Cento anni fa nasceva il parco nazionale del Gran Paradiso, il più antico d’Italia. La sua storia è strettamente legata alla salvaguardia dello stambecco, animale simbolo del territorio, la cui esistenza fu messa a dura prova a causa del bracconaggio. La sua caccia sfrenata sulle Alpi, ha portato alla necessità di istituire una figura a tutela della fauna e della flora nel territorio: il guardiaparco. Oggi, tra i guardiani c’è Claudia Linty che sorveglia la zona di Orvieille, duemila ettari di superficie del versante valdostano in cui si inserisce il comune di Valsavarenche. Al suo fianco c’è l’inseparabile Peak, la border collie che segue l’ombra di Claudia nei sentieri del parco. Peak, che deriva da soul of high peak, l’anima delle alte vette, è l’estensione e il proseguimento di Claudia stessa: l’udito che sente un animale o l’olfatto che trova tracce da campionare la rendono a tutti gli effetti una guardiaparco speciale.
Il lavoro del guardiaparco è strettamente legato ai ritmi della natura dove l’orologio si muove dalle prime luci dell’alba fino all’imbrunire. Tra le attività principali c’è la cattura degli stambecchi che avviene due volte l’anno. In questa occasione tutto il corpo del guardiaparco ha come obiettivo il censimento degli animali. La marcatura mediante i collari serve per raccogliere campioni biologici e informazioni su più anni riguardanti il comportamento, la sopravvivenza, le strategie di riproduzione e per seguire la dinamica della popolazione. Un lavoro di squadra che ha come unico fine la salvaguardia e la tutela del simbolo del Gran Paradiso. Un’altra intensa attività, che vede Claudia Linty coinvolta, è la sorveglianza della nidificazione del gipeto: uno degli avvoltoi europei di maggiori dimensioni, tornato recentemente a nidificare nel parco dopo l’estinzione avvenuta agli inizi del ’900.
La tutela della loro riproduzione rappresenta un importante obiettivo conservazionistico per l’Ente parco. Il nido della Valsavarenche, ripreso da una webcam, ospita ogni anno una coppia di gipeti che proprio lì deporrà le uova. Claudia si occupa anche di educazione ambientale: insegna a giovani studenti come contare gli anni di uno stambecco dai nodi dei suoi trionfi (anelli che ogni anno si formano sulle corna) e come il cambiamento climatico sta rendendo sempre più difficile la loro presenza nel parco. Insegna ad ascoltare il fischio del camoscio e a osservare col binocolo il suo manto che brilla al sole. In queste occasioni, più che mai, emerge un tema fortemente incompreso: il lupo. Da sempre in competizione con l’uomo per la sopravvivenza, è un anello fondamentale della catena alimentare: preda gli animali malati o feriti, mettendo in atto una selezione naturale. Studiarlo è centrale per l’intero equilibrio dell’ambiente; raccogliere la sua fatta (escrementi), schedarla e geolocalizzarla tramite palmare, per dei successivi esami in laboratorio, è indispensabile perché fornisce informazioni sul suo stato di salute.
«Ogni volta che torno a casa porto con me la soddisfazione di un lavoro che amo e tantissime storie da raccontare ai miei figli, perché la natura è una scoperta continua». Tra i sentieri tracciati e le montagne innevate Claudia ha imparato l’amore e il rispetto per la montagna e per gli esseri che la vivono e come «anticipare» gli improvvisi cambiamenti meteorologici ad alta quota. «Il silenzio, soprattutto, è la chiave per entrare in simbiosi con la natura che ci circonda. Questa Terra ci è stata donata, indistintamente a noi come agli animali, è per questo che dobbiamo rispettare il loro habitat in silenzio». Claudia fa parte di un organico operativo di quarantatré guardiaparco, di cui sette sono donne. È nel 1985 che fa ingresso, per la prima volta, nel parco nazionale del Gran Paradiso una donna; sebbene la professione non abbia mai fatto distinzioni di genere, tuttavia fino a quel momento non c’era mai stata occasione per incoraggiarne la presenza. Il lavoro, a cui si accede solo tramite concorso statale, prevede, dopo prove scritte e fisiche, un periodo di affiancamento del giovane, o della giovane guardiaparco a un veterano. Per imparare occorre: occhio, fiuto e spirito di sopravvivenza. «Quando incontro delle persone lungo il mio cammino, mi ricordano quanto sono fortunata ad aver fatto della mia passione il mio lavoro. Questi incontri, però, avvengono quando c’è sole e bel tempo, sotto le intemperie sono sola con me stessa. In alcuni periodi dell’anno vivo nel mio casotto e mi capita di stare anche quattro o cinque giorni senza parlare con nessuno dal vivo. Magari incontro uno stambecco e senza emettere alcun suono, mi chiedo come sia stata la sua giornata».
Non c’è cosa più importante per il guardiaparco del rapporto con la solitudine, eppure è fondamentale comunicare con colleghi e colleghe. Questo avviene in via ufficiale tramite radio: ogni due ore c’è la chiamata a cui tutti, obbligatoriamente, devono rispondere, fornendo dati e coordinate della propria posizione e di quella verso cui si è diretti. Ogni spostamento o cambio di rotta deve essere segnalato, se questo non avviene o non si risponde alla chiamata, l’invio dei soccorsi è immediato. Claudia, come ogni collega o supereroe del bene, ha un nome in codice per comunicare: il suo è Juliet.
Essere guardiaparco è una vocazione, una scelta di vita. Richiede dedizione, attenzione, sacrificio. È una scelta consapevole, una decisione personale per la salvaguardia di un territorio globale. È l’essere guardiano di un mondo meraviglioso e fragile, spietato e selvaggio. Essere guardiaparco significa camminare «a passo lento ma costante, tra il rumore della neve e il fruscio del vento, dove le vette trovano il cielo e lo stambecco casa. Nel silenzioso rumore della natura e nell’infinita maestosità del Paradiso».