Le ultime parole dell’ultima edizione suonano come un terribile presagio quell’ultimo giorno in Piazza della Riforma. «Sentesi attualmente il rimbombo del cannone, e si crede impegnato un affare serio, che deciderà della nostra sorte», sta scritto quel 29 aprile del 1799 sull’ultima pagina della «Gazzetta di Lugano». Il giorno prima gli austriaci sono entrati a Milano e hanno scacciato i francesi dalla Lombardia. L’egualitaria ma feroce liberté trascinata da Napoleone in giro per l’Europa sembra essersi dissolta per sempre in un’eco lontana. Anche a Lugano, dove i conservatori tirano un respiro di sollievo e ne approfittano per un regolamento di conti. La rivolta che scoppia è sanguinosa. C’è un vecchio acquerello di Rocco Torricelli, testimone oculare degli eventi, che descrive bene quelle ore concitate. La piazza di Lugano è uno sciame di persone intente a saccheggiare la stamperia, i libri vengono gettati dalle finestre, i macchinari sono distrutti a mazzate. È caccia ai giacobini che, riferisce un anonimo, sono «assassinati con crudeltà senza esempio a colpi di scure, e di fucile». Il proprietario Giovanni Battista Agnelli riesce a fuggire. Viene invece ucciso il braccio destro, l’abate Giuseppe Vanelli di Grancia, assalito mentre sta andando come ogni mattina a lavarsi nel lago.
Una fine movimentata quella della Tipografia Agnelli, degno epilogo per un’altrettanta avventurosa esistenza durata oltre mezzo secolo. Tra intrighi internazionali e giochi diplomatici, con le sue pubblicazioni distribuite spesso clandestinamente, in favore di riforme e rivoluzioni, contro i gesuiti, contro la pena di morte, la tortura e la schiavitù, la stamperia di Lugano aveva davvero fatto tremare mezza Europa.
Erano stati, nel 1746, tre fratelli milanesi a fondarla, un po’ per cercare nuovi sbocchi commerciali fuori dal sonnecchiante mercato editoriale italiano, un po’ per beneficiare della libertà di stampa svizzera e sfuggire alla doppia censura, dello Stato e della Chiesa, che vigeva a Milano. Ottenuto il permesso dei Cantoni sovrani che allora dominavano la Svizzera italiana, avevano aperto bottega in Piazza Grande (oggi Piazza della Riforma) occupando quel grande ed elegante palazzo che esiste tutt’ora all’imbocco di via Canova e che oggi porta una targa commemorativa: «Sull’area di questo edificio sorgeva la Tipografia Agnelli, faro di cultura europea».
Non c’è dubbio: tra i tanti libri pubblicati, soprattutto su commissione, il prodotto di punta erano le «Nuove di diverse corti e paesi d’Europa» (o «Gazzetta di Lugano» come venne chiamato negli ultimi due anni): un settimanale in lingua italiana, stampato di lunedì, distribuito in pratica in tutta l’Italia ma letto in tutta Europa.
Il 30 settembre del 1776 è tra i primi a pubblicare integralmente il testo della Dichiarazione di indipendenza americana, quando per la prima volta nella storia si parla del diritto alla ricerca della felicità. «Siccome tale atto non solo contiene tutta la serie degli avvenimenti, ma formerà l’epoca la più strepitosa di questa Confederazione, stimiamo di non defraudarne la curiosità dei nostri Leggitori». Sostiene le riforme illuministe di Maria Teresa d’Austria e di Pietro Leopoldo I, il «sovrano filosofo» del Granducato di Toscana. Segue con grande attenzione la Rivoluzione francese, pubblica la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino e racconta l’uccisione del re Luigi XVI, in modo molto preciso: «Luigi intanto leggeva le preci dell’agonia, e giunto alle 10 ore, e 10 minuti alla Piazza della Rivoluzione, levatosi l’abito, salì con piè franco sul palco. (...) Il Comandante diede il segnale all’Esecutore, e tosto la testa di Luigi cadde, alle 10 ore, e 20 minuti» (4 febbraio, 1793). Racconta anche agghiaccianti particolari del Terrore giacobino: «La guigliottina è troppo lenta; nell’archibuggiarli si consuma polvere e palle, e si è perciò preso l’espediente di caricarne delle barche, condurle in mezzo al fiume (...) ed ivi mandarle a fondo, operazione, che di continua con tutta speditezza» (13 gennaio 1794). Scrive anche di curiosità archeologiche, quando nel 1782 in una località della Provenza «si era aperta con ispaventevole fragore una gran roccia» che aveva restituito alla luce 35 «cadaveri ben conservati» con «una gran quantità di utensigli da cucina molto antichi». Ogni tanto si preoccupa pure per la salute del Papa: «Siamo stati in qualche timore per la salute del Santo Padre; poiché fino di sabato ebbe qualche incomodo di febbre, onde gli furono fatte due emissioni di sangue» (12 settembre 1791).
Ma la preoccupazione tutta pia per il pontefice non deve trarre in inganno. La Tipografia Agnelli non è mai stata compiacente con i potenti. Anzi. Nel 1768, a causa delle critiche contro i gesuiti, viene «proibita la Gazzetta di Lugano in tutto lo Stato del Papa sotto la pena di scudi cento» (un mese dopo – ecco la spregiudicatezza – il giornale «entra in Roma come prima» ma «sotto altro nome», scrive Alessandro Verri). Nel 1770 la gazzetta è bandita dagli Stati Sardi per la sua «soverchia libertà e franchezza». Qualche anno dopo un funzionario della Milano austriaca definisce l’abate Vanelli «insubordinato a tutte le leggi, ribaldo, di costumi perduti, libertino e sedizioso», mentre le autorità austriache tentano di fare pressione sui cantoni elvetici per ridurre la gazzetta al silenzio, inviano funzionari a Chiasso e Lugano e minacciano di interrompere la fornitura di grano alla Svizzera italiana.
È un cinquantennio spericolato quello della Tipografia Agnelli. Ci si potrebbe anche girare un film. Ci sono le spie, come quella della Santa Sede «che in Lugano sta con ogni attenzione per scoprire se dalle note stampe dell’Agnelli esca alcuno di quei tali libri». Ci sono le pressioni internazionali delle monarchie europee sulla Confederazione per tentare di chiudere la stamperia. Ci sono le tangenti, quei «regali» che Agnelli si preoccupa di far avere ai rappresentanti svizzeri per garantire la libertà di stampa. Degli Agnelli si interessano la Corte Pontificia, quelle di Vienna e del Portogallo, ministri di varie nazioni e nell’ultimo periodo lo stesso Napoleone Bonaparte. Un pezzo di storia preziosa, non solo per Lugano ma per tutta la Svizzera.
Un giorno anche Giacomo Casanova decise di affidarsi alla tipografia, convinto che a Lugano ci fosse «una buona stamperia e nessuna censura». Ebbe una brutta sorpresa. Agnelli gli sottopose un contratto in cui si riservava di censurare il testo, «sperando di trovarla sempre d’accordo con me», e non solo: a stampa conclusa fece finta che a Lugano non fosse successo niente e attribuì all’opera la falsa data di Amsterdam.
Lugano, piccola e polverosa cittadina dei baliaggi italiani. Eppure vivace testimone degli eventi internazionali. Fino a quell’aprile del 1799, quando tutto finisce. Qualche settimana dopo il saccheggio, il comandante austriaco della piazza di Lugano ordina alla popolazione di riconsegnare quanto rubato. Si presentano ben 350 persone. Alcuni ammettono di avere già venduto la refurtiva. Molti riconsegnano di tutto: oltre a libri, carta e caratteri... ci sono tende, posate, pentole, tavoli, sedie. Inclusa la cassa dell’orologio dello sfortunato abate Vanelli.