Le nuove frontiere della ricerca oncologica

Medicina - Presente e futuro della lotta ai tumori stanno anche nell’immunoterapia oncologica
/ 20.06.2022
di Maria Grazia Buletti

Nel 1891, il chirurgo newyorkese Coley descrive per la prima volta una relazione fra infezione e regressione del cancro, antesignana dell’immunoterapia oncologica: «Un suo paziente con un sarcoma (ndr: tumore maligno molto aggressivo) sviluppa una severa infezione. Il chirurgo realizza che, guarita l’infezione, il sarcoma si è ridotto molto. Comprendendo il nesso fra l’infiammazione molto severa e la riduzione del sarcoma, egli usa per altri pazienti una miscela contenente tossine filtrate da batteri morti. Questo modo empirico e rudimentale in uso a quel tempo ha però funzionato in qualcuno di loro». A raccontare questo aneddoto sulle origini di quella che poi si sarebbe sviluppata come l’odierna immunoterapia oncologica è la professoressa Silke Gillessen, direttore medico e scientifico dello IOSI, che illustra l’evoluzione dell’attuale ricerca, che sta dimostrando sempre meglio come il sistema immunitario, adeguatamente modulato, può essere riattivato e rappresentare così una promettente arma contro molti tipi di tumore.

«È un tipo di cura che utilizza lo stesso sistema immunitario del paziente, o certe sue componenti, per combattere malattie come il cancro». Così esordisce il responsabile medico della Ricerca IOSI Anastasios Stathis che spiega: «Si cerca di stimolare il sistema immunitario per attaccare il tumore riconosciuto come qualcosa di estraneo». Anche se, puntualizza Gillessen: «Non dobbiamo dimenticare che il tumore è comunque pure parte del nostro corpo: si sviluppa da una nostra cellula che ha in qualche modo evaso il controllo del nostro sistema immunitario, e non è come un virus che arriva effettivamente dall’esterno».

Ciò complica un po’ la situazione, ma permette di comprendere che tutto ruota attorno al nostro sistema immunitario nel cui mondo ci accompagna Stathis: «È un ingranaggio complesso fatto di organi e cellule “speciali” che, lavorando di concerto, difendono il nostro organismo da tutte le minacce interne ed esterne. Le cellule immunitarie, diverse e con differenti funzioni, concorrono a proteggere il corpo dagli agenti patogeni, ma sono anche in parte in grado di impedire la diffusione di un tumore».

Tipico il caso di un microrganismo esterno (virus, batteri) che penetra nel corpo creando focolai infettivi: «Allora, le nostre difese insorgono immediatamente, innescando un processo infiammatorio che ha lo scopo di rendere inospitale al “nemico” l’area o l’organo in cui si è intrufolato». Per analogia, lo stesso può succedere con le cellule cancerose: «Un sistema immunitario efficiente intercetta l’anomalia delle cellule tumorali e le distrugge prima che possano moltiplicarsi».

Tuttavia, spiega Gillessen: «Non sempre il nostro meccanismo di difesa è in grado di riconoscere le differenze tra cellule sane e quelle cancerose che quindi possono proliferare indisturbate». L’immunoterapia oncologica si situa proprio in questo meccanismo e, per avere la meglio sulle cellule neoplastiche (note per la caratteristica di riprodursi molto velocemente a spese delle cellule sane), le strategie immunoterapiche attualmente in uso puntano a potenziare il sistema di difesa rendendolo più “attivo” nello scovare ed eliminare le cellule tumorali».

Ma le terapie non funzionano tutte allo stesso modo con le diverse forme tumorali: «Mentre alcune terapie si limitano a potenziare il sistema immunitario in generale, altre lo armano (fornendo istruzioni ad alcune componenti specifiche del sistema di difesa del corpo) per uccidere specificatamente le cellule cancerose di un certo tipo di cancro». Ampio il ventaglio dell’immunoterapia oncologica, a cominciare dagli anticorpi monoclonali: «Si tratta di una terapia mirata e personalizzata, che usa proteine prodotte in laboratorio, strutturate in modo da attaccare e distruggere specifiche parti delle cellule cancerose». Stathis aggiunge: «Lo scopo della ricerca è quello di creare in laboratorio anticorpi in grado di intercettare gli antigeni delle cellule cancerose, in modo da superare il fatto che, per il momento, l’immunoterapia con anticorpi monoclonali è efficace solo contro alcune neoplasie». Passiamo alla terapia con gli inibitori dei checkpoint immunologici che Stathis così sintetizza: «Questi farmaci sbloccano sostanzialmente i freni (checkpoint) del sistema immunitario, permettendo il riconoscimento e l’attacco delle cellule tumorali». Un’importante competenza del sistema difensivo dell’organismo è infatti quella di distinguere le cellule anomale da quelle sane, e quindi aggredire solo le prime. «Il problema di queste specifiche cellule è che devono essere attivate per dare l’attacco e spesso le cellule tumorali sfruttano questi “freni” immunitari per evitare di essere assalite». Una terapia, ribadisce Gillessen, che funziona per diverse forme tumorali in fase avanzata: «Tra cui il melanoma, il carcinoma polmonare, la neoplasia del rene e della vescica e il linfoma di Hodgkin, mentre per altri tumori non funziona bene, anche se non sappiamo ancora il perché». La terapia CAR-T, invece, è molto efficace per alcune neoplasie del sangue, mentre: «Ad oggi, non trova indicazione standard per i tumori solidi, sebbene avremo presto dati da alcune sperimentazioni in corso». Si tratta comunque di una tecnica che unisce la terapia immunitaria con quella mirata: «Consiste nel prelevare cellule immunitarie del paziente (linfociti T) e nel modificarle per renderle in grado di riconoscere quelle tumorali per poi attaccarle». Un ventaglio complesso che comprende pure il campo dei vaccini anticancro come «scopo preventivo primario importante» per fornire all’organismo di una persona sana gli strumenti per attaccare agenti patogeni in grado di favorire la crescita di certi tipi di tumore (ndr: argomento che sarà sviluppato in un secondo approfondimento). Cosa certa è che il Dipartimento di ricerca dello IOSI è un’eccellenza nel portare avanti questi studi sulle nuove immunoterapie. «In Ticino, la ricerca clinica si muove fra nuovi metodi e nuovi farmaci, ed è lanciata verso opportunità che non sono, per ora, ad appannaggio di molti altri centri», conclude Gillessen.