La città è un organismo che vive, si trasforma, cresce, ingrassa, dimagrisce, invecchia e si rifà il lifting di tanto in tanto. Il tempo la plasma, strato sopra strato, lasciando qualche reperto di un passato superato qua e là, città più città meno, a seconda della sensibilità alla memoria urbana.
Oggi l’umore metropolitano tende universalmente al naturalistico, alla ricerca di polmoni verdi per lo svago e l’esercizio fisico, ma anche di interstizi da recuperare alla coltivazione. Nell’era di slow food e chilometro zero, i piccoli contadini di città si manifestano e si organizzano: ad un sondaggio lanciato a Lugano sono stati 400 ad aver risposto che desiderano un orto!
A Milano, nostra metropoli di riferimento geografico, sull’onda dell’Expo dedicata al cibo, sono cresciute iniziative legate alla rivisitazione del cosiddetto settore primario, oggi agroalimentare: la Fiera Orticola ai Giardini di Porta Venezia, l’orto del FAI di Villa Necchi Campiglio, dietro la centralissima Piazza San Babila, Cascina Cuccagna, poco fuori Porta Romana, dove all’ombra dei palazzi si coltivano pomodori e zucche e la gente del quartiere si ritrova per mangiare e bere, fare mercato, riparare la bici o lavorare in falegnameria. Del resto Milano, oltre a capitale della moda e del design, ormai si fa un gran vanto di essere la seconda città agricola d’Italia.
Così come la grande Lugano, fatte le debite proporzioni, è divenuta improvvisamente il secondo comune svizzero per estensione del suo territorio, con oltre 75 km quadrati, di cui 45 di bosco e 13 agricoli. Un notevole patrimonio che la nuova città si trova per le mani, quasi a compensare l’estinzione di terre coltivate nella città «primitiva», quella pre-aggregazioni, dove la memoria agricola si conserva ormai solo nella toponomastica: piazza Molino Nuovo, via ai Ronchi, via alla Campagna, via delle Aie... Nonché in alcuni significativi reperti di archeologia contadina, fortunosamente scampati alla furia edilizia dell’ultimo mezzo secolo: il Macello, dove fino agli anni Settanta dello scorso secolo confluivano le bestie che scendevano a valle lungo il Cassarate e la masseria di Cornaredo, che ancora conserva pressoché intatta la tipologia architettonica della cascina lombarda, oggi stretta stretta all’incrocio di due arterie supertrafficate, tra il vecchio stadio di Cornaredo e il nuovo Centro di calcolo.
Una «politica agricola urbana» suona strana, quasi una contraddizione: eppure, per una Lugano che si ritrova il dono geografico-climatico di una straordinaria estensione dal lago alla montagna, la conservazione della sua memoria agricola, combinata con la valorizzazione dell’ingente patrimonio verde ereditato dalle aggregazioni, potrebbe rivelarsi un allettante investimento, tanto per il benessere dei cittadini che per l’attrattiva dei nuovi turisti. Ma chi si occupa di agricoltura in città, nella grande città di Lugano? Fra tutti, il municipale più coinvolto per affinità di dicastero non può essere che Michele Bertini, cui è affidato il cosiddetto verde pubblico.
«La Lugano piazza finanziaria possiede effettivamente altri “tesori” – commenta Bertini sollecitato sull’eccentrico tema della politica agricola cittadina – nella variegata composizione del territorio della Lugano aggregata troviamo prestigiosi marchi vinicoli e nuove realtà orientate alla coltivazione biologica e alla promozione dei prodotti a chilometro zero. Alla Città compete di creare le condizioni quadro affinché queste attività possano convivere, prosperare economicamente, contribuire alla qualità di vita del cittadino, alla conservazione del paesaggio e dell’ambiente, allo sviluppo il più possibile armonioso e sostenibile. Dobbiamo far convivere sul nostro territorio il terziario avanzato, il polo medico-sanitario e biotecnologico… e pure gli orti dei cittadini, per cui si stanno identificando e censendo altri spazi. Indubbiamente all’amministrazione si pongono nuove sfide! Vogliamo promuovere i prodotti del primario? Cominciamo a salvaguardare la tradizione del mercato e i piccoli negozi di quartiere».
Intanto vanno moltiplicandosi le cosiddette iniziative micro-agricole dal basso e in città la terra si muove: l’auspicata rete degli orti urbani, le attività didattiche delle scuole comunali, persino le zucche coltivate al Liceo di Viale Cattaneo. E poi, ormai da quasi un anno, nel prato accanto alla masseria di Cornaredo, cresce un giovane frutteto curato dai giardinieri della Città: meli, peri, peschi, noccioli, pruni, ciliegi, cornioli, in gran parte di antiche varietà autoctone. Che il neonato piccolo frutteto urbano (che pare il pronipote di quello ritratto nella foto di inizio 900) sia il preludio di una rivitalizzazione agricola dell’attigua masseria, inserita nel futuro quartiere urbano di Cornaredo?
«La masseria – spiega Bertini – è disabitata dal 1989 e la Città ha effettuato interventi puntuali per arginare la situazione di abbandono e il conseguente degrado. Un intervento doveroso, perché la masseria è protetta quale bene culturale locale e nella sua area è presente un torchio di interesse cantonale. Il recupero e la valorizzazione della masseria è un auspicio largamente condiviso, avallato dal Consiglio comunale nel 2015. In merito, ci sono disparate proposte ma ad oggi non è stato scelto un indirizzo concreto. Lo sviluppo urbanistico previsto per il quartiere di Cornaredo non la metterà comunque in pericolo! Anzi, si potrà prevedere un inserimento valorizzante nel nuovo assetto urbano di questa testimonianza di un passato rurale, un tempo posizionato ben oltre i margini della città. Personalmente, potrei immaginare un recupero simile a quello avvenuto per il Canvetto Luganese, un accostamento fra passato e presente con contenuti occupazionali e di socializzazione».