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Sul tema dei disturbi della tiroide, mercoledì 2 marzo, alle 18.30 sarà possibile seguire una conferenza pubblica virtuale, nella quale si potranno porre domande ai due specialisti qui intervistati (le coordinate per accedere al Webinair si trovano seguendo questo link).


Malattie e disturbi della tiroide

Medicina - Sintomi, diagnosi e terapie personalizzate di questa ghiandola per un ottimo equilibrio ormonale
/ 28.02.2022
di Maria Grazia Buletti

«La tiroide è una ghiandola endocrina posta nella regione anteriore del collo, il cui compito principale è produrre gli ormoni tiroidei (T3, T4) funzionali a tutto il nostro organismo». Il professor Pierpaolo Trimboli, caposervizio di Endocrinologia e Diabetologia all’Ospedale Regionale di Lugano (nella foto, in presenza), definisce questa importante ghiandola a forma di farfalla: «È essenziale in tutte le fasi della vita perché nessun organo o tessuto ne può fare a meno».

Gli ormoni tiroidei sono prodotti a seguito della richiesta del nostro organismo, in un equilibrio votato a controllare importanti processi biologici come la regolazione di numerose funzioni metaboliche fondamentali. Per una serie di ragioni, qualche volta la tiroide non funziona come dovrebbe e ciò tocca le donne in maggior misura per rapporto agli uomini, anche a causa della fluttuazione ormonale cui sono soggette nel corso della loro vita.

«Ad oggi, disturbi della tiroide come gozzo e noduli tiroide sono molto frequenti nella popolazione, soprattutto femminile, dopo i 40-50 anni»

«Alla tiroide sono riconducibili due tipi di disturbi: quelli locali come gozzo, noduli e tumori, e quelli funzionali come iper e ipotiroidismo», afferma Trimboli, spiegando che i campanelli d’allarme per fare capo all’approfondimento medico sono spesso singolarmente riferibili anche ad altre problematiche: «Ad esempio, tachicardia, palpitazioni, insonnia non riconducibile a cause specifiche che si protrae per un lungo periodo, sono sintomi generici che però, se si accompagnano uno con l’altro, potrebbero farci pensare a un cattivo funzionamento della tiroide con eccesso di produzione ormonale».

Non è il caso di allarmarsi, ma è importante approfondire anche in presenza di altre manifestazioni locali: «Ad esempio, chi nota una tumefazione nella regione tiroidea o del collo dovrà discutere col medico una visita specialistica atta a individuare eventuali noduli, solitamente benigni pure se esistono più raramente anche tumori maligni». Per quanto attiene alle patologie tiroidee cosiddette locali, «Il gozzo, la cui dimensione può variare, è semplicemente un aumento di volume, spesso piccolo e senza sintomi o fastidi, della ghiandola tiroidea».

Quando l’aumento volumetrico è più importante: «È dovuto al maggior fabbisogno di ormoni tiroidei da parte del metabolismo che la tiroide non riesce a soddisfare. Allora, l’aumento anche considerevole di volume è un modo per aumentare la produzione di T3 e T4, e potrebbe portare alla compressione degli organi adiacenti (esofago e trachea) con disturbi della respirazione o della deglutizione». Ricordiamo il «gozzo endemico»: «Oramai quasi superato, è riconducibile al passato quando l’alimentazione della popolazione locale delle valli comportava un’importante carenza di iodio; il conseguente malfunzionamento tiroideo conduceva proprio a un aumento della ghiandola per compensare la richiesta ormonale dei tessuti periferici».

Il professor Luca Giovanella, Primario Clinica di Medicina Nucleare e Imaging Molecolare EOC (nella foto, in video), spiega invece l’origine dei noduli tiroidei diagnosticabili e all’occorrenza trattati con isotopi radioattivi in Medicina nucleare: «Sono vere e proprie tumefazioni: formazioni solide (o in alcuni casi piene di liquido) che si formano all’interno della ghiandola». Egli li annovera fra le più frequenti malattie tiroidee, sebbene quasi sempre benigni (solo il 2-5 per cento dei casi ha caratteristiche maligne: tumori della tiroide): «Ad oggi, disturbi della tiroide come gozzo e noduli tiroidei sono molto frequenti nella popolazione, soprattutto femminile, dopo i 40-50 anni. Riconducibili spesso alla carenza di iodio (elemento importante che condiziona la produzione di ormoni e il buon funzionamento della tiroide, ndr), le patologie e i disturbi legati a questo organo si potrebbero prevenire con un sano stile di vita a partire da dieta, controllo del peso e movimento adeguato».

Sui tumori maligni egli puntualizza: «Sono dovuti a una trasformazione maligna di una o più cellule tiroidee con conseguente crescita incontrollata, ma si tratta di tumori tendenzialmente a crescita molto lenta e poco aggressivi». Trimboli torna sui disturbi funzionali della tiroide: «È ipertiroidismo quando la tiroide produce un eccesso di ormoni tiroidei, e ha come sintomi più frequenti perdita di peso, nervosismo, ansia e cambi di umore».

Quando la tiroide non produce abbastanza ormoni tiroidei, «Si verifica l’ipotiroidismo, che potrebbe causare problemi metabolici, ma non bisogna cadere nell’errore di assoggettare all’ipotiroidismo un eventuale aumento di peso. Piuttosto è il contrario: un repentino aumento ponderale comporta il rischio di sviluppare il diabete. Per analogia, tutti gli organi che producono ormoni saranno in difficoltà e cercheranno di compensare con un aumento ormonale rapido e spropositato. Piuttosto che artefice, ecco che la tiroide è quindi vittima dei chili in più, perché può essere in difficoltà nell’adeguare la produzione ormonale al cambiamento di fabbisogno dell’organismo».

Giovanella, dal canto suo, spiega che l’utilizzo di nuove tecnologie (principalmente l’ecografia) per la diagnosi dei disturbi tiroidei abbia portato negli ultimi dieci anni alla scoperta di un numero sempre maggiore di noduli: «Si calcola che l’incidenza di noduli “clinici” (cioè abbastanza grossi da essere scoperti dai pazienti o dal medico con la semplice ispezione del collo) riguarda il 5-10 per cento della popolazione. Grazie alle ecografie si riesce a diagnosticare e monitorare anche noduli tiroidei di piccole dimensioni che alla palpazione non sarebbero evidenziati».

Ne consegue che oggi l’incidenza dei noduli tiroidei dopo i 50 anni raggiunge addirittura il 30-40 per cento della popolazione. «Di tutti questi, solo il 3-5 per cento sono maligni, a prescindere dalle loro dimensioni». La diagnosi passa attraverso diverse tappe e analisi concordate con il medico, spiega Giovanella: «In prima battuta: ecografia e dosaggio degli ormoni tiroidei. Se è presente un disturbo funzionale (ipo o iper) si procede con l’opportuno trattamento che in genere è di natura medica. Se invece siamo dinanzi a un nodulo tiroideo, si prosegue con ulteriori indagini (scintigrafia in caso di iperfunzione, biopsia in caso di caratteristiche ecografiche sospette) per avere indicazioni sulla sua funzionalità e benignità o meno».

La diagnosi finale comporterà la giusta scelta terapeutica: «Di norma, i noduli benigni non funzionanti non necessitano alcuna terapia, a meno che le loro grosse dimensioni (più di 3-4 cm.) siano tali da causare sintomi come compressione, disfagia, compressione tracheale o disfonia. In questi casi può essere necessario un intervento chirurgico». Nel caso di noduli maligni la chirurgia è invece obbligatoria, con prognosi di guarigione per oltre il 90 per cento dei casi». Entrambi gli specialisti concordano sulla personalizzazione della cura in base alle caratteristiche cliniche del paziente e al suo problema: «Una terapia basata sul rischio individuale, che sarà meno invasiva per i casi con buona prognosi. Mentre le terapie più complesse sono riservate alle sole forme aggressive».