Lasciate che la spazzatura venga a me

Progetti del futuro - Boyan Slat ha ideato una tecnologia che, se avrà successo, potrà rimuovere in soli dieci anni circa la metà della plastica che galleggia nella chiazza del Pacifico, contro i previsti 79mila anni necessari alla natura per ottenere gli stessi risultati
/ 13.03.2017
di Nicola Iachini

Immaginiamoci di andare su un’isola della Grecia per fare immersioni e, al momento di entrare in mare, ci capitasse di vedere più rifiuti che pesci. Cosa faremmo? Probabilmente la maggior parte di noi esprimerebbe il proprio disappunto con qualche mugugno, smetterebbe di fare immersioni e resterebbe semplicemente sulla spiaggia a prendere il sole. Beh, Boyan Slat, un ragazzo olandese che nel 2011, quando aveva 16 anni, si è trovato in questa situazione, ha avuto una reazione diametralmente opposta: si è chiuso in camera a studiare e, dopo molte ricerche, ha trovato un modo per pulire gli oceani dalla plastica.

«Per me – racconta – era diventata una vera ossessione. Ci ho pensato notte e giorno per un anno, anche dopo l’inizio dei miei studi in ingegneria aeronautica». E dopo tutte queste riflessioni ha trovato un sistema assolutamente geniale. «Perché dovremmo essere noi a muoverci tra i mari, se sono già loro a muoversi?», si è chiesto Boyan. Un professore gli aveva infatti spiegato che era proprio lo spostamento permanente dei rifiuti nell’oceano a rendere difficile il loro recupero. «Mi sono allora chiesto – ricorda – se non fosse possibile utilizzare questo movimento per far sì che la plastica venisse da noi». Partendo da questa idea, ha ideato un sistema per sfruttare le correnti marine grazie a una barriera fluttuante a forma di V profonda tre metri, che verrà ancorata ai fondali con al centro una piattaforma funzionante a energia solare, nella quale la corrente spingerà la spazzatura e dalla quale sarà poi semplice prenderla e riciclarla.

Boyan ha presentato la sua idea al mondo nel 2012 (a 17 anni), parlando in un TED in un intervento intitolato «How the Oceans can Clean themselves», ossia come gli oceani possono pulire se stessi (che tra l’altro è possibile trovare su Youtube). E la rispondenza che ha trovano a livello mondiale è stata immediata e incredibile: la presentazione è stata vista milioni di volte, e centinaia di ingegneri e specialisti, oltre che migliaia di volontari, si sono offerti di aiutarlo. Boyan ha anche lanciato un progetto che è stato finanziato attraverso il crowfunding, che gli ha permesso di raccogliere due milioni di dollari da 38mila donatori di 160 Paesi del mondo. Le offerte vanno da un contributo di circa cinque franchi per raccogliere un chilo di plastica, a 25 franchi per cinque chili, e a 620 franchi per 120 chili.

Il compito che Boyan si è dato comunque non è facile. È stato calcolato che se nessuno interverrà, entro il 2050 gli oceani conterranno più plastica che pesci. Ogni anno vi vengono scaricati otto milioni di tonnellate di plastica, i quali vengono convogliati, a causa di venti e correnti, in cinque zone negli oceani. E addirittura un terzo del totale è concentrato in quella che viene chiamata Great Pacific Garbage Patch (la grande chiazza di immondizia del Pacifico). Con effetti drammatici sulla salute del pianeta e anche di noi uomini: i materiali cancerogeni vengono ingeriti dai pesci, che poi finiscono nei nostri piatti.

Ma se la tecnologia ideata da Boyan avrà successo, potrà essere usata per rimuovere in soli dieci anni circa la metà dei pezzi di plastica che galleggiano nella chiazza del Pacifico. Invece, senza questo sistema, è stato calcolato che ci vorrebbero 79mila anni per avere gli stessi risultati.

Ma a che punto siamo col progetto? Dal 2013 al 2015 Boyan e il suo team hanno condotto ricerche sulla plastica in acque marine. Infatti i raggi ultravioletti e le onde hanno un effetto degradante su questo materiale, che si divide in piccole parti che poi si disperdono ancora di più nel mare. Nell’agosto 2015 ha lanciato un’operazione della durata di tre settimane, denominata Mega Expedition, nella quale ha mobilitato trenta battelli per controllare la zona fra le Hawai e la California. La presenza di plastica è stata di dieci volte superiore alle previsioni e, fra gli oggetti raccolti, come caschi da cantiere o console da gioco, alcuni avevano oltre venti anni. Questi studi hanno permesso di stabilire che circa l’80 per cento della plastica può essere trovata nei primi due o tre metri dalla superficie.

Da allora si è passati alla fase di implementazione del sistema di pulizia: lo scorso anno è stata posta una barriera nel Mare del nord a circa 23 chilometri dalla costa olandese, dove resterà per un anno. Essa è profonda cinque metri e lunga cento e rappresenta il primo modello posto in acque marine. Il prototipo è concepito per sopportare un carico di ottanta tonnellate e per catturare piccoli pezzi di plastica fino a un millimetro di diametro. La zona del test è stata peraltro scelta proprio a causa della potenza delle correnti marine. «Il mare del Nord – spiega Boyan – registra tempeste più forti del Pacifico. Perciò se resiste qui, può resistere ovunque».

Il sistema delle barriere è stato scelto perché, contrariamente alle reti, permette a pesci e agli altri abitanti degli oceani, fra cui il plancton e le tartarughe marine, di non restare impigliati nel dispositivo, ma di passare sotto la linea di galleggiamento.

Il passo successivo è previsto per quest’anno, quando verrà effettuata l’installazione nell’oceano Pacifico di una barriera lunga diversi chilometri, che servirà per svolgere tutta una serie di test di fattibilità prima di arrivare al progetto completo. «Col mio sistema la plastica si muove verso il centro, dove la concentrazione aumenta di 100mila volte, fino a poter davvero camminare sull’acqua», spiega Boyan. Ma l’obiettivo finale, ambizioso e per questo ancora più suggestivo, è quello di coprire un’area di oltre cento chilometri entro il 2021, il che permetterebbe di pulire la maggior parte dell’oceano Pacifico.

Ma Boyan, visto l’inizio incoraggiante, non è certo il tipo da fermarsi qui. Ora spera di riuscire a utilizzare la sua tecnologia per ripulire i fiumi e le coste, ossia prima che i rifiuti arrivino in mare aperto. Per giunta, nella sua squadra ha fatto entrare alcuni scienziati con il compito di studiare il modo per riciclare la plastica raccolta col suo sistema. Se si riuscisse a trasformarla in energia, potrebbe portare benefici all’intera umanità. Non male, per una storia iniziata con una vacanza in Grecia per vedere i pesci sott’acqua…