È un gradito ritorno quello del Festival dell’educazione. Nuovi grandi nomi e un tema interessante (Le emozioni), questa quinta edizione presenta la stessa, vincente, formula: una serata spettacolo al Teatro sociale di Bellinzona, prevista venerdì 7 ottobre, con un celebre scrittore e una giornata di studio con quattro conferenze tenute da specialisti, sabato 8, nella sala del Consiglio comunale della capitale. Dopo tre anni di stop forzato dovuto alla pandemia, torna così in agenda e in presenza l’evento organizzato dalla Divisione della scuola, rivolto ai docenti di ogni ordine scolastico ma aperto anche al pubblico interessato (iscrizione online obbligatoria sul sito www.ti.ch/festivaleducazione, posti limitati, ingresso gratuito). «Scegliendo le emozioni quale filo conduttore dell’edizione 2022 – evidenzia il comitato organizzatore – il Festival dell’educazione cercherà di indagare la natura e le influenze che affetti, passioni e stati d’animo hanno sul nostro relazionarci, sul nostro comportarci e, naturalmente, sul nostro modo di insegnare e apprendere».
Tanti gli ospiti. Sul palco del Sociale arriverà Michele Serra, fondatore e direttore del settimanale satirico «Cuore», scrive per «Repubblica» e «L’Espresso». Il 7 ottobre alle 19, il giornalista, umorista e scrittore italiano presenterà lo spettacolo (ispirato alla sua famosa rubrica che pubblica da anni su «Repubblica»): L’Amaca di domani – Unplugged. Considerazioni in pubblico alla presenza di una mucca. Sabato 8 ottobre alle 9, David Sander, professore di psicologia all’università di Ginevra interverrà sul tema: Come possono le emozioni facilitare l’apprendimento? Alle 10.45 Giancarlo Visitilli, docente di letteratura a Bari, autore fra l’altro de E la felicità, prof? (Einaudi), proporrà un riflessione su Testa e cuore. Alfabetizzare ed educare alle emozioni. Alle 14, Macchine, intelligenza artificiale ed emozioni con Luca Maria Gambardella, professore della facoltà d’informatica all’USI. In chiusura, la professoressa e ricercatrice in Didattica e Pedagogia speciale dell’Università di Bologna Rosy Nardone parlerà di Adolescenti: ciascuno cresce solo se sognato. L’abbiamo intervistata a pochi giorni dall’evento.
Professoressa Nardone, quanto sono importanti, a suo giudizio, le emozioni nell’ambito dell’educazione?
Difficile se non impossibile rispondere a questa domanda nel breve spazio di un’intervista, in quanto le emozioni rappresentano uno degli ambiti, delle dimensioni portanti su cui, da sempre, la pedagogia e le discipline della formazione indagano, riflettono e costruiscono progettualità, approcci e teorie. Esse rappresentano sia un punto di partenza che di arrivo e di accompagnamento di ogni processo educativo: non si può intraprendere alcun tipo di relazione educativa se non si comprendono, accolgono, accettano le emozioni dei soggetti coinvolti, così come se non vengono contemplate e tenute in considerazione nel raggiungimento degli obiettivi progettuali. L’etimologia stessa della parola richiama fortemente la dimensione motivazionale soggettiva, interna al soggetto: «e-motus» come «trasportare fuori, smuovere, agitare» e dunque spostare, dare la spinta verso una direzione. Ad esempio, il prestigioso neuroscienziato Antonio Damasio descrive le emozioni come «dispositivi automatici con cui veniamo al mondo». Funzionano da sé, non hanno bisogno di pensiero per essere attivate e sono estremamente diversificate: ci sono emozioni primarie o di base, come la paura, la rabbia, la soddisfazione, la tristezza, ecc., mentre altre sono di natura sociale e quindi più complesse. E qui entra in gioco l’educazione, nella dimensione esperienziale, in quanto, è nel vivere e crescere nel mondo che impariamo ad associare emozioni a eventi, oggetti, persone, ecc.… fino anche a condizionare apprendimento e conoscenza. Le emozioni, pur essendo intangibili, inafferrabili, si traducono in manifestazioni concrete, in segnali fisici, corporei e in impulsi ad agire (o a sentirsi impossibilitati a farlo). Ecco che, a mio avviso (e non solo), le emozioni sono più un fatto culturale che naturale, nel senso che si possono apprendere, sono una dimensione centrale del sentire e dunque del pensare, della possibilità di conoscere, comprendere, ragionare.
Per la sua relazione ha scelto un titolo davvero affascinante: Adolescenti: ciascuno cresce solo se sognato. Ce lo può spiegare?
Questo titolo si ispira a uno dei pensatori che reputo come un maestro putativo, penso ancora troppo poco conosciuto, soprattutto da chi lavora in ambito educativo e formativo. «Ciascuno cresce solo se sognato» è tratto dall’omonima poesia di Danilo Dolci, educatore-maestro, scrittore, sociologo, attivista e promotore della nonviolenza, soprannominato il Gandhi italiano (in particolare della Sicilia, la terra in cui scelse di lavorare con e per la cittadinanza, di ogni età ed estrazione socioeconomica). Nel testo della poesia, che io considero un vero e proprio manifesto educativo, emerge il suo metodo maieutico di lavoro che è parte costitutiva del suo impegno sociale ed educativo: piuttosto che dispensare verità preconfezionate, Dolci ritiene che nessun vero cambiamento possa prescindere dal coinvolgimento, dall’esperienza e dalla partecipazione diretta degli interessati. La sua è un’idea di «capacitazione» (empowerment) delle persone generalmente escluse dal potere e dalle decisioni: ecco, dunque, perché nessuno può crescere se non viene sognato e se non viene stimolato a sognarsi come ancora non è. Immaginare gli altri come ora non sono significa avere la ferma convinzione che è possibile cambiare la realtà quando si prende coscienza delle proprie capacità e delle proprie risorse, quando, per dirla alla Paulo Freire – altro punto di riferimento imprescindibile – si costruisce un processo di «coscientizzazione».
Può anticipare alcuni dei punti che proporrà al pubblico?
Senza anticipare troppo, le posso dire che vorrei che la lettura (da cui inizierò) della poesia diventi una guida per riflettere oggi sulla dimensione emotiva (e dunque conoscitiva) complessa ed estremamente ricca di possibilità e potenzialità degli/delle adolescenti. Spaccato generazionale che attira e subisce una gran varietà di etichette, spesso stigmatizzanti e stereotipanti. Penso che gli adolescenti abbiano più che mai bisogno di adulti capaci di guardarli con uno sguardo diverso, che sappiano, dunque, proporre loro uno specchio in cui vedere le loro potenzialità e li incoraggi a sognarsi, a immaginarsi come ora non sono. E per dirla come bell hooks (scritto come da sua volontà in minuscolo, alias Gloria Jean Watkins), adulti educativi che insegnino loro a trasgredire profondamente.
Il Festival di Bellinzona è denominato «dell’educazione». Un termine davvero ampio che abbraccia una moltitudine di significati. Qual è, a suo avviso, il senso che va attribuito a questo importante sostantivo, se dovesse riformularlo?
Nelle risposte precedenti ho citato altri due riferimenti che sono, per me, delle guide pedagogiche di una pedagogia che «non deve educare nessuno in quanto gli uomini e le donne si educano tra loro, con la mediazione del mondo» (P. Freire) e che vede l’educazione «come pratica della libertà» (bell hooks). Ecco, questo per me è l’essenza dell’educazione: un agire continuo, intenzionale che non addestra, non trasmette, né intrattiene, nascondendo i paradossi del mondo. Educare deve essere il luogo delle possibilità, della creatività umana, che esplora, ricerca, non si ferma davanti a un dogma; educare è il luogo delle domande, degli interrogativi che mettono in discussione, contribuendo, così, a costruire insieme con le comunità e le cittadinanze strumenti critici per autodeterminarsi, per decostruire gabbie sociali e culturali che condizionano i vissuti di tutti (specialmente dei piccoli e delle giovani generazioni), per poter essere libere e liberi di scegliere chi si vuole essere nel mondo.