L’identità di gruppo sulla tela del corpo

Pubblicazioni – Il biologo Mark W. Moffett spiega come la «storia naturale» delle società sia segnata dai «marcatori»
/ 23.08.2021
di Lorenzo De Carli

Se il rapporto tra territorio e società è tanto stretto è perché si tratta di una relazione primordiale, che sta alla base della nostra vita comunitaria. Mark W. Moffett, biologo allievo di Edward O. Wilson, nella sua recente «storia naturale» della società (Lo sciame umano) ha scritto: «Come le nazioni e in pratica qualsiasi altra società umana, le società di bande si identificavano con un’estensione di terreno occupato in modo esclusivo. Erano territoriali, diffidenti, e spesso ostili, verso gli estranei che si introducevano nella loro area». Lasciata anche noi l’Africa come altre specie di ominidi prima di noi, abbiamo colonizzato tutto il pianeta con una modalità che Moffett ha definito di «fissione-fusione», vale a dire aggregandoci in bande e separandocene per formarne altre, e sempre con una dinamica caratterizzata da una marcata inclinazione a definire e difendere una specifica porzione di territorio.

A stemperare la cruda realtà che non c’è mai stato un momento della storia delle nostre società privo di conflitti per l’accesso esclusivo ad uno specifico territorio, il lavoro di ricerca compiuto da Moffett in questi anni è stato caratterizzato per la funzione che egli ha attribuito ai «marcatori», grazie ai quali – contrariamente a quanto potrebbe accadere a uno scimpanzé in un bar per scimpanzé, dove verrebbe sicuramente aggredito – noi possiamo essere nello stesso tempo persone anonime ma anche accettate in qualunque bar del mondo: «l’atto apparentemente banale di entrare in un bar pieno di sconosciuti senza alcuna preoccupazione è uno dei risultati più sottovalutati della nostra specie, e distingue il genere umano dalla maggior parte degli altri vertebrati organizzati in società». Mentre per gli insetti sociali, per esempio le formiche, i marcatori sono di tipo chimico, per noi umani i marcatori sono di natura culturale: il linguaggio, i tatuaggi, le abitudini socialmente condivise, il taglio dei capelli, i vestiti, il modo in cui costruire un arco o una capanna – tutti quei tratti che servono a definirci in quanto membri di una specifica società o gruppo sociale. Così come gli insetti sociali, abbiamo evoluto i marcatori perché, ad un certo punto, le nostre comunità crebbero fino al punto da superare la nostra capacità di ricordarcene i membri. Da quel momento in poi, conducemmo una vita in società anonime, nelle quali, per distinguere Noi da Loro, non era più necessario ricordare ogni membro della nostra comunità, ma bastava riconoscere i marcatori pertinenti. Secondo l’ipotetica ricostruzione evolutiva tracciata da Moffett, i primi marcatori che usammo erano simili ai vocalizzi che vediamo ancora oggi praticati dagli scimpanzé e dai bonbon, modulati successivamente fino a diventare vere e proprie parole d’ordine. «I marcatori successivi avrebbero coinvolto l’intero corpo, come una tela, lasciando però poche tracce archeologiche». Parallelamente allo studio evolutivo dei marcatori, Moffett ha studiato lo sviluppo evolutivo delle società dal punto di vista della sua ipotesi di «fissione-fusione». La svolta decisiva avvenne circa 10’000 anni fa quando, in sei diverse parti del mondo, contemporaneamente, assieme con l’agricoltura che poteva garantire un largo surplus alimentare, nacquero sei regni secondo dinamiche sociali assai simili: piccole città-stato, per espansione, diventarono regni caratterizzati da specifiche civiltà, e – in virtù della divisione del lavoro che consentiva di dedicare una parte della popolazione al mestiere delle armi –, sottomisero le bande nomadi o stanziali vicine, dominandone i territori, e amalgamandone la popolazione.

La storia naturale delle società ricostruita da Moffett descrive una parabola che parte dalle bande di cacciatori-raccoglitori che divennero società, federandosi. Erano gruppi sociali sostanzialmente egualitari. La figura del leader, spesso transitorio, emerse più tardi, quando tribù e società diedero forma ad entità sociali più grandi, i cosiddetti «capitanati», come per esempio l’antica città di Uruk. Quando troppo grandi da poter essere controllati da un leader, i capitanati accrescevano la loro complessità amministrativa, introducendo controlli per delega. Ma al di là dei territori controllati dai capitanati, bande e tribù continuavano la loro esistenza autonoma, almeno fino a quando i loro territori non diventavano oggetto di appetito per società più grandi: «dal Medio Oriente al Giappone, dalla Cina al Perù, l’unico modo in cui una società creava una civiltà era combinando l’esplodere della sua popolazione con l’espansione del suo regno tramite la forza o il dominio». Non sono mai esistiti Stati pacifisti.

«Far parte di una società – scrive Moffett – è nell’ordine delle cose prima che fossimo umani», ciò significa che l’uomo ha sempre avuto delle società. Tuttavia ogni società, formatasi per «fissione-fusione», è destinata a scomparire – in generale in un arco di tempo che va dai 200 ai 500 anni, scrive Moffett. A prescindere da quei collassi ben descritti da Jared Diamond, in generale dovuti a disastri ecologici prodotti dalle società stesse, il motivo della scomparsa delle società è lo stesso che ne ha permesso la nascita: quei marcatori che ci permettono di muoverci in società anonime senza essere aggrediti perché ci identificano come appartenenti al gruppo dei Noi, sono anche gli strumenti per riconoscere gli Altri, a loro volta suscettibili di essere soggiogati o sterminati, se renitenti all’azione civilizzatrice della nostra società. I marcatori, dunque, sono insieme indispensabili e ambivalenti, e Mark W. Moffett si chiede se la fine delle grandi civiltà non coincida con l’età dell’oro di bande e tribù egualitarie.