È una comunicazione stereotipata, banale, ma molto efficace, quella che sta alla base dei manifesti contrari al suffragio femminile in Svizzera risalenti al secolo scorso. Cartelloni che, insieme a quelli degli schieramenti favorevoli al voto alle donne, compongono la mostra La madre fa politica, un viaggio per immagini nel suffragio femminile in Svizzera, presso la Biblioteca cantonale di Bellinzona sino al prossimo 11 febbraio. Si tratta di 17 poster rielaborati a partire dalle immagini originali apparse sui muri delle città e sui giornali in un epoca non poi così lontana: il voto alle donne è stato concesso in Svizzera solo 45 anni fa. Una battaglia durata un secolo, fatta di continue rivendicazioni respinte, campagne locali, votazioni popolari, sino al 7 febbraio del 1971, quando le cittadine svizzere ottengono il diritto di voto ed eleggibilità a livello federale, vedendo finalmente riconosciuti i propri diritti.
L’esposizione nasce su iniziativa di Amnesty International (in collaborazione con il CSIA, la Fondazione Diritti Umani e l’Associazione Archivi Riuniti delle Donne Ticino), ispirata dal documentario Dalla cucina al Parlamento di Stéphane Goël, presentato in occasione della Giornata internazionale dei diritti umani, nel corso del quale si intravedono i manifesti. «Da qui l’idea di allestire una mostra – possibilmente itinerante – che raccontasse per immagini questa lotta, recuperando parte dei poster. È importante ricordare che quello che oggi è scontato per le nostre madri non lo era», ci racconta Sarah Rusconi, portavoce di Amnesty.
Si tratta di manifesti dalle tinte forti, che ricordano vagamente il cinema espressionista tedesco, voluti dalla popolazione stessa per dissuadere i compatrioti dal compiere «l’errato passo» del suffragio universale, passo che all’epoca il resto dell’Europa aveva però già compiuto da un po’. Violenza verbale, cliché maschilisti e allarmismo, si scontrano in questa lotta per immagini alla dolce eleganza dai toni più pacati della campagna favorevole al diritto di voto, con meno presa sulla popolazione, ma alla fine vincente.
Non mancano, tra le immagini, le vignette satiriche apparse sullo storico giornale umoristico zurighese «Nebelspalter», specchio irriverente della società dell’epoca.
L’allestimento della mostra è stato curato dagli allievi del corso propedeutico CSIA, coordinati dal docente Guido De Sigis. Un’esperienza didattica e professionale, un lavoro di gruppo che, a detta degli studenti, oltre a unirli ha permesso a ognuno di far valere le proprie qualità. Futuri architetti, artisti, grafici, hanno così avuto l’occasione di rispolverare il passato attraverso la rielaborazione di un messaggio, usando materiali poveri (legno, corda e viti) volti a ricreare simbolicamente un oggetto stereotipo per eccellenza della donna: lo stendino del bucato.
Claire Wymer e Silvia Giavatto, studentesse, ci raccontano: «Abbiamo innanzitutto cercato di capire come accostare i manifesti, per trovare qualcosa che accomunasse i pro e i contro, ponendoli uno di fronte all’altro, alternando l’impatto emotivo che dava un SÌ di una donna e un bambino che si abbracciavano e un NO violento. Poi li abbiamo studiati. È seguito il lavoro di riproduzione con il docente di fotografia, e poi il lavoro di squadra, la cosa più bella! C’erano gli addetti al legno, al taglio e cucito, nella fase finale di allestimento. Siamo arrivati a questo bel risultato grazie alle nostre diversità, alle passioni singolari e ai modi di pensare di ognuno. Noi per esempio, ci siamo immaginate lo stendino, altri hanno riflettuto a come esporlo, altri, i grafici, si sono occupati delle didascalie – sotto forma di etichette postali, a ricordare quel facile etichettare la donna. Sapevamo che il diritto di voto alle donne in Svizzera fosse arrivato tardi, ma paragonare le date degli altri paesi è stato uno choc. La traduzione dei manifesti del tempo ci ha dato poi la possibilità di vedere quanto erano cruenti: “Proteggete la donna dal diritto di voto!”. Qualcuno li aveva ideati, quei testi, ed era uno svizzero, pochissimo tempo fa!».
«Sono manifesti riusciti, dal colpo d’occhio immediato» ci racconta un altro studente. E così anche l’esposizione di questo pezzo di storia, che i ragazzi di oggi, usando le stesse armi comunicative di un tempo, hanno saputo valorizzare rimettendo al posto giusto stereotipi e ironia.