L’eterna danza delle interazioni

Dagli aggregati alle organizzazioni: ecco come i diversi livelli degli insiemi sociali interagiscono fra loro e influiscono sulla storia umana e tecnologica
/ 07.11.2016
di Massimo Negrotti

Le cose che ci circondano possono ovviamente essere descritte e classificate in vari modi e le scienze naturali lo fanno da sempre. Tuttavia, c’è una modalità descrittiva che si è resa disponibile solo dopo l’avvento, nel secolo scorso, della Teoria dei Sistemi e della Cibernetica. Invece di classificare gli oggetti, si tratta di classificare le interazioni fra di essi, per comprendere la natura e in particolare la dinamica degli insiemi che gli oggetti costituiscono grazie alle loro interazioni. Su questa base possiamo definire almeno quattro tipi di insiemi: gli aggregati, le strutture, i sistemi omeostatici e le organizzazioni

Un aggregato è costituito da elementi che si distribuiscono e interagiscono in termini puramente casuali. Basti pensare ai granelli di sabbia sulla spiaggia o alle gocce d’acqua durante la pioggia ma anche, sul piano umano e sociale, alla folla che riempie una piazza in un giorno di festa o uno stadio di calcio. Ciò che caratterizza gli aggregati è il fatto che, da un lato, essi non possiedono né configurazioni né confini precisi e, dall’altro, che, se una loro regione viene perturbata o eliminata, non perdono la propria natura, cioè rimangono aggregati, tutt’al più di diverse dimensioni.

Le strutture, invece, sono costituite da elementi che interagiscono secondo un’architettura precisa ossia uno «stato preferenziale» determinato da leggi naturali, si pensi al sistema solare, o dalla progettazione umana come è per un edificio. Sul piano sociale, anche le persone presenti in una biblioteca pubblica o i professori d’orchestra durante un concerto, costituiscono strutture, sebbene solo temporanee. Ciò che contraddistingue una struttura è il fatto che, a differenza dell’aggregato, essa possiede un certo grado di «reattività» specifica e non casuale. Una perturbazione, se grave, può distruggere una struttura, ma se non è grave, la struttura tende a reagire per la forza stessa delle interazioni fra i suoi componenti e, dunque, a rimanere intatta come succede ad un edificio nel caso di un lieve terremoto o in una biblioteca dopo un falso allarme d’incendio. 

Un sistema omeostatico, a sua volta, è una struttura in grado di mantenere il proprio stato preferenziale grazie al fatto che alcuni suoi componenti sono «specializzati». Alcuni sono capaci di rilevare per tempo e poi valutare le perturbazioni mentre altri sono in grado di intervenire per porvi rimedio. Il tutto, generalmente, attraverso l’elaborazione e la comunicazione di informazione. Gli esempi naturali vanno cercati, come appare chiaro, nel regno animale e in quello vegetale, mentre quelli riferibili all’attività umana si possono reperire in mille dispositivi tecnologici e in molti insiemi sociali. L’organismo umano stesso è una enorme fabbrica di omeostasi per la quale, fra gli altri, il sistema immunitario svolge un ruolo strategico. Ma anche un semplice frigorifero è un sistema omeostatico perché, una volta fissata la temperatura, auto-regola le proprie interazioni per mezzo di un sensore e di un dispositivo di attuazione al fine di mantenere lo stato termico preferenziale fissato dall’uomo.

Negli insiemi sociali l’omeostasi è onnipresente poiché la conservazione di un certo stato delle dimensioni fondamentali – per esempio, nel caso della famiglia, la salute dei suoi membri, il benessere acquisito – è condizione indispensabile per la sopravvivenza del sistema e di chi ne fa parte. Ma il massimo sviluppo degli aspetti cibernetici, di controllo, comunicazione e azione, si ha nelle organizzazioni, le quali sono sistemi che, oltre all’omeostasi, possiedono un fine aggiuntivo da perseguire. 

Mentre è discutibile che gli animali, l’uomo escluso, possano essere concepiti come qualcosa in più rispetto a semplici sistemi omeostatici, è sicuro che l’uomo non si accontenta di sopravvivere ma si pone degli obbiettivi aggiuntivi. Esplorare, inventare, costruire, gareggiare e, naturalmente, conoscere, sono tutte attività che esigono certamente, come condizione primaria, una configurazione omeostatica ma, poi, vanno al di là di questa. Dopotutto, risiede proprio in questo la differenza fra il sopravvivere e il vivere. Un’organizzazione sociale – un’azienda, un’associazione ecc. – deve, prima di tutto, poter sopravvivere ma solo perché sulla base della sopravvivenza sarà possibile tentare di perseguire il fine che essa si propone. 

In natura non esistono organizzazioni mentre tutta la tecnologia consiste in progetti e macchine da intendersi come organizzazioni. Un’organizzazione, in definitiva, è il massimo livello che un insieme può raggiungere per quanto riguarda le interazioni fra le sue parti, che risultano coordinate al perseguimento di un obiettivo liberamente prefissato. Ciò è talmente vero che nella storia umana e in quella della tecnologia, si è assistito, e si assiste tuttora, al fenomeno limite del suicidio: un processo organizzativo per il quale il fine aggiuntivo che il sistema si prefigge è l’autodistruzione, cioè l’opposto dell’omeostasi. Del resto, anche un missile militare si comporta così, poiché esso si autoregola accuratamente fino a quando raggiunge il proprio bersaglio, per poi esplodere decretando la sua stessa scomparsa.

C’è infine da osservare che la tipologia degli insiemi che abbiamo tratteggiato presenta la peculiare, ma parziale, proprietà della mutua inclusione. Infatti, un’organizzazione deve includere un sistema omeostatico e questo deve includere una struttura. 

La tipica degenerazione di un’organizzazione, sociale o tecnologica, consiste allora nella sua riduzione a mero sistema omeostatico (perdita del fine da perseguire), la degenerazione di un sistema omeostatico consisterà nella sua riduzione a pura struttura (perdita della capacità di autoregolazione conservativa a feedback negativo) mentre la degenerazione di una struttura sarà costituita dalla sua riduzione a semplice aggregato.

Il passaggio evolutivo dal livello meno organizzato (l’aggregato) fino all’organizzazione e da qui di nuovo giù, verso l’aggregato, descrive bene la storia di qualsiasi insieme vivente, sociale o tecnologico. Basta un po’ di immaginazione per individuare tutti gli esempi possibili.