L’utilità del rimpianto

Psicologia – Secondo Daniel H. Pink, autore bestseller americano, se riconsideriamo il nostro passato in maniera corretta, possiamo avere un presente migliore
/ 30.05.2022
di Stefania Prandi

«Non rimpiango niente. Ho pagato, spazzato via, dimenticato. Me ne frego del passato». Così cantava Edith Piaf nel celebre pezzo Non, je ne regrette rien. In realtà è quasi impossibile non avere qualcosa da recriminarsi. Anzi, la sensazione legata all’idea che si sarebbe potuto agire diversamente, evitando di perdere delle occasioni e cambiando il corso della propria vita, è tra le più logoranti. In un esperimento di qualche anno fa, è stato chiesto a un gruppo di persone di descrivere il loro peggior rimpianto prima di andare a letto. Chi lo ha fatto ha impiegato oltre il doppio del tempo per addormentarsi rispetto a chi ha semplicemente immaginato una giornata normale.

Il problema è la tendenza inconscia a focalizzarsi sugli elementi negativi del passato, attraverso il cosiddetto «pensiero controfattuale», un processo col quale si smontano gli eventi già accaduti per ricostruire un futuro che si sarebbe potuto realizzare, ma che invece non c’è stato. Perché un’attitudine così sgradevole è onnipresente? Secondo Daniel H. Pink, autore bestseller americano, che ha trascorso anni in ricerche sul tema, la risposta è che il rimpianto è utile, se usato in maniera corretta. In The Power of Regret: How Looking Backward Moves Us Forward (Il potere del rimpianto: come guardare indietro ci fa andare avanti), Pink ha esaminato dati e storie da tutto il mondo. Sul suo sito web, World Regret Survey – si può ancora partecipare al sondaggio, bastano tre minuti per compilare il formulario – ha raccolto più di diciannovemila testimonianze da oltre cento diversi Paesi, chiedendo di rispondere alla domanda: «Quanto spesso ti capita di ripensare al passato e desiderare di aver fatto le cose in modo diverso?». Oltre l’ottanta per cento delle persone ha raccontato che il rimpianto è una parte almeno occasionale delle proprie giornate, mentre un quinto ha detto di provarlo «continuamente». In Svizzera i rimorsi sono stati di non avere interrotto prima un matrimonio che non funzionava, di non essere stati abbastanza vicini ai figli durante l’adolescenza e di non essere riusciti ad essere «la versione migliore di se stessi». Più pragmatici altri popoli, come gli australiani, che si pentono di avere copiato agli esami, di non avere investito in criptovalute oppure di non avere cominciato prima a praticare yoga. «Il rimpianto è una delle emozioni negative più comuni», spiega Pink ad «Azione». «È una caratteristica della condizione umana. Infatti, gli unici che non lo provano sono i bambini piccoli il cui cervello non si è ancora sviluppato del tutto, le persone con malattie neurodegenerative e i sociopatici. Tutti gli altri lo sperimentano, prima o poi, perché la nostra macchina cognitiva è pre-programmata in tal senso dato che, se lo trattiamo correttamente, può essere incredibilmente utile».

La mancanza di coraggio è il rammarico più diffuso. Essere stati incapaci di uscire dalla propria comfort zone, osando qualcosa di nuovo, fa stare peggio degli errori commessi. «Se solo avessi colto l’occasione; se solo avessi chiesto a quella persona di uscire con me; se solo avessi viaggiato; se solo avessi parlato», si rimproverano in tanti. Ad esempio, una donna del Minnesota, negli USA, ha raccontato di non avere intrapreso una carriera artistica per colpa delle pressioni della famiglia. «E ora sono bloccata dietro una scrivania, impigliata nella burocrazia gestionale e la vita mi sta prosciugando». Il dispiacere per non avere osato è dovuto, secondo Pink, al fatto che a volte sopravvalutiamo i rischi e le difficoltà e non riusciamo a passare all’azione. Un altro rimpianto frequente è legato alle relazioni: il dispiacere di non essere stati più gentili con il proprio partner e avere rovinato una storia d’amore oppure avere trascurato il legame con un genitore o un amico prima della sua morte.

Molti rimpianti di «connessione» si sovrappongono a quelli «morali», in cui si è passati sopra i propri valori. «Sono rimasto sbalordito da quanta gente si è pentita di aver maltrattato dei coetanei, da giovane, oppure di essere stata infedele nel matrimonio», spiega Pink. Un quarto tipo è legato all’«incapacità di essere responsabili» per cui si è fatto qualcosa che ha influenzato il corso dell’esistenza in un modo che non piace. Un esempio classico è il rimorso di non avere studiato abbastanza oppure di non essersi trasferiti in una grande città, quando c’erano le condizioni adatte, per un capriccio. Anche il troppo lavoro è qualcosa che si può detestare, come ha scritto una giornalista e autrice americana che, a quarantacinque anni, si è pentita di avere dedicato tutta la sua esistenza al sistema mediatico, senza trovare tempo per il resto: «C’è una citazione di Dolly Parton a cui continuo a pensare e che dice: non essere mai così impegnata a guadagnarti da vivere da dimenticarti di farti una vita».

Di fronte a questo male comune, sostiene Pink, possiamo solo cercare di chiedere alla nostra voce interiore di smettere di lamentarsi e massimizzare quello che non abbiamo fatto, per un presente migliore. «Se sappiamo cosa rimpiangiamo, possiamo anche capire cosa apprezziamo di più. Ognuno dei quattro tipi di rimpianto rivela i nostri bisogni umani fondamentali; di apprendimento e di crescita; di bontà; di amore; di sicurezza. Dovremmo quindi evitare di cadere di nuovo negli stessi errori e non preoccuparci troppo di tutto il resto». Invece di crogiolarci nel passato, dobbiamo affrontarlo: «Quando proviamo un rammarico, occorre riconoscerlo e poi trattarci con gentilezza anziché con disprezzo. Bisogna parlarne o scriverne, per convertire l’astrazione emotiva in parole concrete che ci aiutino a dare un senso alle nostre scelte. E serve fare un passo indietro, guardando la nostra situazione dall’esterno. Se seguiamo questo semplice processo in tre fasi, possiamo utilizzare i nostri rimpianti come forza positiva nella nostra vita».