È difficile essere pazienti mentre attorno a noi i ritmi sono sempre più frenetici. Sembra quasi impossibile riuscire a non farsi prendere dalla Fomo, acronimo inglese di Fear of missing out, la costante preoccupazione di perdersi qualcosa di importante accompagnata dall’ansia di venire tagliati fuori dalle esperienze gratificanti che fanno gli altri. Una sensazione che spinge a essere sempre connessi attraverso i social network. Al bisogno di rallentare ha appena dedicato un libro Raffaele Gaito, consulente, docente alla Business School de «Il Sole 24 Ore» e relatore sui temi del digitale e dell’innovazione. L’arte della pazienza. Come essere perseverante in un mondo frenetico (Franco Angeli) fornisce consigli concreti e approfondimenti, citando esempi di grandi personalità, da Marco Aurelio ad Alfonsina Strada, che per raggiungere obiettivi importanti hanno saputo aspettare, senza farsi disturbare.
Raffaele Gaito, che cos’è la pazienza?
Purtroppo negli anni la pazienza si è fatta una brutta reputazione. Oggi quando pensiamo a una persona paziente ci viene in mente qualcuno di immobile, di pigro e di innocuo. Niente di più sbagliato. Per me la pazienza è qualcosa di molto concreto, legato all’attività e non all’inerzia. È un mix di costanza, perseveranza e capacità di attendere che risulta fondamentale nel mondo nel quale viviamo oggi. A tal proposito c’è una bella frase di Bruce Lee che io riprendo nel mio libro e che dice: «La pazienza non è passiva. Al contrario, è forza concentrata». Ecco, questa citazione riassume appieno la mia visione di pazienza. Non è tanto aspettare, ma cosa facciamo mentre aspettiamo.
Perché la pazienza è importante?
Il mondo digitale nel quale viviamo oggi ci ha abituato a dei tempi rapidissimi. Siamo circondati da aziende il cui unico obiettivo è quello di esaudire i nostri desideri il più velocemente possibile. Apriamo un’app e possiamo avere la cena nel giro di mezz’ora, apriamo un’altra app e una macchina viene a prenderci sotto casa, ne apriamo un’altra ancora e riceviamo la spesa senza muoverci dal divano. Tutto ciò è fantastico, ma se pensiamo di estendere questo concetto di velocità a tutto il resto allora rischiamo grosso. Ad esempio, fare carriera, ottenere dei risultati o raggiungere il successo sono tutte attività che richiedono tempo. È sempre stato così e sarà sempre così. Ecco perché diventa fondamentale allenare la pazienza. Imparare a ragionare nel lungo periodo ed essere consapevoli che non stiamo partecipando a una gara dei cento metri, ma a una maratona.
Quanto è difficile essere pazienti quando sembra che dovremmo tutti aspirare a diventare influencer iperconnessi per essere realizzati?
I social da questo punto di vista non aiutano. Ogni volta che apriamo Instagram siamo circondati da persone con un fisico da urlo, super macchinoni, ville con piscine mozzafiato e chi più ne ha più ne metta. Non ci deve sorprendere il fatto che le nuove generazioni vivano in un costante stato di insoddisfazione. Ci sentiamo tutti un po’ dei perdenti, non all’altezza, in ritardo. In un contesto del genere la pazienza e la costanza diventano delle qualità fondamentali. Dobbiamo essere consapevoli che non c’è nessuna gara, non c’è una data di scadenza sul successo e che ogni storia è diversa. Le uniche persone con cui dobbiamo confrontarci siamo noi stessi.
Come ci si allena alla pazienza?
Nel libro fornisco una serie di suggerimenti pratici per coltivare queste abilità, proprio perché vedo la pazienza come un muscolo: tutti ne siamo forniti, solo che qualcuno si dimentica di allenarlo. Io suddivido la pazienza in quattro elementi: abitudini, obiettivi, sperimentazione e fallimento. Per ognuno di essi c’è qualcosa che possiamo fare per tenerci in allenamento. Il punto di partenza è modificare le nostre abitudini. Occorre, quindi, imparare a definire bene gli obiettivi di breve e lungo periodo. Per farlo è fondamentale acquisire una mentalità rivolta alla sperimentazione continua e, infine, accettare il fallimento come parte inevitabile e necessaria della nostra vita.
Trovare il proprio percorso e seguirlo può essere difficile mentre si viene distratti dall’ansia di essere multitasking. Quali sono i suoi consigli?
Il multitasking è una delle più grosse fregature della nostra epoca. Siamo ossessionati dall’ottimizzare il tempo, dal migliorare le performance e dal fare di più. E quindi ci siamo illusi di poter portare avanti tante attività in parallelo. In realtà la scienza ha da tempo scoperto che il multitasking crea l’effetto opposto. La nostra mente non è fatta per lavorare in parallelo, ma gestendo le attività in sequenza, in modo seriale. Forzarci a fare multitasking porta ad abbassare il focus e la concentrazione, a una riduzione delle nostre performance e, nel lungo periodo, a una maggiore stanchezza. Anche qui, la chiave per un primo passo verso il cambiamento è ricordarci che alcune cose richiedono tempo e non dobbiamo forzarle inutilmente. Il mito dei super uomini e delle super donne fa più danni che altro.
A un certo punto descrive il Kintsugi, la pratica giapponese di usare l’oro per riparare gli oggetti di ceramica. Cosa possiamo imparare da questa tradizione?
Con il Kintsugi si tengono insieme i frammenti degli oggetti rotti versando dell’oro liquido nelle crepe. Il Kintsugi porta due grossi vantaggi: l’oggetto aumenta di valore grazie alla presenza del metallo prezioso e si trasforma in qualcosa di completamente unico. Nel libro uso il Kintsugi come metafora per la nostra crescita personale e professionale. Ecco perché invito ad accettare il fallimento come parte inevitabile e necessaria della propria vita. Facciamo un piccolo cambio lessicale e iniziamo a parlare di insegnamento invece di fallimento. In questo modo ad ogni fallimento noi avremo imparato qualcosa di nuovo, saremo cresciuti un po’ rispetto a ieri, saremo persone migliori. Impariamo a versare oro nelle nostre crepe e a mostrarle in giro con orgoglio.