Le paure fanno parte del mondo dei bambini, in quanto elementi della loro evoluzione e della loro personalità. E anche se comunemente siamo portati a vederle come una cosa da scansare, in realtà affrontarle è l’unico modo per superarle. Un percorso nel quale i genitori devono affiancare i figli.
La paura è una delle emozioni primarie, che accomuna gli uomini a molte specie animali. È un meccanismo naturale che si attiva in risposta alla percezione di un pericolo, reale o supposto, con delle manifestazioni fisiologiche ben precise (dilatazione delle pupille, incremento della frequenza cardiaca, ecc.). Aumentando lo stato di vigilanza oppure spingendo ad agire con prudenza o rapidità, a seconda del caso, la paura è quindi funzionale alla sopravvivenza. Le paure portano anche i bambini ad affrontare con prudenza situazioni nuove e potenzialmente rischiose; sono, in altre parole, un modo per proteggere loro stessi. Oltre a ciò vi sono delle paure infantili che sono fisiologiche ed universali e, quindi, indipendenti da concrete esperienze di pericolo. In ogni caso la paura è uno strumento che permette al bambino di prendere coscienza delle proprie capacità e lo stimola a costruire le giuste strategie per superare lo stato emotivo che gli crea disagio. «Non bisogna quindi asfaltare la strada ai bambini, ma aiutarli ad imparare a superare i buchi», afferma Emanuela Iacchia, psicologa e psicoterapeuta con competenze specifiche nell’età evolutiva, che al tema ha dedicato una conferenza presso la sede luganese della Croce Rossa Svizzera.
Le paure dei bambini possono essere determinate da un bisogno (per esempio di essere ascoltati) e dall’indole, che è la somma di tre fattori, ereditario, costituzionale ed ambientale. Al di là delle predisposizioni personali, vi sono paure che si manifestano in periodi prevedibili nel corso dell’infanzia. Prima fra tutte, per importanza, è quella del buio, che riguarda bambini tra i 3 e gli 11 anni. «Il buio fa paura perché non si sa chi arriva e chi va. Subentra quindi il timore dell’essere abbandonati e l’incertezza», commenta la psicologa, che è pure formatrice per la Croce Rossa Svizzera. In questi casi la lucina da notte è un semplice e utile aiuto, come pure uno dei tanti libri dedicati a questa grande paura dei piccoli, tra cui citiamo il bel Piccolo Buio di Cristina Petit.
Altra paura comune ai più piccoli è quella del nuovo. «Vogliono sempre le stesse cose – cibo, vestiti, ecc. – perché ciò li rassicura; in questi casi non bisogna forzarli, ma avvicinarli alle novità piano piano», continua la psicologa, «anche l’ansia da separazione è normale nei bambini piccoli. Come primo aiuto, è bene tener presente che se noi adulti siamo tranquilli, i bimbi lo sentono, dal momento che percepiscono più chiaramente quello che gli trasmettiamo che non quello che gli diciamo». A volte però questo tipo di ansia riguarda più i genitori che non i figli. A chi non è mai successo di arrivare a casa tardi la sera ed avere voglia di tenere il proprio bimbo nel lettone? «Non capita poi di rado che i genitori trattino i propri figli come se fossero più piccoli di quanto non siano in realtà, comportamento riguardo al quale trovo molto significativo un antico proverbio del Québec, che dice: “I genitori possono donare ai figli soltanto due cose: le radici e le ali”», spiega la psicologa.
Numerose paure dei bambini riguardano i propri genitori. Una di quelle che generano maggior sofferenza, è che essi litighino. «Da un lato si sentono come se i genitori chiedessero loro di schierarsi, dall’altro, per il loro fisiologico egocentrismo, pensano che il litigio dipenda da loro. Bisogna quindi sempre cercare di posticipare le discussioni ad un momento in cui i bambini non ci sono o non possono sentire», commenta Emanuela Iacchia. Alla paura che i genitori litighino si collega a quella che essi si possano separare, che si manifesta in genere alle elementari, mettendo in moto una serie di domande del tipo «Cosa ne sarà di me? E se si separassero anche da me? Con chi starò?».
Paure di questo tipo raggiungono il loro apice verso i 7-9 anni, che coincidono con il momento della consapevolezza. A questa età i bambini cominciano a preoccuparsi, come detto, della separazione, non solo tra i genitori, ma anche, per esempio, dovuta alla morte, oppure delle malattie o ancora avvertono la paura che qualcuno li possa portare via. La consapevolezza cresce parallelamente all’età, così che, nella fase successiva, i ragazzini sviluppano una paura relativa ai fatti di cronaca. «Piuttosto che tenerli all’oscuro, bisogna far passare il messaggio che c’è qualcuno che li protegge, per esempio le forze dell’ordine» afferma Emanuela Iacchia. Un’altra classica paura per la cui risoluzione vengono in aiuto le parole di mamma e papà è quella degli incubi, che si manifesta in genere dai tre anni via. Una soluzione efficace è infatti quella di completare l’incubo che il bambino ci racconta in modo positivo, dicendo, per esempio: «Tu ti sei svegliato, ma se ti riaddormentavi nel tuo sogno arrivava il papà che scacciava il mostro». Può anche rivelarsi utile appendere nella cameretta un «acchiappasogni» o costruire assieme un oggetto cui attribuire il valore di scaccia-brutti-sogni.
Ma i bambini sono anche attratti dalle loro paure, come quando vogliono che gli si legga, all’infinito, fiabe che contengono personaggi come il lupo o la strega. «È bene assecondarli in tali richieste, perché corrispondono ad un bisogno di elaborare una paura, per vincerla», commenta la psicoterapeuta, che continua: «tra le paure “nuove”, citerei la cosiddetta “fobia sociale”, e cioè la propensione ad evitare i contatti diretti con le persone, limitandoli il più possibile ad un livello virtuale. In questo delicato ambito è fondamentale fissare chiare regole e usare la tecnologia con misura, anche noi genitori, che siamo l’esempio dei nostri figli».
A volte i genitori non sanno però come rispondere ad una paura del proprio bambino e, di istinto e in buona fede, tendono a negarla o quantomeno a banalizzarla. «All’espressione, per esempio, del timore di andare in settimana bianca con la scuola, la mamma è in genere portata a rispondere con commenti del tipo “Ma poi quando sei lì ti diverti”», spiega Emanuela Iacchia, «il risultato è che il bambino, pensando di non avere il diritto di parlare di questo tema, non lo faccia più». Bisognerebbe invece convalidare il bisogno del bambino di esprimersi e rispondervi con le parole adeguate, tenendo a mente una semplice regola: «È sbagliato negare le paure, dicendo “No, no”, ma pure assecondarle troppo, atteggiamento che si traduce in “Sì, sì”; la strategia giusta è quella del “Sì, ma”, spiega la psicoterapeuta, il “sì” (per esempio, “Sì, è proprio vero…”) è il momento dell’accoglienza, cui deve seguire il “ma”, che è il momento educativo, la risoluzione (“ma tu che sei in gamba ce la puoi fare”)». In generale, aprire il dialogo è fondamentale, fin da piccoli: farsi raccontare le cose che vivono, ripercorrere assieme la giornata o chiedere la cosa più bella o più brutta che è successa. «I genitori devono essere la mente e il cuore che possa accogliere le paure dei figli, le quali, se tenute dentro, rischiano di diventare sempre più forti», afferma Emanuela Iacchia. Ma quali sono i segnali che permettono di capire se una paura da fisiologica è diventata patologica? Da un lato vi è un criterio cronologico, e cioè il persistere di una paura oltre la sua età fisiologica. «Posso apportare l’esempio dei “passaggi”, che incutono paura nel bambino. Quando inizia la scuola materna, è normale che il piccolo sviluppi delle paure; se questo però capita ad un adolescente che deve passare ad una scuola superiore, tanto da manifestarle con delle regressioni, non è più normale», esemplifica la psicologa, «dall’altro lato vi sono dei criteri di tipo comportamentale: una paura diventa cioè patologica se eccessiva nella frequenza, nell’intensità e nella durata con cui si manifesta».
Facendo un passo indietro, le paure possono insorgere pure quando i genitori tendono a tenere i figli troppo vicini a sé: «I genitori iperprotettivi impediscono o quantomeno limitano l’esplorazione del piccolo, convalidando le sue insicurezze e connotando lui come fragile e la realtà esterna come pericolosa», spiega Emanuela Iacchia, «se i genitori sono invece costantemente insoddisfatti di sé, le paure possono trovare un terreno fertile per insinuarsi nei loro bambini. O ancora capita che i genitori attribuiscano il proprio malessere ai figli, per esempio dicendo: “se continui così mi fai venire mal di testa”; un comportamento che non fa altro che aumentare le loro paure». In casi come questo è meglio dare un castigo al bambino e ricordarsi che per fortificarlo sono importanti i rimproveri – che non devono mortificare e dovrebbero essere enunciati con una fermezza autorevole – e le regole.