«Nel 2000 la mia insufficienza renale mi ha portato per la prima volta a dovermi sottoporre all’emodialisi. Poi, nel 2002 mi sono sottoposto a un trapianto di rene che è durato fino al 2013, quando sono ritornato all’emodialisi a cui tutt’oggi mi sottopongo per quattro ore, tre volte alla settimana». Incontriamo il signor Levon Manukyan all’Ospedale Regionale di Lugano (Orl), nel nuovo reparto di emodialisi che lo accoglie insieme ad altri pazienti. Come egli stesso ci ha raccontato, vi si reca tre mattine ogni settimana per quella che è una terapia sostitutiva della funzionalità renale criticamente ridotta, trattamento senza il quale non gli sarebbe possibile sopravvivere.
«La natura è molto generosa e ci ha dato due reni proprio come misura di sicurezza funzionale; essi sono organi vitali con il compito di filtrare il sangue per mantenerlo pulito dalle scorie del metabolismo. Producono inoltre ormoni necessari a garantire ossa forti e sangue sano. Se cessano di funzionare si assiste a un accumulo di sostanze di scarto che diventano tossiche. Ma solo quando la loro funzione si avvicina al 10% si rende necessaria quella che noi chiamiamo una terapia sostitutiva renale», esordisce il primario di nefrologia dell’Orl Carlo Schönholzer che vanta una trentennale esperienza nel campo specifico e sottolinea che il 10% è solo indicativo e non un limite assoluto: «Noi non dializziamo per cifre, ma consideriamo ciascun paziente nella sua storia personale relativamente ai suoi disturbi». Disturbi come stanchezza, inappetenza, meno voglia di mangiare proteine, nausea… «Disturbi che, sorprendentemente, il paziente non manifesta fino al momento in cui la funzionalità renale scende al 20% o persino meno, ma che si acutizzano attorno al 10%. È a quel punto che cominciano i problemi maggiori. E allora si considera, come dicevamo, una terapia renale sostitutiva» spiega Schönholzer.
Le statistiche nordamericane (e questo vale anche per la Svizzera) mostrano che l’insufficienza renale cronica colpisce un 10% della popolazione adulta. Si tratta però di una malattia degli anziani, in quanto dai 70 agli 80 anni essa sale al 20/30%, anche se poi solo una piccola parte di questi pazienti ha una progressione fino ad essere dialisi-richiedente». Si tratta pur sempre di una malattia cronica «della quale possiamo rallentare la progressione, ma anche questo discorso è molto individuale da paziente a paziente» spiega il nefrologo. Egli descrive come relativamente rara l’eventualità che l’insufficienza renale sia dovuta a una malattia renale vera e propria: può colpire persone giovani e più anziane, ma molto più spesso si tratta di un danno renale come conseguenza di altre patologie primarie quali l’ipertensione arteriosa, diabete e fumo.
Per evitare la necessità di sottoporsi a dialisi, la terapia consiste in farmaci, una dieta con consumo limitato di proteine animali e di sale, e nella sospensione del fumo di sigarette, tutto con lo scopo di ritardare la progressione della malattia. Di insufficienza renale non si guarisce, ma un approccio multidisciplinare consente di accompagnare il paziente nelle cure, garantendogli la possibilità di usufruire di diversi servizi complementari tra cui il dietista, sostegno psicologico, assistenti sociali e quant’altro.
In quanto alla presa a carico nefrologica: «La terapia renale sostitutiva può essere l’emodialisi, la dialisi peritoneale (ndr: il processo di depurazione del sangue avviene all’interno dell’organismo sfruttando come membrana dializzante il peritoneo) o un eventuale trapianto renale». Il dottor Schönholzer ribadisce la volontà di offrire a ciascun paziente soluzioni personalizzate: «Può trattarsi dell’emodialisi all’Ospedale, nel nostro nuovo reparto, ma anche a domicilio, emodialisi in casa per anziani (a Lugano, a Casa Serena, disponiamo di un centro di emodialisi, unico in Svizzera), dialisi peritoneale che il paziente può fare a domicilio, assistita o autonomamente. Fino al trapianto per il quale annunciamo la persona su una lista d’attesa e lo accompagniamo lungo l’iter di preparazione».
Nel 2018 il reparto di Emodialisi dell’OrL raggiungerà i 50 anni di attività; pratica 15mila trattamenti di emodialisi all’anno per un centinaio di pazienti fra ambulanti e degenti, e quest’anno è stato completamente rinnovato e offre, oltre al trattamento con tecnologie avanzate, sicurezza e confort per tutti i pazienti. Non dobbiamo dimenticare che queste persone vi trascorrono gran parte del loro tempo e che il trattamento non è sempre facile da sostenere. Personale ben formato e specializzato, conoscenza reciproca approfondita nell’accompagnamento di ciascun paziente, spazi di lavoro confortevoli e sicuri fanno la differenza.
Ritornando alla testimonianza del signor Manukyan, egli ci confida le difficoltà di accettazione iniziali di questa condizione, correlate al fatto di dipendere così strettamente da una macchina senza la quale, detto da lui: «non sarei sopravvissuto». Facendosi portavoce anche dei suoi compagni di stanza, egli afferma: «Oggi ho imparato a vivere questa condizione in modo più rilassato e nella stanza dove mi sottopongo a emodialisi siamo un gruppo di tre pazienti: chiacchieriamo, disponiamo di un tablet che ci permette di trascorrere il tempo in modo variato, leggiamo e ci affidiamo al personale infermieristico che oramai è un po’ la nostra seconda famiglia».
Fondamentale il rapporto di conoscenza e relazionale che si instaura tra pazienti e curanti: «La paziente che più a lungo ha fatto l’emodialisi da noi ha iniziato all’epoca della pietra», sorride il nefrologo raccontandoci che questa signora fece emodialisi per più di trent’anni. «Stiamo però curando anche un paziente che è stato trapiantato 32 anni fa e ci occupiamo di parecchi pazienti trapiantati più di 25 anni fa. Siamo contenti di questo centro di emodialisi e siamo altresì molto favorevoli a incentivare i trattamenti a domicilio o in casa per anziani» conclude il dottor Schöhnholzer.
Dal canto suo, il nostro paziente ci regala una saggia riflessione: «Quando ci rendiamo conto che la nostra vita di pazienti dializzati dipende da questa macchina, lo accettiamo e ci abituiamo e questo ci permette di viverla in modo meno pesante. In fondo, qualsiasi difficoltà bisogna affrontarla con un po’ di coraggio».