Bibliografia

Colin Fraser, L’enigma delle valanghe, Zanichelli (Bologna), 1970,236 pp.
Giovanni Kappenberger & Jochen Kerkmann, Il tempo in montagna. Manuale di meteorologia alpina, Zanichelli (Bologna) 2004, 254 pp.
Charles Pierre Péguy, La neige, Presses Universitaires de France (Paris), 1952, 119 pp.


L’insidia invernale che aleggia nelle alpi

Climatologia - Le valanghe hanno terrorizzato per secoli i popoli di montagna, ma oggi sono soprattutto i cittadini a esserne maggiormente coinvolti
/ 07.03.2022
di Alessandro Focarile

Nel sortilegio della montagna innevata si inserisce la fredda, insidiosa e tragicamente suggestiva valanga ricorrente, conosciuta ed eccezionale, minuscola o immane, candida e precipite nuvola distruttrice, con il buono e il cattivo tempo, d’inverno e primavera, improvvisa e imprevedibile o attesa, e spesso provocata, dall’uomo. (Filippo Guido Agostini, in L’enigma delle valanghe, di Colin Fraser 1970).

Giovedì 22 gennaio 2015. Tre californiani, che praticano lo sci fuori pista, si apprestano a scendere da oltre 3500 metri lungo un canalone sul versante italiano del Monte Bianco, in valle Ferret. Il giorno precedente era caduta molta neve, pesante a causa della temperatura bruscamente aumentata anche in altitudine. Sono le 11.30 del mattino, il primo sciatore inizia la discesa, e provoca una valanga che lo travolge e lo trascina per centinaia di metri. A recuperarlo, sotto venti centimetri di neve, le squadre di soccorso intervenute nonostante il pericolo di altre valanghe. Morirà dopo qualche ora all’ospedale di Aosta.

Troppe valanghe causate dall’uomo titolava «La Stampa» del 17 dicembre 2014, riferendo di una precedente valanga (con un morto) causata dalla contemporanea presenza di una ventina di sciatori fuori pista. Il sovraffollamento della montagna è uno dei fattori di più forte rischio per gli incidenti da valanga. Il 60 per cento di questi eventi, come detto, sono causati dagli sciatori fuori pista (detti freeriders), sci-alpinisti che si avventurano non solo fuori dal tracciato di sicurezza, ma anche fuori stagione e fuori orario. Del tutto recentemente si sono aggiunti anche i ciaspolisti, escursionisti che vanno in montagna con le racchette da neve a volte in allegre e incoscienti brigate.

Nel corso di quella stagione, e sempre in Valle d’Aosta, sono cadute 200 valanghe, ma ben 1304 durante l’inverno precedente, particolarmente nevoso. Negli ultimi decenni, il fenomeno ha assunto aspetti e dimensioni preoccupanti in tutte le Alpi.

Le cause sono molteplici e differenziate: 1. la sempre più fitta e periodica presenza dell’uomo che aumenta la probabilità di disgrazie; 2. l’accelerata, e spesso disordinata e imprevidente aggressione (edilizia, viabilistica, idro-elettrica) del bosco e un lento ma determinante mutamento della copertura vegetale dei pascoli, che va a creare il permanere e il consolidamento non del bosco protettore, bensì di superfici coperte da cespugli non più eliminati di anno in anno (come i rododendri, i ginepri, l’ontano verde) giunto quest’ultimo soltanto 3mila anni or sono insieme con l’abete rosso. Cespugli, uniti all’erba non falciata né bruciata, che creano ottime superfici di scivolamento per il manto nevoso. E infine: 3. per i mutamenti climatici in atto: insoliti e improvvisi aumenti di temperatura provocano lo scioglimento degli strati-superiori di neve e le successive diminuzioni termiche che li solidificano (congelandoli). Ulteriori nevicate si depositano su superfici instabili che agevolano lo scivolamento delle valanghe.

Essenzialmente, le valanghe sono un meccanismo di eliminazione per gravità della neve dalle quote superiori di una montagna. In sostanza si tratta di una frana di masse di neve e/o di ghiaccio in condizioni di equilibrio instabile lungo un pendio superiore a 30 gradi. La valanga può essere provocata per scivolamento di masse di neve fresca su una superficie di neve vecchia, più o meno consolidata per effetto del proprio peso. Particolarmente in primavera, il parziale disgelo della massa nevosa – dovuto all’aumento termico dell’aria e a un apporto di calore dal basso verso l’alto – provoca una valanga di neve pesante, detta di fondo, con conseguente trascinamento di vegetali e piccoli animali, dall’alto verso il basso in un ammasso di fanghiglia.

Nel Cantone Ticino, la Valle Bedretto è nota da vecchia data per il flagello bianco: posta al confluire delle sorgenti di cinque fiumi (Reuss, Rodano, Toce, Ticino, Maggia; è sede di copiose nevicate. Tra il 1594 e il 1863 caddero nove memorabili valanghe, che causarono 51 vittime compresi due parroci. A testimoniare che, dopo l’optimum termico medievale (900-1400), le condizioni climatiche erano drasticamente cambiate, apportando valanghe, miserie, fame e morti durante la successiva piccola era glaciale prolungatasi fino alla fine del 1880.

Anche nel secolo appena trascorso, si ebbero due inverni eccezionali per la caduta di valanghe ad Airolo e in Valle Bedretto. Quello del 1950 narrato da Giovanni Orelli nel suo libro L’anno della valanga (1963), e quello del 1970-1971.

In questo settore delle Alpi ticinesi, il disboscamento (dissodamento) fino in altitudine è stato particolarmente intenso e attuato da qualche millennio, (durante un periodo nel quale non sussisteva pericolo di valanghe) per trasformare le superfici un tempo boscate con il pino cembro e il larice, in pascoli di altitudine, per esempio, all’Alpe Pesciora, a 2100 metri, il toponimo deriva da Peccio (Abete rosso, Picea abies) a significare la passata presenza dell’abete rosso.

La valanga – che discende quasi durante ogni anno da questo alpeggio fino nei pressi di Ronco Bedretto a 1500 metri – è una significativa testimonianza di quanto possa produrre l’uomo nei cambiamenti ambientali a proprio danno, se si considerano i lunghi tempi della Natura. L’uomo alpino, nel corso della sua plurimillenaria presenza nelle Alpi, ha conosciuto il caldo, il freddo e le valanghe. Che cosa gli riserverà l’effetto serra nel molto prossimo futuro?