«Lo psicologo mi chiese se avevo una ragazza, e io risposi di no. E poi mi chiese se ero mai stato innamorato. Ecco, dunque, una volta io credetti di esserlo: mi fischiavano le orecchie, il cuore mi batteva, ero tutto rosso... avevo la varicella»: con il suo noto tono amaro, ironico e scanzonato, Woody Allen dà un colpo di scure alla figura dello psicologo e alla sua importanza. Atteggiamento dietro il quale si cela un certo reale pregiudizio sociale che ci spiega il presidente dell’Associazione ticinese psicologi Matteo Magni, psicologo e psicoterapeuta.
Lo incontriamo per parlare proprio del ruolo dello psicologo e delle sue competenze al servizio della salute: «Le persone sanno prodigarsi a consigliare a un loro conoscente di andare dallo psicologo, ma se chiedessimo loro: “Lei ci andrebbe?”, allora incontreremmo qualche perplessità unita a una certa reticenza». Si tratta di preoccupazioni radicate nel pregiudizio che ancora oggi avvolge questi professionisti del benessere psicologico: «Sembra che nell’immaginario collettivo ticinese la psicologia sia considerata una risorsa a cui attingere solo in casi gravi come dipendenze, alcolismo, gioco d’azzardo, depressione o una grave malattia». Magni conferma che quando si parla di situazioni in cui l’impressione di gravità è considerata minore, si nota una maggiore reticenza a far capo all’aiuto di uno psicologo: «Pensiamo ad esempio a sbalzi d’umore, stress, problemi di coppia, difficoltà lavorative e quant’altro».
La popolazione non conosce (e non riconosce) ancora il ruolo di questa professione. Lo testimoniano già nel 2010 i dati raccolti nel rapporto finale della ricerca PsychImage, realizzata nell’ambito dell’Università della Svizzera italiana (USI): «Lo scopo di quella ricerca era mirato a descrivere l’immagine che l’opinione pubblica ha degli psicologi in Ticino e sono emersi parecchi punti critici tra i quali, ad esempio, il minore prestigio della figura professionale dello psicologo rispetto ad altre professioni che operano nel campo della salute, ma soprattutto la scarsa informazione sulle diverse professioni psicologiche e sulla formazione che vi sta a monte».
Sulla base di queste osservazioni, lo scorso autunno l’Associazione ticinese psicologi (ATP) ha promosso su più fronti la campagna informativa «C’è un modo migliore», volta per prima cosa a fare chiarezza sulla formazione dello psicologo: «È una persona laureata in psicologia, che ha conseguito un master sulla base del quale può decidere di dedicarsi a un’ulteriore specializzazione in uno dei parecchi ambiti specifici della professione». Si parla ad esempio di psicologia clinica, neuropsicologia, psicologia oncologica, legale, del lavoro, dell’emergenza, dello sport, del traffico, dell’approccio alla persona anziana, della psicoterapia, per citarne solo alcune.
La campagna promossa dall’ATP mirava altresì a permettere di focalizzare l’attenzione sul sostegno che questa figura professionale può offrire alle persone in un momento di difficoltà della propria vita: «Una figura positiva, con competenze di base elevate, che in un primo approccio con chi vi si rivolge ha il compito di analizzare la situazione, individuare le risorse personali dell’individuo e accompagnarlo alla loro scoperta, affinché egli sappia attingervi per attraversare il momento difficile, rinfrancarsi e risolvere quelle problematiche che in quello scorcio di vita gli hanno creato un vero disagio dal quale di primo acchito non sapeva uscire da sé». La figura dello psicologo è allora sdoganata come una figura professionale a cui ci si può rivolgere per affrontare in modo efficace una vasta gamma di situazioni con le quali si può essere confrontati nel corso della vita. Il nostro interlocutore ribadisce dunque il concetto di base: «Bisogna che le persone siano persuase che non ci si rivolge allo psicologo solo nei casi ritenuti comunemente gravi, e che lo psicologo dispone di una formazione di qualità e di strumenti da mettere in campo per affrontare le situazioni ritenute difficili dalla persona che gli si rivolge».
Nell’immaginario collettivo serpeggia inoltre quel sottile timore di restare dipendenti dallo psicologo a cui ci si rivolge: «Vai dallo psicologo? Sì, da 15 anni soli. 15 anni? Sì: gli concedo un altro anno, poi vado a Lourdes». Prendiamo ancora ad esempio Woody Allen e Diane Keaton nella loro interpretazione del sentire comune. Matteo Magni dissente da questo pregiudizio: «Non è così: oggi viviamo in un tempo frettoloso, ma noi non ne facciamo una questione di tempo o di fretta. E ricordiamo che, malgrado il turbinio della società, talvolta può essere benefico fare una pausa dedicandosi a se stessi attraverso l’aiuto o la consulenza dello psicologo». Il tempo necessario è perciò soggettivo: «Ciascuno ha un ritmo personale nell’individuare il proprio problema e le relative risorse da mettere in campo per venirne a capo. Allo psicologo compete il saper favorire i tempi della persona in viaggio verso la maggiore indipendenza e autonomia. Starà a ognuno comprendere quando sarà il momento di riprendere a camminare da solo e andarsene con le proprie gambe, così come è arrivato dallo psicologo». Quindi Magni dice che l’accompagnamento da parte dello psicologo dura fintanto che la persona ne sente l’utilità.
Parafrasando la campagna informativa, talvolta è utile ricorre a «un modo migliore», allo psicologo, affrontando insieme le difficoltà di vita per le quali non ci pare di trovare le risorse immediate. «Attraverso il suo accompagnamento si riceve un aiuto nel focalizzare le proprie risorse e competenze, le si riconosce e, di conseguenza, si riesce a migliorare la propria vita». Infine un bilancio: «La campagna appena promossa ci ha permesso anche di informare in modo più preciso sulle nostre competenze e sulle risorse cui possiamo attingere: chi siamo e cosa facciamo è oggi più chiaro e comprensibile e coloro i quali desiderano saperne ancora di più possono far capo al nostro sito www.psicologi-ticino.ch».