«Canta che ti passa», ma quel che non passava mai era la pandemia. Come sono dunque sopravvissute le società di canto della Svizzera italiana ai periodi di restrizione disposti dal Consiglio federale? Il virus non ha spazzato via i cori, come il vento le foglie, tuttavia se prima i sodalizi erano 60 ora sono scesi a 54 e i coristi da 1700 sono calati a 1500, con una riduzione media vicina al 15%. A tracciare il bilancio e a proporci un’ampia panoramica del movimento corale è Clara Tadini, neopresidente della Federazione ticinese società di canto, 34 anni, che dirige tre cori e canta dall’età di 17 anni.
«L’anno scorso, tra la primavera e l’estate – dichiara – abbiamo svolto un sondaggio telefonico, contattando tutti i cori affiliati per fare il punto sulle conseguenze della pandemia. Abbiamo esplorato diversi temi, tra cui l’andamento dell’attività corale. E ci sono state risposte molto diverse fra loro perché l’ambiente è molto variegato e ci sono livelli diversi. Alcuni cori si sono arrangiati secondo le proprie disponibilità economiche, ma soprattutto gli aspetti delle competenze tecnologiche di ogni corista hanno fatto la differenza, dal momento in cui le prove di canto si sono trasferite online. Gli stop causati dalla pandemia sono iniziati nel marzo 2020, quando c’è stato il lockdown, sono poi proseguiti con le restrizioni della primavera 2021 e lo scorso autunno con nuove chiusure. Le conseguenze sono state soprattutto finanziarie: i cori hanno perso i concerti, i soldi delle sale prove e molti non sono più riusciti a pagare il maestro. Sul sito della Confederazione era addirittura scritto a chiare lettere: vietato cantare. Questa per noi è stata una botta per l’autostima, anche perché tante attività, penso a quelle sportive, erano consentite mentre la nostra veniva preclusa».
Come hanno reagito le società? «I cori, ognuno in base al proprio livello, erano organizzati essenzialmente in tre modi: ci sono quelli che hanno smesso completamente di fare prove con uno stop di quasi un anno; c’è chi si è trovato a piccoli gruppi in presenza, con la mascherina, le distanze o all’aperto; altri si sono organizzati per fare coro online. Alcune società hanno invece sperimentato situazioni ibride». Avete dunque dovuto cantare per lunghi periodi con la mascherina? «Sì, non è stato agevole. Per molti cori è stata una prova difficile e infatti tanti hanno deciso di cessare le prove, dal momento che non si poteva cantare liberamente. Questo ha comportato anche conseguenze per i maestri che, in assenza di attività, non hanno potuto essere pagati e, salvo rimborsi per documentati concerti annullati a causa della pandemia, non hanno potuto beneficiare delle indennità di lavoro ridotto. Per molti, sia anziani sia giovani, il periodo del Covid ha coinciso con l’abbandono dell’attività. Ma molti cori hanno invece reagito con tenacia e si sono battuti a tutti i costi per continuare l’attività canora, arrangiandosi come hanno potuto, mantenendo allenata la voce. Il consuntivo non è insomma drammatico. Credo che occorra attendere ancora un annetto per osservare le reali conseguenze della pandemia. Ora infatti, dallo scorso gennaio-febbraio, siamo finalmente tornati alla normalità».
Negli statuti si evidenzia quanto lo scopo della vostra attività sia di «coltivare, sviluppare e divulgare il canto corale, stabilire e rafforzare i vincoli di amicizia e di fratellanza fra le società affiliate». Quali benefici si ottengono cantando in un coro? «Appartenere a un coro è come essere in una piccola tribù. Il canto corale è una sorta di rituale. Ripetendosi, convoglia e rafforza i legami. È provato anche a livello scientifico che cantare insieme rappresenta un beneficio, dagli aspetti puramente fisici, come la salute polmonare, alla circolazione, alla tenuta del cuore, ad altri aspetti non meno trascurabili, come il miglioramento dell’umore, come il rilascio degli ormoni della felicità e del piacere che rappresentano la base del nostro benessere. C’è inoltre la socialità: svolgere un’attività insieme è benefico se è fatto con il cuore e con la passione».
Tra i vostri cori, molti possiedono tradizioni antiche, che sfiorano il secolo… «Proprio l’anno prossimo il Gruppo canzoni e costumi ticinesi di Bellinzona compirà 100 anni e nel 2024 anche la Federazione ticinese delle società di canto raggiungerà lo stesso traguardo. Ci sono inoltre società che a breve festeggeranno importanti anniversari e altre che hanno già superato il mezzo secolo. Anche i cori giovanili hanno ormai venti o trent’anni. Negli ultimi tempi si sono pure formati alcuni nuovi cori, attraverso rimescolamenti di coristi: alcune società, sciogliendosi, sono rinate con altri componenti, mentre altri cori hanno visto l’arrivo di direttori giovani che stanno rilanciando l’attività. Oggi la tendenza dei cori guarda alla modernizzazione e si stanno conoscendo influenze di altre realtà, come l’Italia, che possiede un’attività corale molto più ampia della nostra. Come Federazione collaboriamo con società della provincia di Varese e del Piemonte, dove i repertori sono davvero molto variati».
Si può entrare a far parte di un coro a qualsiasi età o ci sono limiti? «Normalmente si entra in un coro – escludiamo i cori giovanili, per cui si parla di predisposizione o della volontà dei genitori ed escludiamo la fascia 18-40 anni che coincide spesso con gli studi e col mettere su famiglia – il maggior numero di coristi è perlopiù rappresentato dagli over 40. Resta il fatto che i cori ticinesi, popolari, amatoriali sono per tutti. Si può cantare a qualsiasi età, con qualsiasi conoscenza o non conoscenza di base della musica. Se c’è un mito da sfatare è quello secondo cui l’intonazione è innata. Non è assolutamente vero, perché la voce si può imparare a educare. Qualcuno potrà avere l’orecchio più fino o meno, ma l’intonazione è qualcosa che si forma. A meno naturalmente di avere problemi fisici alle corde vocali, tensioni o paralisi, altrimenti il canto è per tutti, non conosce frontiere di nessun genere. Abbiamo anche coristi italiani affiliati alle nostre società e un paio di anni fa abbiamo avuto ottime esperienze con coristi rifugiati».
Uno degli eventi corali più importanti a livello nazionale è il Festival svizzero di canto a Gossau (www.sgf22.ch), promosso dall’Unione svizzera dei cori: «Quest’anno – spiega Clara Tadini – si svolge dal 20 al 29 maggio e, oltretutto, in tandem con il Festival dei cori giovanili. È un appuntamento al quale tutti i cori possono partecipare – per questa edizione anche alcune delle nostre società si sono iscritte. Naturalmente rappresenta un investimento non indifferente, fra spese di viaggio e soggiorno. La manifestazione contempla esibizioni e concerti che vedono la presenza sia di cori dall’estero sia svizzeri. È un’occasione di scambio culturale interessante, in cui si possono ascoltare repertori diversi. Non si tratta di una competizione, bensì di un evento in cui si possono ricevere feedback del proprio canto da professionisti del settore, consigli utili e una sorta di pagella. Rappresenta invece una vera e propria competizione il Festival di Aarau, che vede gareggiare i diversi cori partecipanti. Un appuntamento e una sfida che si rinnovano ogni quattro anni».