L’Africa è in subbuglio. Nessun timore, va tutto bene

Sport - Fra quattro anni per la prima volta nella storia, l’Africa ospiterà i Mondiali di ciclismo, che si terranno nel Ruanda
/ 04.10.2021
di Giancarlo Dionisio

Dici Ruanda e subito il pensiero corre alle feroci lotte etniche del 1994, fra la maggioranza Hutu e l’elite economico-sociale di stirpe Tutsi. Fu un bagno di sangue che provocò quasi un milione di morti e che fu documentato anche dai media occidentali. Da allora poche notizie sono giunte da quel paese del centrosud. Che nella capitale Kigali i bus siano dotati di wi-fi gratuito e che il Ruanda, la cui popolazione ha un’età media molto bassa, sia all’inseguimento di un modernismo efficiente, poco si sa. Che dal Ruanda partano delle sponsorizzazioni per l’Arsenal e per il PSG, e che in questa operazione sia coinvolto nientemeno che il presidente Paul Kagame, grande supporter dei Gunners, forse lo sanno solo gli addetti ai lavori. 

Ed è forse proprio in virtù di questa mancanza di informazioni, che alcuni hanno storto il naso quando l’Unione Ciclistica Internazionale (UCI) – durante il recente Congresso che si è tenuto ai margini dei Mondiali nelle Fiandre – ha annunciato che la rassegna iridata del 2025 avrà luogo proprio in Ruanda. È una prima per l’Africa. Non ci si deve né stupire, né scandalizzare. 

La Coppa del Mondo di calcio del 2010 insegna. Ci sanno fare. Del resto, era inevitabile che presto o tardi una notizia simile giungesse. È la naturale conseguenza di un processo di mondializzazione del ciclismo avviato negli anni Novanta dall’allora presidente dell’UCI, Hein Verbruggen. Fu in quegli anni che cominciarono a frequentare le grandi corse gli ex dilettanti dell’ex blocco sovietico. Poi giunsero gli Americani, i Canadesi, e gli Australiani. 

Asiatici e Africani sono stati più cauti. I primi sono stati comunque gratificati dall’attribuzione di un mondiale che si è rivelato tanto insulso, quanto fallimentare, quello del 2016 a Doha, nel Qatar. Chilometri e chilometri di dune e di sabbia. Senza pubblico, e non c’era il Covid. Qualche cammello qua e là. Un po’ di gente, non molta, nella zona del traguardo. Del resto, quando il sistema fiscale ti concede di non pagare le tasse sul reddito, ti senti in dovere di partecipare al gioco voluto dal ricchissimo Emiro. 

Ben diversa la situazione in Africa. Dal 1988 il Giro del Ruanda catalizza le attenzioni e le passioni di molta gente. Nelle ultime edizioni ha cominciato ad essere frequentato anche da alcune squadre di prima fascia. Dal 2005 la fondazione Qhubeka raccoglie fondi per mettere a disposizione dei bambini africani biciclette per andare a scuola, per lo svago, e per lo sport. Dal 2008 la stessa fondazione è diventata partner di una squadra che sta scalando le vette del ciclismo mondiale. Nel 2013 ha ottenuto lo statuto di Team Professional. Tre anni più tardi è stata ammessa nel World Tour, ovvero la seria A, le cui squadre possono e devono partecipare a tutte le corse più prestigiose del calendario. 

Nel 2004 il tunisino Rafaâ Chtioui giunse terzo fra gli juniores ai Mondiali di Verona. Fu il primo africano a salire su un podio iridato. Si pensava potesse dare slancio a tutto il movimento continentale. Probabilmente i tempi non erano ancora maturi. Ci sono per contro situazioni che hanno dell’incredibile. Ti fanno pensare che il destino abbia la forza e il potere di disegnare il futuro a prescindere da tutto e da tutti. 

Il 23 settembre, il Presidente dell’UCI, il francese David Lappartient, annuncia l’assegnazione dei Mondiali 2025 a Kigali. In verità è stato bruciato sul tempo dal presidente ruandese Kagame, che non vedeva l’ora. Il giorno seguente, l’eritreo Biniyam Ghirmay giunge secondo nella prova degli Under 23, vinta dall’italiano Filippo Baroncini. Che sia questo l’episodio della svolta? Per il massimo dirigente mondiale si è trattato soprattutto di rispettare una promessa fatta nel 2017, il giorno della sua nomina. Per il mondo del ciclismo si tratta invece di metabolizzare attentamente la notizia. I Mondiali in Ruanda saranno l’ora zero. 

Fra quattro anni ne vedremo delle belle. Da un lato perché l’Africa – ne sono convinto – saprà offrire al mondo un Super Mondiale, in virtù delle sue accresciute competenze tecnologiche, ma anche grazie a un paesaggio da urlo che, nella regione dei laghi, presenta anche salite e strappi. D’altro canto, ne vedremo delle migliori negli anni a seguire. 

Da 20-30 anni gli Africani si sono impossessati della scena atletica mondiale, dal mezzofondo alla maratona. Sono finiti i tempi degli scandinavi e degli italiani. Un eventuale clone di Lasse Viren, Albertino Cova, o Gelindo Bordin, nove volte su dieci dovrebbe inchinarsi al cospetto del keniano, dell’etiope o dell’eritreo di turno. Questi ultimi sono atleti chiamati a fare in corsa ciò che fanno quotidianamente con innata naturalezza: correre. Magari anche scalzi. Per crescere, per diventare dei campioni, sono bastati dei buoni allenatori europei, un paio di scarpette e dei pantaloncini. Il ritardo del ciclismo africano è dovuto soprattutto alla scarsità di mezzi, in un contesto ben più complesso e costoso. Ma come detto, sullo slancio dei Mondiali del 2025, presto i conti andranno fatti anche con loro.