È una storia di successi e di crescita costante, quella dello IRB (Istituto di Ricerca in Biomedicina) e dello IOR (Istituto oncologico di Ricerca). Una storia iniziata più di venti anni or sono, grazie a una lungimirante visione politica e scientifica, e che prosegue con lo stesso entusiasmo. Un sentimento che traspare, ancora oggi, da chi ha lavorato sin da subito per la creazione dei due istituti scientifici come il professor Giorgio Noseda (presidente onorario dell’IRB), il quale ha contribuito in modo determinante, insieme ad altri promotori – Marco Baggiolini, Franco Cavalli, Paolo Agustoni, Carlo Maggini, Jean-Claude Piffaretti e Claudio Marone in primis – a realizzare un vero e proprio polo di ricerca scientifica a Bellinzona.
Di recente è stata inaugurata nella capitale la nuova sede (l’ultimo progetto, prima di andarsene, dell’architetto Aurelio Galfetti), che ospita IRB, IOR e alcuni laboratori dell’EOC, con i loro 250 ricercatori. Un numero ancora più impressionante se si pensa che all’inizio gli scienziati bellinzonesi, sotto la guida dell’ex direttore Antonio Lanzavecchia, erano solo una trentina.
Un inizio che lo stesso professor Noseda ricorda così: «Nel 1995, ero ospite, con Franco Cavalli, di una trasmissione radiofonica curata da Lorenzo De Carli. Il giornalista ci chiese se fossimo soddisfatti della fondazione dell’USI avvenuta l’anno precedente. Noi rispondemmo che l’università era nata monca con le tre facoltà di stampo umanistico. A nostro avviso occorreva completarla con una facoltà scientifica. Il 21 dicembre del 1996 un gruppo di medici si riunì al San Giovanni di Bellinzona e pensò di creare un istituto di ricerca sul quale, in seguito, sviluppare la facoltà. Nel 1997, come presidente, firmai l’atto di fondazione dell’IRB e partimmo alla ricerca della sede, dei fondi e dei ricercatori». Tre anni più tardi, il 28 settembre del 2000, ci fu l’inaugurazione dell’IRB nella Casa Fabrizia di Bellinzona. In quel momento nacque ufficialmente l’istituto diretto da Antonio Lanzavecchia.
Lo IOR nacque sull’entusiasmo dell’IRB, grazie soprattutto alla spinta data dal dottor Franco Cavalli nel 2003. Come ricorda lo stesso Cavalli nel volume appena pubblicato da Casagrande La scienza che aiuta l’istituto fu fondato partendo da due piccoli laboratori di ricerca creati a La Carità di Locarno e si stabilì nella stessa Casa Fabrizia al fine di sfruttare sinergie impensabili fino ad allora, soprattutto per quel che riguarda le piattaforme tecnologiche. Alla direzione fu nominato Carlo Catapano (tuttora in carica) a cui si aggiunsero altri ricercatori attivi nel settore oncologico.
La crescita è stata consolidata da numerose pubblicazioni, nelle più importanti riviste scientifiche («Science», «Nature», «Cell», ecc.) sulle scoperte fatte a Bellinzona. In primis quelle di Lanzavecchia, che inclusero scoperte fondamentali sulla presentazione dell’antigene, la memoria immunologica e gli anticorpi monoclonali umani. Nel suo laboratorio ha sviluppato metodi per isolare anticorpi monoclonali umani che sono stati sviluppati per terapie contro importanti malattie infettive, come l’Ebola.
Scoperte che sono continuate negli anni anche per lo IOR: in particolare relative a strategie innovative per il trattamento del cancro. Fino ad arrivare alle più recenti scoperte legate a un anticorpo di seconda generazione contro il nuovo coronavirus (SARS-CoV-2) e le sue varianti. «I collaboratori dell’IRB – sottolinea il presidente onorario – hanno portato avanti studi importanti, che hanno originato oltre 700 pubblicazioni scientifiche nelle migliori riviste internazionali (a cui si aggiungono le 280 dello IOR), con un impact factor – che misura l’importanza globale delle pubblicazioni – di 10,7, uno dei più alti a livello internazionale. E i brevetti registrati sono una trentina (oltre ai 9 dello IOR) così come numerosi e importanti sono stati i premi nazionali e internazionali attribuiti a collaboratori dei due istituti».
Un’altra tappa fondamentale, nello sviluppo dei due istituti bellinzonesi, è stata sicuramente la loro affiliazione all’Università della Svizzera italiana. Se questo passo per l’IRB avvenne nel 2010 (anche se le prime sinergie erano già nate nel 2002), per lo IOR fu sancito nel 2017. Due momenti fondanti anche per la nuova Facoltà di scienze biomediche, che ha iniziato i corsi nell’autunno del 2020. Come ricorda ancora Giorgio Noseda i due istituti di ricerca sono stati uno dei tre pilastri della nuova Facoltà. «Il primo è sicuramente l’EOC e i suoi specialisti. Il secondo è la collaborazione, trovata dall’ex presidente dell’USI Piero Martinoli, con il Politecnico federale di Zurigo, per il bachelor. Il terzo è appunto la presenza in Ticino di IRB e IOR in Ticino: la ricerca di base è essenziale per una Facoltà di biomedicina».
E ora? Come detto la nuova sede è l’ultimo tassello di questo ventennale percorso contraddistinto da molti successi. Ma è solo una tappa intermedia perché i progetti sono ancora numerosi e le sfide aperte ancora parecchie. Ce le illustra ancora Giorgio Noseda. «Lo sviluppo della ricerca scientifica nella capitale sta attirando anche altre realtà. Per esempio, la Fondazione Agire, membro dello Swiss Innovation Park, ha deciso di spostare la sua sede da Manno a Bellinzona, proprio negli spazi di Casa Fabrizia, contribuendo alla creazione del Parco dell’innovazione (specialmente nel campo biologico e biotecnologico) previsto dal Cantone su parte del terreno che verrà liberato dalle Officine delle FFS, che si trasferiranno a Castione nei prossimi anni. In questo modo si creerà un polo biotecnologico industriale grazie all’arrivo di alcune start-up che oggi sono sotto l’ala della stessa Fondazione. Un Parco dell’innovazione che avrà una stretta collaborazione con gli altri istituti come l’IRB (oggi diretto da Davide Robbiani) e lo IOR».
Nel contempo, come sottolinea ancora Noseda, «è già necessario pensare a un secondo edificio, vicino a quello appena inaugurato, perché i 250 posti sono già tutti occupati dai ricercatori. Oltre a loro sono attivi a Bellinzona circa 80 studenti di dottorato e i gruppi di ricerca continuano ad allargarsi. L’idea è quindi di progettare un secondo stabile per accogliere i nuovi ricercatori, gli studenti e un auditorium da 300-400 posti».
Un altro progetto al quale si sta lavorando ha anche una valenza simbolica tutt’altro che trascurabile. Una visione che ha radici antiche e che si sta concretizzando. «Speriamo di poter, un domani, avere sui terreni delle ex Officine alcuni laboratori del Politecnico di Zurigo. Un progetto del quale si parlava addirittura negli anni 60, quando Brenno Galli chiese a Berna di istituire una terza sede del Politecnico nella Svizzera italiana. Un fatto che finora non si era mai concretizzato, ma che forse tra qualche anno potrà contare su una prima antenna di un futuro Politecnico nella Svizzera italiana».
Un sogno forse, ma che vista la velocità con la quale si è sviluppata la ricerca scientifica in questo ventennio, potrebbe un giorno – non troppo lontano – diventare realtà.