La solitudine che apre al mondo

Pubblicazioni – È stato da poco pubblicato il nuovo saggio dello psichiatra e accademico italiano Eugenio Borgna
/ 23.08.2021
di Natascha Fioretti

Di getto, così, nel pieno calore e fulgore estivo stona pensare ad un libro sulla solitudine quando il nostro spirito festaiolo in cerca di leggerezza e di svago è più incline a postare foto del mare caraibico su Instagram o video di esotiche cene in spiaggia su TikTok. Di certo anche in vacanza i momenti di silenzio mentale e fisico sono sempre più rari, l’idea di staccare dalla realtà è sempre più un mito mentre crescono le sollecitazioni tecnologiche e non ci danno tregua le comunicazioni istantanee che per loro stessa natura viaggiano in superficie. Penso alle parole di Nietzsche in Così parlò Zarathustra: «Amico mio, fuggi nella tua solitudine! Io ti vedo assordato dal fracasso dei grandi uomini e punzecchiato dai pungiglioni degli uomini piccoli. La foresta e il macigno sanno tacere dignitosamente con te. Sii di nuovo simile all’albero che tu ami, dalle ampie fronde: tacito e attento si leva sopra il mare. Là dove la solitudine finisce, comincia il mercato; e dove il mercato comincia, là comincia anche il fracasso dei grandi commedianti e il ronzio di mosche velenose». Sempre di più, viviamo nel mercato e nel fracasso dei commedianti, nel fracasso che noi stessi generiamo e alimentiamo. Se anche voi ne siete infastiditi, se siete alla ricerca di una via d’uscita o anche semplicemente di una bussola per orientarvi meglio, vi consiglio il saggio di Eugenio Borgna In dialogo con la solitudine (Einaudi). Letto nel soffio di un pomeriggio di afa africana tagliata, per fortuna, da una timida brezza marina, mi ha restituito lucidità e consapevolezza in un momento di grande smarrimento dato dalle notizie delle ultime settimane. Mi riferisco al Covid che tra varianti, risalite dei contagi e dibattiti sui vaccini non ci fa dormire sonni tranquilli. Ci confronta, anzi, puntualmente con le nostre fragilità. Agli incendi che nelle ultime settimane hanno colpito la Grecia e l’Italia, alle inondazioni che hanno messo in ginocchio la Germania o più semplicemente ai temporali funesti che hanno colpito la Svizzera e il Ticino. Alle immagini arrivate da Kabul. Un articolo del «Corriere della Sera» firmato da Carlo Verdelli nei giorni scorsi raccontava di corpi caduti nel vuoto dagli aerei americani come vent’anni fa dalle Torri Gemelle definendo quello dell’Afghanistan l’epilogo inguardabile di un mondo sfinito. In senso allargato, di questi tempi, mi pare che tutta la società e il mondo occidentale siano in qualche modo sfiniti. Senza eccedere nel pessimismo, vi starete chiedendo cosa c’entri tutto questo con la solitudine, condizione che siamo portati a pensare come temporanea, sinonimo di isolamento, connotata da tristezza o malinconia magari fine a sé stessa. Intanto, nel suo saggio, Eugenio Borgna ci insegna che la solitudine non è isolamento ma dialogo infinito. Ci racconta di una solitudine animata dall’interiorità, dalla trascendenza, dalla ricerca dell’infinito e un’altra che non è dialogo ma immersione negli aridi confini di un io che non diviene mai un noi. Se la prima ci apre al mondo, alle persone, alle cose l’altra ci isola nei confini della nostra soggettività, precludendoci la speranza di guardare al futuro. 

La solitudine è comunione con la vita o come la definiva Rilke in una delle lettere alla madre, è una festa interiore: «Sono anni ormai che celebro la mia festa dentro di me, e credo che anche se fossi rimasto a Monaco avrei trascorso questa sera da solo nella mia stanza, come solennità di raccoglimento, di meditazione, di ricordo. Io sono infatti incline sin dall’infanzia a essere un solitario, senza famiglia e senza feste familiari… sono invece destinato a lontani legami in tutto il mondo, a sentire non vicino, ma lontano, solo questo conferisce al mio sentimento tutto il suo potere, la sua profondità e la sua verità». Se abbiamo il coraggio di viverla fino in fondo, di ritrovarla in noi stessi e tirarla fuori dalla nostra anima, allora la solitudine ha una straordinaria funzione maieutica capace di farci dialogare con il passato, la memoria vissuta, la memoria del cuore, l’archivio dal quale sgorgano i ricordi come allodole. Non è una passeggiata, anzi questo dialogo è doloroso, ci stanca, ci affatica ma ci aiuta «a riconoscere frammenti ignoti della storia della nostra vita, che a loro volta si rispecchiano nelle nostre speranze: goethiane stelle cadenti che non vediamo se non siamo capaci di una solitudine che sia raccoglimento e dialogo, attesa e ricerca delle ragioni della nostra vita, e della nostra speranza, arcobaleno sul ruscello: così la chiamava Nietzsche». 

Non dimentichiamo che talvolta la solitudine è una scelta, talvolta ci è imposta dalle alterne vicende della vita, ad esempio quando perdiamo una persona cara. Sorge spontanea una domanda: nel mondo della modernità esasperata e della comunicazione digitale abbiamo la volontà e la costanza di tessere questo dialogo infinito? O corriamo il rischio di naufragare nell’isolamento, nel silenzio del cuore e della trascendenza perduta in cui si coltivano la noncuranza e l’apatia, il disinteresse e la noia, la gelida freddezza emozionale? Impossibile non riconoscere la tendenza all’individualismo e all’interesse personale che in parte caratterizzano la società di oggi ci dice lo psichiatra e accademico italiano che sottolinea come l’isolamento infecondo non abbia nulla a che fare con la solitudine che invece ci consente di intraprendere il cammino misterioso verso la nostra interiorità. Come dice il teologo Romano Guardini: «La vita rimane sana solo quando continuamente rinnova l’esperienza della solitudine», quell’esperienza che per Leopardi rappresenta il momento diastolico della vita e come il silenzio ci porta a riconoscere le cose essenziali ritrovando ciò che ci unisce nella lealtà e nella solidarietà. Il nostro compito, in una sorta di corsa a ostacoli fatta di continue distrazioni e rumori di sottofondo, è tenerla viva ogni giorno.