La chimera è un mostro leggendario della mitologia greca, romana ed etrusca formata con parti del corpo di animali diversi. Oggi le chimere non sono più un mito ma una realtà, costruite dai biologi assemblando – in un unico essere vivente – geni, cellule, organi di animali di specie diverse.
Da decenni gli scienziati hanno messo assieme parti di embrioni di differenti animali per studiare i meccanismi dello sviluppo embrionale e, in anni più recenti, hanno anche usato elementi umani come organi, cellule e geni per chimere uomo-animale. Lo scopo è quello di capire meglio come funzionano i sistemi biologici o di sperimentare cure per le malattie: in oncologia, per esempio, si trapiantano tumori umani nei ratti e nei topi per studiarne lo sviluppo o testare farmaci antitumorali. Una trentina di anni fa, gli scienziati hanno creato – per studi sperimentali di immunologia – topi con un sistema immunitario umano. Sempre con la tecnica delle chimere biologiche, si possono far crescere in animali come i maiali organi «umanizzati» a scopo di trapianto.
Negli ultimi cinque anni, la ricerca ha inventato tecniche, ancora in via di sviluppo, per realizzare chimere con cellule nervose umane (neuroni) impiantate in animali, le cosiddette chimere neurali. Per ottenere le chimere neurali, si usano due tipi di cellule staminali umane: le cellule staminali embrionali – ottenute da ovuli fecondati in provetta e non utilizzati per la procreazione – o cellule staminali pluripotenti indotte (IPS) che possono essere derivate da cellule umane adulte (per esempio della pelle o delle mucose) e «riprogrammate» per farle ritornare a uno stato quasi embrionale. Entrambi i tipi di staminali – ma soprattutto le IPS, scoperte dal giapponese Shin’ya Yamanaka, Nobel per la medicina nel 2012 – hanno la capacità di dare origine a qualsiasi tipo cellulare, neuroni compresi.
La tecnica più semplice per costruire una chimera neurale è quella di trapiantare pochi neuroni per volta nel cervello di un embrione animale e studiarne lo sviluppo e la funzione per un certo numero di settimane o mesi: in tal modo è possibile capire come crescono parti del cervello di un feto umano. Questo è stato fatto con trapianti in ratti neonati o allo stato embrionale: i neuroni umani hanno impiegato il loro tempo consueto per svilupparsi, da 6 a 12 mesi rispetto alle cinque settimane impiegate da quelli murini. Anche nell’ambiente del cervello di topo, i neuroni umani hanno mantenuto il loro comportamento e questo suggerisce che il tempo per svilupparsi è geneticamente stabilito e non influenzato dal nuovo ambiente. Nel corso di un esperimento, si è visto che neuroni umani si sono integrati, connessi nel circuito visivo del ratto, rispondendo agli stimoli luminosi.
La percezione visiva, in questo caso, è stata modificata in senso umano? In nessuna sperimentazione è stato verificato ciò, la visione è rimasta quella tipica di un ratto, senza alcuna umanizzazione. Del resto, i ricercatori sono unanimi nel ritenere che poche cellule nervose trapiantate non possano orientare il cervello di un animale a sviluppare funzioni simil-umane. Che i neuroni umani messi in un cervello estraneo si integrino e funzionino normalmente ha destato sorpresa e questo suggerisce che trapianti di cellule possano essere usati in futuro anche nell’uomo per riparare parti di cervello danneggiate da malattie.
Altri esperimenti hanno mostrato che i neuroni trapiantati si sono sviluppati in raggruppamenti grandi come una lenticchia: le connessioni nervose si sono formate soprattutto fra i neuroni umani, ma ci sono anche connessioni con le cellule della corteccia cerebrale del ratto e, inoltre, si sono formati vasi sanguigni. In questo modo, il piccolo ammasso di neuroni umani si è sviluppato per cinque mesi – la durata dell’esperimento – crescendo come in un cervello fetale umano e funzionando normalmente.
Un team di ricerca ha trapiantato dei neuroni umani sani in cervelli di ratti con una predisposizione genetica alla malattia di Alzheimer. Il lavoro ha mostrato che, in questo ambiente, i neuroni umani degenerano, mentre quelli del ratto no. Questo conferma non solo che i neuroni umani sono particolarmente vulnerabili alla malattia, ma hanno anche dato ai ricercatori l’opportunità di studiare la progressione della malattia.
Lo sviluppo delle chimere neurali ha naturalmente sollevato la questione dell’eticità di simili esperimenti, anche da parte di alcuni scienziati. Maiali con tessuti umani di reni o fegato sono una cosa, mentre impiantare neuroni umani in cervelli animali può destare perplessità e rifiuto nell’opinione pubblica. Nel 2019, in Giappone è stato tolto il divieto di usare fondi statali per la ricerca con embrioni chimerici umano-animali. In molti Paesi, inclusi gli USA e la Gran Bretagna, la ricerca che mescola cellule nervose umane con quelle di animali è permessa. In Svizzera, vale la legge LPAn del 2005: tutti gli esperimenti su animali sono sottoposti a controlli federali e cantonali.
Anche se gli esperimenti finora realizzati hanno mostrato che la presenza di piccoli frammenti di cervello umano in animali non possono dare origine a una umanizzazione di qualche genere, le perplessità rimangono. Un esempio: se si creassero chimere neurali uomo-scimmia, attualmente vietate? Chi fa esperimenti del genere dovrebbe avere cura di spiegare in termini comprensibili al pubblico come questi esperimenti si fanno, per quale scopo e se non ci sono alternative. E anche considerare se questa condizione può essere di disturbo per l’animale, nel senso del comportamento o della sofferenza.
Se si usano staminali umane, sarebbe inoltre opportuno un consenso da parte del donatore per il loro uso. Chi le dona deve sapere se le sue staminali – prelevate e riprogrammate per diventare cellule nervose – saranno impiantate nel cervello di un animale e per quale scopo. Certo, di fronte alla prospettiva di poter avere, in questo modo, una terapia per malattie ancora oggi incurabili come l’Alzheimer può essere di incentivo a un consenso per queste sperimentazioni.