La vitamina D in gravidanza

Ricerca - Uno studio svizzero rivela che tre quarti delle donne in attesa ha una carenza medio-grave della vitamina: è necessario rivedere le linee-guida attuali
/ 30.05.2022
di Sergio Sciancalepore

Il problema della carenza di vitamina D nella popolazione generale è al centro dell’attenzione dei medici e dei responsabili della salute pubblica. È ormai ben noto che anche nei Paesi sviluppati, una quota consistente di persone ha carenze moderate o anche gravi, riguardanti non solo l’età media e la vecchiaia ma anche parecchi soggetti giovani: il problema si accentua nei periodi meno soleggiati dell’anno, tra ottobre e marzo. La maggior parte della vitamina D (circa l’80 per cento) è prodotta nella pelle – precisamente nella parte più superficiale, l’epidermide – dove i raggi ultravioletti di tipo B (UVB) convertono il colesterolo in vitamina D che, dopo diverse trasformazioni, diventa la forma attiva della vitamina, il calcitriolo: la restante, e minoritaria, quota è introdotta con gli alimenti, in gran parte con quelli di origine animale.

In Svizzera si stima che almeno metà della popolazione abbia una carenza di vitamina D, tanto che recentemente l’Ufficio della sicurezza alimentare (Osav) ha innalzato la dose raccomandata di supplementazione da 600 Unità Internazionali (UI) a 800 UI al giorno per le persone d’età superiore a 65 anni, su indicazione del medico.

La vitamina D è ben nota come la «vitamina delle ossa». Il suo ruolo è fondamentale nell’assorbimento del calcio e del fosforo a livello intestinale: una buona parte della vitamina è depositata soprattutto nel tessuto adiposo (in misura minore nei muscoli) e viene rilasciata secondo le necessità dell’organismo. La vitamina D, secondo recenti studi, non è solo fondamentale per la buona salute di ossa e muscoli, ma ha un ruolo molto importante in altri sistemi dell’organismo: è in grado, per esempio, di regolare il funzionamento dei linfociti del sistema immunitario e, nei muscoli, favorisce la contrazione del tessuto muscolare.

Come ricordato prima, la maggior parte della vitamina è prodotta durante l’esposizione ai raggi UVB del sole. Quanto occorre esporsi per averne una quantità sufficiente? I prodotti di protezione (filtri solari) bloccano i raggi UV, quindi annullano quasi totalmente la produzione cutanea della vitamina: quindi occorre esporsi senza mettere sulla pelle i filtri di protezione, con le dovute cautele.

Una ricerca (2019) del Fondo nazionale svizzero per la scienza ha calcolato quanto occorre esporsi per produrre 1000 UI di vitamina, secondo la regola del «poco e spesso». Per fototipi medi di pelle (II-III) sono sufficienti 15-20 minuti al giorno, avendo scoperti viso, braccia e gambe, con un moderato arrossamento cutaneo senza rischiare l’eritema: naturalmente, se si vuole continuare l’esposizione è indispensabile un’efficace protezione con i filtri. In autunno e inverno, la stessa quantità di vitamina è prodotta con una esposizione di 5-6 ore e con un decimo del totale di pelle scoperta. Gli anziani, in media, producono circa il trenta per cento in meno di vitamina rispetto a un soggetto più giovane, a parità di esposizione.

Un aspetto finora poco noto è quello della carenza di vitamina D nelle donne in gravidanza. Diverse ricerche hanno constatato che questa condizione non solo può aumentare i rischi per la donna e il feto durante la gestazione, ma ha anche possibili conseguenze negli anni successivi: per esempio, è stato notato un aumento del rischio di osteoporosi nella mamma e conseguenze di vario tipo sullo sviluppo del bambino.

Una recente ricerca svolta presso il Dipartimento di ostetricia e ginecologia dell’Università di Berna – pubblicata sulla rivista «Swiss Medical Weekly» – conferma i dati di precedenti studi. I medici hanno controllato 1382 gestanti seguite nel Dipartimento, rilevando l’eventuale stato di carenza e le conseguenze durante la gravidanza e il parto, sia per la donna sia per il feto/neonato. È stato misurato il livello di vitamina D nel corso del primo e secondo trimestre di gestazione: la carenza medio-grave riguarda i tre quarti del campione di donne e solo il 27 per cento ha valori ematici normali, cioè 50 nmol/l (nanomoli/litro) o più. Il primo dato che emerge dallo studio è che la percentuale delle donne svizzere in gravidanza ha una carenza di vitamina D superiore a quello della popolazione generale.

I ricercatori si sono concentrati sull’osservazione della relazione tra la carenza vitaminica, il corso della gestazione e le eventuali conseguenze per il feto e il neonato. Una relazione significativa è stata rilevata tra carenza di vitamina e il cosiddetto diabete gestazionale, una condizione di mancata regolazione del metabolismo del glucosio con effetti negativi sulla regolarità della gravidanza, del parto e possibili – ma finora poco note – conseguenze a lungo termine sul neonato.

Attualmente, le linee-guida raccomandano una supplementazione di 600 UI giornaliere di vitamina D per tutte le donne incinte e quelle che allattano, di 1500-2000 UI in caso di grave carenza: tuttavia, il dosaggio della vitamina nel sangue non è ancora di routine. Lo studio pone un’altra questione: è sufficiente la somministrazione di routine di 600 UI? La risposta è negativa. Se per aumentare di 10 nmol/l occorrono 400 UI, somministrandone (poniamo) 800 si calcola che oltre un terzo delle donne non avrebbero la quantità minima di vitamina D sufficiente. Da notare, a tale proposito, che recenti ricerche hanno dimostrato che la somministrazione giornaliera fino a 4000 UI non crea problemi di accumulo della vitamina con eventuali effetti tossici.

Lo studio dei medici dell’Inselspital sottolinea altri tre punti importanti. Il primo, che è necessario moltiplicare gli studi e le sperimentazioni cliniche che coinvolgano molte donne, come quella pubblicata. Secondo, sono da rivedere le attuali linee-guida in materia che si rivelano non essere più adeguate: oltre all’opportunità di una somministrazione della vitamina con un dosaggio superiore (ma sicuro) rispetto a quello attuale, dovrebbe diventare di routine il controllo della quantità di vitamina D nel sangue per individuare precocemente le donne a rischio. Da ultimo, si propone che la somministrazione della vitamina inizi prima della gravidanza, come già avviene con la somministrazione dell’acido folico per la prevenzione della malformazione nota come spina bifida, nel feto.