Alpe di Sceru, Valla Malvaglia, 1968 metri. È qui che inizia l’avventura di Martino Pedrozzi e delle sue ricomposizioni. Nato a Zurigo ma cresciuto a Semione, l’architetto è infatti l’artefice di queste ricostruzioni che possiamo osservare camminando in questa verde e aspra regione della Valle di Blenio. Da Malvaglia si sale e presto ci si ritrova nel silenzio della montagna, passando da alcune frazioni ancora abitate, soprattutto o solamente d’estate. Da Dandrio il tutto si fa ancor più rurale e alcuni nuclei come Visnòu, Anzano o Ticiall sono lì sul versante con uno sguardo verso valle. S’incontrano diverse cascine riattate e ristrutturate oppure, come a Germanionico, c’è aria di rinnovo grazie a un progetto che intende salvare e ridare vita all’interno monte. Siamo a 1500-1600 metri d’altitudine, ma la montagna è ancora generosa e più in su, verso i 2000 metri ci sono gli ultimi edifici utilizzati a scopo agricolo fino agli anni ’50. Si tratta di edifici utilizzati per poche settimane durante la stagione d’alpeggio che, con l’abbandono di alcune attività alpestri, sono andati in decadimento.
Cadute e abbandonate, quelle all’Alpe di Sceru non sono passate inosservate a Martino Pedrozzi che nel 1994 ne riattò una per adibirla a luogo di vacanza. Nel pieno dei suoi studi presso il Politecnico federale di Losanna, Pedrozzi volle però fare qualcosa anche per le altre rovine. Da qui l’idea delle ricomposizioni, che divenne realtà solo nel 2000, come ci racconta l’architetto, oggi anche docente presso l’Accademia di Mendrisio. «Esatto, l’idea è maturata con gli anni e solo nel 2000, contattato l’amico e fotografo Pino Brioschi, abbiamo messo mano alla prima rovina sull’Alpe di Sceru e praticamente in un giorno abbiamo spostato tutte le pietre che erano cadute all’esterno del perimetro al suo interno». Di questo in sostanza si tratta: mettere le pietre cadute disordinatamente sul terreno all’interno dell’edificio o, meglio, delle mura rimaste.
Lo scopo è sia architettonico che paesaggistico e, infatti, il territorio torna di nuovo a disposizione del bestiame per il pascolo e si presenta in modo ordinato con cumuli di pietre. «Certo – conferma l’architetto – l’obiettivo del mio intervento è proprio quello di migliorare la qualità dello spazio pubblico e del paesaggio. Oggi l’erba può crescere di nuovo fino alla base dell’edificio e nel contempo è anche una sorta di omaggio alle cascine, una sorta di lieto fine per delle costruzioni erette con fatica e che hanno servito per anni una popolazione rurale dedita all’allevamento e alla vita alpestre».
Pedrozzi ha ricevuto per questo suo lavoro anche dei riconoscimenti e molti apprezzamenti dalla popolazione locale. «Sì, la gente apprezza questi interventi, li vede come una degna fine di un’opera ormai dimenticata. L’abbandono è invece associato a un sentimento di tristezza».
Dalla prima ricostruzione avvenuta nel 2000, il lavoro è proseguito con altre rovine e oggi all’alpe di Sceru tutte le cascine sono state ricomposte e giacciono ordinate accanto ai quattro-cinque edifici ancora esistenti e ora in parte utilizzati da Pedrozzi e dalla sua famiglia durante l’estate oppure come punto d’appoggio durante il periodo della caccia. L’impegno è di seguito proseguito anche nella zona alpestre di Giumello, dove sono state gradualmente ricostruite altre rovine, sempre documentate dalle fotografie di Pino Brioschi, considerate parte integrante del progetto. «A Giumello abbiamo ricostruito altri 25 edifici da anni abbandonati e crollati, di dimensioni minori rispetto a quelli di Sceru, ma comunque impegnativi. Sempre più persone mi hanno aiutato nell’opera: parenti, amici e anche studenti dell’Accademia d’architettura». Pure Giumello è oggi una zona abbandonata che rivive per poche settimane all’anno con la presenza di una famiglia, oppure con alcuni pastori e cacciatori che sostano per brevi periodi nelle poche cascine rimaste funzionali.
Il lavoro di ricomposizione segue un schema preciso, sotto il coordinamento di Martino Pedrozzi, il quale sottolinea che si tratta semplicemente di riportare dei sassi entro il perimetro originale di un edificio in rovina. Le costruzioni appaiono quindi come degli ordinati cubi o parallelepipedi realizzati seguendo il perimetro dei muri di cinta esistenti. Al loro interno, ben ammucchiate, tutte le pietre un tempo adoperate per la realizzazione dell’edificio stesso.
Pedrozzi preferisce non parlare di arte: «L’intervento è chiaramente un lavoro d’architettura dove il punto centrale è l’edificio e la ricomposizione è una tipologia di restauro». Un’operazione che ridà agio al territorio e a cui ci si può avvicinare con una passeggiata nella sorprendente Val Malvaglia.