo e fisioterapista concordano sul fatto che, per quanto riguarda il dolore vero e proprio «il maggiore esperto è sempre il paziente colpito: solo lui sente e conosce il disturbo. Perciò, tenere un diario del dolore per dieci o quattordici giorni può aiutare a renderlo più tangibile». Le domande chiave: cosa allevia il mio dolore? Cosa mi fa bene? Cosa lo intensifica? Poi bisogna trattarne le cause e anche questo procedere è affrontato in modo interdisciplinare fra gli specialisti che si occupano collegialmente del paziente: reumatologo, psicoterapeuta o psichiatra (che non sottintende assolutamente la presenza di una malattia mentale ma si situa nell’ambito della presa a carico e un’eventuale prescrizione di farmaci antidepressivi o neurolettici), e altre figure scelte in modo individuale fra cui la fisioterapista: «Bisogna trattare le cause: se il dolore ha origine fisica è necessario ricorrere a un trattamento; le infiammazioni e le malattie sottostanti sono trattate principalmente con i farmaci, mentre i problemi meccanici in prevalenza con la fisioterapia o la terapia occupazionale (non passiva ma votata alla responsabilizzazione del paziente), vale a dire attraverso un allenamento mirato e, se questo non fosse possibile, anche chirurgicamente». Per evitare comportamenti scorretti, gli obiettivi terapeutici poggiano su criteri soggettivi e andrebbero formulati in modo positivo: dovrebbero rispondere a domande come: «Cosa mi fa bene? Cosa desidero ottenere? Cosa vorrei evitare?». Una riflessione dei due professionisti sulle persone colpite dal dolore: «Esse sono spesso limitate nelle loro azioni, intrappolate in uno schema di passività che nuoce a una buona prognosi nella gestione e nella risoluzione del dolore stesso». Movimento e rilassamento sono componenti fondamentali della terapia del dolore, concludono Masina e Rothenbühler: «L’esercizio fisico deve essere divertente, individualizzato e orientato alle esigenze personali; il rilassamento non significa necessariamente ozio passivo ma si realizza quando il cervello si trova nel giusto punto di equilibrio tra sovraccarico e sollecitazioni insufficienti».