La scomparsa di Paolo Fumagalli lascia un grande vuoto non soltanto nel mondo del dibattito e della ricerca architettonica, ma anche più in generale nel mondo della cultura. L’autorevolezza della sua figura e della sua opinione deriva da una vita di battaglie culturali sui temi che interessano il mestiere dell’architetto e dell’ingegnere civile, e sul tema più vasto della condizione delle città e del territorio nel quale gli architetti e gli ingegneri progettano e costruiscono.
Il suo lavoro di architetto, esercitato dal 1967 insieme a Mauro Buletti (dal 2013 lo studio è diventato Buletti Fumagalli Del Fedele Bernardi) ha lasciato un segno importante nella storia moderna della città di Lugano. La nuova Resega, il Liceo 2, la sistemazione degli spazi pubblici del centro storico, e il progetto di numerosi edifici (tra i quali il recente restyling del centro Migros di via Pretorio) testimoniano la grande qualità delle realizzazioni. La partecipazione ai concorsi più importanti – tra gli altri, lo studio si è aggiudicato la ristrutturazione del Pretorio e la sistemazione del Lungolago, sempre a Lugano – indicano l’impegno costante nella ricerca.
È stato presidente della sezione ticinese della FAS, ha presieduto per lunghi anni l’Archivio Architetti Ticinesi, del quale è stato tra i fondatori, ed ha presieduto la Commissione Cantonale per il Paesaggio.
Ma l’attività che ha fatto conoscere ed apprezzare il lavoro di Paolo Fumagalli alla più vasta opinione pubblica è stata certamente quella pubblicistica, l’attività di commento e di critica che ha svolto da sempre, diventando un punto di riferimento del dibattito sui temi di maggiore attualità relativi alle città e al territorio cantonale. Dal 1972, per un decennio, ha diretto «Rivista Tecnica», la storica rivista della SIA Ticino, negli anni nei quali la battaglia importante era quella della difesa della nuova architettura moderna ticinese dalla reazione dei vecchi potentati professionali. Poi è stato redattore di «Werk, bauen + wohnen» e, successivamente, ha curato per 14 anni, dal 2003 al 2017 la rubrica Il Diario dell’architetto su «Archi», la rivista in italiano della SIA. Contemporaneamente ha scritto con frequenza su «Azione» e su altri periodici e quotidiani.
È stato un critico «combattente», un militante della critica architettonica e urbanistica, che ha esercitato con rigore, senza fare sconti a nessuno. È stato un architetto-intellettuale, aperto e curioso di ogni novità. È stato intransigente verso la politica, alla quale addebitava le maggiori responsabilità per la gestione liberistica del territorio, che ha provocato la diffusione insediativa. Fin dagli anni 90 ha denunciato il degrado delle relazioni sociali e gli enormi sprechi di risorse e di energia – in trasporti individuali e in reti tecnologiche – conseguenti alla frammentazione degli insediamenti e al mancato governo del territorio. Era anche consapevole della inadeguatezza delle città ticinesi che, non avendo vissuto l’industrializzazione e l’inurbamento, sono rimaste piccole e non hanno offerto valide alternative alla nuova domanda di abitazioni. L’architettura ticinese degli anni 70 e 80, diventata famosa nel mondo perché ha rivalutato e aggiornato le scoperte e i linguaggi del movimento moderno, ha tuttavia perso la sfida territoriale. Al proposito, Fumagalli non è mai stato indulgente nei confronti dei tanti colleghi che non partecipano al dibattito pubblico su queste grandi questioni, e che non si impegnano esprimendo pubblicamente il loro pensiero, assecondando così le tendenze in atto.
Soprattutto negli ultimi 15 anni, Fumagalli ha messo a punto un concetto critico sul rapporto tra architettura e urbanistica, secondo il quale la condizione territoriale costituisce il limite della qualità dell’architettura. La definizione più aggiornata di qualità architettonica, quindi, è nel modo nel quale il progetto affronta la condizione territoriale. Non esiste la qualità in sé. Se vengono edificate mille abitazioni considerate di qualità eccellente (con consumo di energia nullo, con spazi interni bellissimi e tecnologicamente avanzati, ecc.), ma dislocate sul territorio in modo diffuso e disordinato, si tratta comunque di una sconfitta dell’architettura, di una rinuncia alla missione di migliorare il mondo.
Questo è per Paolo Fumagalli il grande tema politico del Ticino di oggi. È la condizione dal cui riscatto l’architettura ticinese può tornare, in forme nuove, a rivendicare un primato.
Il modo in cui Fumagalli ha esercitato la critica, la sua scrittura, merita un accenno, perché è una scrittura profondamente diversa da quella usata dai critici e dagli storici di professione. Se, infatti, il compito dell’architetto è di modificare la realtà per migliorarla, ciò non è possibile senza criticare la realtà, senza assumere una distanza da essa. Ed è questo atteggiamento che conferisce alla critica una misura operativa e una tensione, che può esprimere soltanto chi progetta e costruisce, e che non può possedere chi scrive per professione. Paolo Fumagalli ha sempre guardato il mondo con l’occhio critico dell’architetto, che vuole cogliere le debolezze, le storture, le soluzioni irrazionali e gli errori insediativi, per pensare a come correggere e migliorare il mondo.
Da vero combattente, ha dedicato le sue ultime settimane, e anche gli ultimi giorni di vita, a raccogliere, ordinare e selezionare i testi pubblicati su «Archi» per farne un piccolo libro, che uscirà a giorni per i tipi di Casagrande. Un testamento del pensiero dell’ultima parte della sua vita, quella più lucidamente critica. Con il suo contributo e con la spinta del suo pacato entusiasmo, fino al 2017 «Archi» ha attraversato una stagione felice, nella quale ogni tema progettuale trattato dalla rivista veniva riportato alle problematiche della condizione territoriale, trasmettendo nei lettori un invito pressante a guardare criticamente il mondo. I suoi testi hanno suscitato riflessioni e pensieri che contribuiranno alla continuazione e al successo delle battaglie civili da lui promosse.