La strada è di tutti

Il Cantone presenta la nuova «Concezione dello spazio stradale all’interno delle località» con particolare attenzione alla moderazione del traffico. Ne abbiamo parlato con l’architetto Federica Corso Talento
/ 23.10.2017
di Fabio Dozio

A cosa serve una strada? La domanda può sembrare banale o retorica, ma a dipendenza di come si risponde si possono aprire scenari molto diversi e anche conflittuali.

Se diciamo che la strada è di tutti mettiamo in conto: gli autocarri, dai TIR ai furgoni, i bus, gli autopostali, a volte qualche treno che ancora attraversa le carreggiate, le automobili private, moto, scooter, biciclette, e anche qualche skateboard, triciclo o monopattino. Infine il pedone, ma forse lui dovrebbe essere messo in cima alla lista, almeno per accordargli quel diritto che spetta, o dovrebbe spettare, ai più deboli.

Per cercare di coordinare le esigenze dei vari attori che transitano sulle strade e in particolare nell’ambito urbano il Dipartimento del territorio ha pubblicato recentemente le «Linee Guida cantonali, Concezione dello spazio stradale all’interno delle località». Un centinaio di pagine indirizzate soprattutto gli addetti ai lavori e in particolare ai rappresentanti politici comunali, che sono chiamati a decidere e a pianificare in materia.

«Le strade all’interno delle località sono luoghi di vita. Sono aumentate le esigenze e la sensibilità della popolazione in merito alla tutela del paesaggio e alla qualità della vita nelle città, nei borghi e nei villaggi»: parole di Claudio Zali, direttore del Dipartimento del territorio. L’attenzione nei confronti della popolazione è di buon auspicio e d’altra parte l’interesse del pedone ha un rilievo costituzionale, in Svizzera, in quanto all’art. 88 della Carta si legge: «La Confederazione emana principi sulle reti di sentieri e percorsi pedonali». Una volta, in passato, le strade e le piazze dei villaggi e dei paesi erano frequentate da tutta la popolazione, da ogni mezzo di trasporto, da bambini che giocavano, da vecchi che arrancavano, da artigiani che lavoravano, da mezzi di trasporto, cavalli e muli con carri e carrozze. Oggi è tutto più complicato.

Per cercare di fare il punto sullo stato dello spazio urbano, l’architetto Federica Corso Talento, capo ufficio della pianificazione e tecnica del traffico del DT, è intervenuta a una serata organizzata dall’Istituto di architettura i2a di Lugano, nell’ambito dei dialoghi sulla mutazione del territorio. Il Cantone intende intervenire per migliorare la qualità della città e degli spazi urbani, che devono essere fatti per chi li abita, e devono tornare a essere le città dei cittadini: vive, con negozi, servizi, spazi pubblici. «Le linee guida, – afferma Corso Talento – sono una piccola rivoluzione copernicana in Ticino. Per la prima volta, si parla di spazi urbani e non di spazi stradali».

Da questo punto di vista, come possiamo valutare la situazione da noi? «Non è semplice giudicare lo spazio stradale oggi, – ci dice Federica Corso Talento – volessimo guardare il bicchiere mezzo vuoto, come a tanti piace fare, potremmo puntare il dito su alcuni interventi che appaiono poco coerenti (strisce pedonali intermittenti, dossi, zone 30 km/h a macchia di leopardo), tipologie di moderazione del traffico che disorientano l’utente, più che orientarlo alla condivisione dello spazio urbano. È una progettazione stradale ormai datata, che ha contraddistinto un’epoca di transizione caratterizzata, come tutte le epoche di transizione, da un ventaglio di esperimenti e tentativi, passi in avanti e anche all’indietro: un imparaticcio. L’errore sarebbe stato non chiedersi per tempo se tutte le scelte fatte fossero giuste; non tenere in conto il cambiamento delle condizioni quadro; dimenticare che la popolazione invecchia, ad esempio; che si muove di più e troppo spesso in modo poco sostenibile; che ha esigenze differenti rispetto al passato».

Negli anni Settanta si è pensato che separare le varie funzioni stradali fosse positivo, quindi sono nate ciclopiste, spazi pedonali, corsie preferenziali. Ognuno con il suo spazio circoscritto. Negli ultimi anni si è pensato al futuro con un recupero dei valori del passato. «E poi c’è il bicchiere mezzo pieno, – continua l’architetto – addirittura anche qualcosa in più: c’è un Ticino bellissimo, che è quello del passato, che elegantemente e senza sbraitare ci ricorda quali sono i materiali da costruzione locali, quali gli elementi tipologici del nostro spazio pubblico (carraie, cippi stradali, muretti a secco, fontane) e come possono essere ripresi oggi dalle mani sapienti di chi non si arrende all’equazione: funzionale uguale a brutto per forza. È il caso della piazza Tarchini a Balerna, inaugurata pochi settimane fa, o di alcuni nuclei (Cugnasco-Gerra, Croglio, Giubiasco, Malvaglia) sapientemente ristrutturati e integrati nel paesaggio circostante».

La nuova visione del traffico fa riferimento al concetto di shared space, concetto nato in Olanda, ma ormai diffuso in Europa. Invece di separare utenti e funzioni si cerca di far convivere tutti assieme, condividendo lo spazio. La misura più importante è la limitazione della velocità, lo spazio 30, o anche 20 km orari, e l’abolizione quasi totale della segnaletica. In Svizzera sono numerosi gli esempi, da Köniz, nel canton Berna, a Bienne. La piazza di Bienne è stata trasformata in un luogo d’incontro fin dal 2002. La maggior parte del traffico, da 10 a 12mila veicoli al giorno, l’attraversa a meno di 30 km all’ora. Nei giorni feriali passano da 25 a 30mila persone. Tutti condividono lo stesso spazio accordando però la priorità ai pedoni. È evidente che questo tipo di moderazione del traffico richiede una maturità da parte di tutti gli attori, ed è anche una questione di cultura.

In Ticino ci si sta muovendo in questo senso. Come sono nate le «Linee guida»? «La vita di un paese dipende, oggi come in passato, dalla strada che l’attraversa, dal fatto che vi porti ricchezza, attività, scambi, bellezza. Interi paesi sono sorti, o viceversa sono stati abbandonati, per il semplice fatto che una strada vi portava gente o, improvvisamente, deviava il suo corso e non ve la portava più. – spiega Corso Talento – La strada dunque è un motore fondamentale per la vita e l’economia di un paese. Pensare di privarla del ruolo per cui è nata, quello di collegamento, sarebbe un errore: ma è necessario, oggi, provare a ripensarla, per consentire anche quella molteplicità di funzioni che da sempre l’ha caratterizzata».

Nella gestione del territorio si devono fare i conti con diverse autorità. La Confederazione, da anni, sensibilizza sulle misure e le procedure per moderare il traffico nelle località. L’USTRA (Ufficio federale delle strade) nel 2003 ha pubblicato una guida dedicata alla moderazione in cui si sottolinea che: «Lo spazio stradale, in particolare all’interno dei quartieri, è parte integrante della vita quotidiana e delle condizioni abitative e non deve essere riservato soltanto al traffico motorizzato».

Quale sarà il ruolo del Cantone e quale quello dei Comuni per migliorare la qualità delle nostre città? «Le Linee Guida sono pensate per le strade cantonali, – ci dice Federica Corso Talento – ma fungono da valido riferimento anche per i Comuni. E chi le applica, il Gruppo per la moderazione e la riqualificazione stradale (GRMS) del Dipartimento del territorio, è un gruppo interdisciplinare che può accompagnare i Comuni nei passi verso un progetto non solo di moderazione, ma di riqualificazione urbana e paesaggistica. Significa pianificare bene il territorio di oggi, prima di progettarlo. Volare un po’ più in alto e chiedersi: sto guardando il dito, o la luna? Imparare a collaborare: Cantone, Comuni e Operatori, dove per operatori non si intendono solo gli ingegneri del traffico: significa creare un’équipe in grado di dare risposte di qualità a domande complesse. Significa, ad esempio, applicare il modello UPI 50/30 come abbiamo iniziato a fare nei Programmi di agglomerato di terza generazione, dove mobilità, insediamenti e paesaggio vengono finalmente coordinati fra loro, imparano a parlarsi. Significa, come direbbe Renzo Piano, imparare a “rammendare” il nostro tessuto urbano, a partire dalle periferie e dalle zone industriali e artigianali e non semplicisticamente “ricucire”, come in un patchwork fuori dal tempo».

La città giusta, sostiene la portavoce del Dipartimento del territorio, è quella in cui si lavora, si dorme, si studia, ci si diverte, si fa la spesa, non quella in cui dobbiamo correre per chilometri intasando le strade. L’obiettivo è chiaro, limpido e condivisibile, ma c’è molta strada da fare per raggiungerlo.