Un coleottero in equilibrio su un delicato stelo di asparago selvatico (Asparagus tenuifolius Lam.), presente in Svizzera solo in Ticino, iscritto come «vulnerabile» nella Lista Rossa delle piante vascolari svizzere e non comune «parente selvatico», registrato nell'inventario delle specie svizzere di CWR prioritarie (Marco Martucci)

Le selvatiche vinceranno le carestie

Biologia - I cosiddetti crop wild relatives, potrebbero diventare fondamentali per l’uomo, garantendo cibo anche in caso di clima estremo
/ 15.06.2020
di Marco Martucci

Fare la spesa nel reparto alimentari di un grande supermercato può, al di là dell’immediata necessità di nutrirsi, rivelarsi oltremodo istruttivo, specialmente se ci si prende un poco di tempo per esplorare fra banchi e scaffali. Possiamo concentrarci, per esempio, sugli alimenti di origine vegetale, come frutta, verdura e tutti gli annessi e connessi, dal riso alla farina, dal pane ai biscotti. Si apre così un mondo di scoperte dal confronto con ciò che, proveniente da altre parti del mondo, ci viene offerto: come le varietà di frutti, semi, radici, tuberi e foglie. Tutto quello che vediamo esposto, a parte forse qualche raro frutto o fungo selvatico, non è stato raccolto in prati o foreste ma è stato coltivato in luoghi più o meno lontani. 

Da millenni ormai, l’uomo, che prima raccoglieva e cacciava ciò che gli veniva offerto dalla natura, è divenuto allevatore e coltivatore. In un lungo processo, mai terminato, fra innumerevoli tentativi falliti e riusciti, ha saputo ricavare da animali e piante selvatici nuovi animali e nuove piante dotati di caratteristiche spesso lontane da quelle naturali ma per lui ben più utili. Un lavoro lungo e svolto nell’ombra, che si perde nella notte dei tempi e che ha sortito animali e piante più produttivi e redditizi attraverso quel processo chiamato domesticazione, con selezioni e incroci su lunghissimi periodi di tempo. 

Scegliendo nella natura le piante con le caratteristiche più utili, le si teneva da parte, le si seminava, si praticava una selezione, artificiale. Mentre la selezione naturale, che procede da quando la vita è apparsa sulla Terra, produce varietà e specie adatte all’ambiente, quella artificiale, praticata dall’uomo, fornisce piante e animali che meglio rispondono alle sue esigenze. 

Ricerche archeologiche specializzate hanno permesso, almeno in parte, di fare luce su tempi e luoghi. Fra le piante, pare che quella del frumento, diecimila anni or sono, sia stata la prima, dalle parti dell’attuale sud della Turchia. Nella famosa «Mezzaluna fertile», fra Nilo e Mesopotamia, si svilupparono poi farro, orzo, piselli e lenticchie. In altre «Mezzelune fertili» e in altri tempi in tutto il mondo videro la luce, in Asia, riso e miglio, mentre in America, mais, patata, fagioli e pomodori. 

Le piccole spighe con pochi semi che cadevano da soli si trasformarono in spighe ricche di semi che restavano sulla pianta fino alla mietitura, pannocchie con pochissimi chicchi di mais divennero le grandi pannocchie di granturco che tutti conosciamo, da banane piccole e piene di semi nacquero frutti grandi e privi di semi e così andò per tante altre piante. 

Per contro, togliendole dalla concorrenza per sopravvivere nelle dure condizioni ambientali, le piante persero in parte la loro resistenza e diventarono dipendenti dall’uomo e dalle sue cure, irrigazione, fertilizzanti, prodotti fitosanitari, senza cui tutte le piante coltivate sparirebbero in poche generazioni. Inoltre, fra le migliaia di piante commestibili e adatte alla nostra alimentazione, la scelta si concentrò su pochissime piante. Si stima che il 90 per cento del fabbisogno di carboidrati, grassi e proteine di tutta l’umanità venga attualmente coperto da non più di 50 piante. In cima alla lista delle pochissime che nutrono l’umanità troviamo frumento, mais, riso e patata. 

Si assiste ormai da anni a una vera e propria «erosione genetica», un assottigliamento di quel «serbatoio» o «pool» genetico da cui ebbero origine le attuali piante coltivate. Il rischio è grosso perché, con questa perdita di varietà e il ridotto numero di piante destinate all’alimentazione umana, carestie di vaste proporzioni non sono da escludere. Nel popolo irlandese è ancor ben viva la memoria della «Great Famine», la grande carestia del 1845-1849 che provocò un milione di morti e fece emigrare un altro milione di irlandesi verso l’America. Fra le cause: fattori climatici, ignoranza e povertà, una cattiva politica agricola ma soprattutto il fatto di basarsi solo sulla patata per l’alimentazione. Patate che, arrivate dall’America, furono colpite da un fungo parassita, pure proveniente dall’America, che distrusse tutti i raccolti. 

Malattie delle piante e mutamenti climatici potrebbero mettere anche oggi in ginocchio miliardi di esseri umani. Si pensi solo a cosa potrebbe succedere se dovessero andar persi i raccolti di riso, mais o frumento. Misure per evitare e prevenire questi disastri ci sono: diversificare l’alimentazione, favorire la biodiversità nell’agricoltura. E, soprattutto, valorizzare e preservare l’ancor grande patrimonio genetico delle piante.

Molto promettenti sono i «parenti poveri» (e selvatici) delle piante coltivate, che possono essere, se ancora esistono, le specie o varietà da cui si ottennero in passato le attuali piante coltivate oppure anche piante geneticamente simili a loro. Sono, per usare il termine internazionale con cui vengono definite, i «crop wild relatives» o CWR: piante che vivono senza alcun intervento da parte dell’uomo e geneticamente simili a quelle coltivate e che dunque si possono incrociare con loro.

A livello mondiale ne sono state identificate tantissime e circa mille, imparentate con 81 piante coltivate, sono state scelte per un programma di salvaguardia. Sono forse le piante che potranno garantire il futuro della nostra sicurezza alimentare. Fra i loro geni ci può essere la resistenza alla siccità, al caldo, ai parassiti. È un vero e proprio tesoro che occorre mettere al sicuro. Ciò può essere fatto in due modi: «in situ», dunque nella crescita in campo oppure «ex situ», conservando parti della pianta, rizomi, semi, ad esempio in cosiddette «banche dei semi». Famosa è la banca dei semi nell’isola Spitsbergen, dell’arcipelago norvegese delle Svalbard, la «Svalbard Global Seed Vault» con quasi un milione di campioni di oltre 4mila specie. 

A livello mondiale, la conservazione dell’inestimabile patrimonio genetico dei CWR è assicurata dal Global Crop Diversity Trust, fondato fra gli altri dalla FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura alla quale contribuiscono molti Paesi e organizzazioni, fra cui la Svizzera. 

Nel nostro Paese, Info Flora, Centro nazionale per i dati e le informazioni della flora svizzera, e l’Ufficio federale dell’agricoltura hanno allestito e attualizzato un inventario dei CWR svizzeri. La lista comprende ben 2252 specie selvatiche, piante importanti per l’alimentazione umana e animale, piante medicinali e aromatiche. Di queste sorprendentemente numerose specie ne sono state scelte 285 cosiddette prioritarie per cui si raccomanda una protezione, anche perché 90 di queste sono sulla Lista rossa delle piante minacciate. 

Per la loro conservazione si prevedono misure «in situ», dunque nel loro ambiente naturale e strategie «ex situ», attraverso strutture come Agroscope, Banca dei semi del Giardino botanico di Ginevra e la Svalbard Global Seed Vault. In queste piantine spesso umili e nascoste si cela un patrimonio d’immenso valore che potrà garantire il nostro futuro alimentare anche di fronte ai grandi cambiamenti ambientali e climatici.