La sentinella delle praterie alpine

Reportage - L’incontro con la marmotta non è dei più facili, ma basta avere molta pazienza
/ 17.08.2020
di Sabrina Belloni

Un richiamo breve, gutturale, sopito, quasi sussurrato. Poi due fischi lunghi e acuti, polifonici, inequivocabili, udibili dalla selvaggina a centinaia di metri di distanza: il potenziale pericolo si sta avvicinando. Allerte, segnali in codice del mondo selvatico al quale noi non apparteniamo; se prestiamo attenzione, il nostro udito li avverte ma il cervello non li decodifica, non li riconosciamo come avvertimenti, mentre gli animali sono attenti a coglierli per restare in vita. 

La marmotta è una sentinella infallibile: ritta sulle zampe posteriori, dà l’allarme e un network collaudato ed efficace di differenti animali lo diffonde. Le prede scappano e si precipitano al sicuro; i predatori si immobilizzano, sperando di passare inosservati, o attaccano in velocità, cercando di preva-ricare le prede ormai allarmate. L’istinto non tradisce, non sbaglia. Meglio stare in guardia quando all’orizzonte si scorgono persone o un rapace volteggia in cielo.

Il primo approccio con una comunità di marmotte alpine che si risvegliano gradualmente dopo il letargo invernale si svolge più o meno così. Al primo tepore si sgranchiscono all’imboccatura delle tane, sopra i massi delle praterie che pian piano si riscaldano, sulle pietraie al limite superiore della foresta, dove gli alberi si diradano e sono più piccoli. Sono luoghi dell’anima più che di un turismo di massa, che si offrono ogni anno in primavera ad accogliere un numero esiguo di visitatori di inizio stagione in queste oasi di natura selvatica e di tranquillità, di grande effetto empatico.

Gli alti pascoli alpini sono il luogo ideale dove osservare le marmotte, gli iconici roditori di casa nelle Alpi svizzere e italiane, che escono dal periodo di ibernazione invernale nei mesi di maggio-giugno, a dipendenza dell’altitudine, dal piano subalpino sino a lambire quello nivale. Qui le piante sono scarse, ma graminacee e ciperacee nascondono sottoterra lunghi fusti e radici, necessari per superare i rigori invernali e la siccità estiva. Sono risorse alimentari importanti e ghiotte per le marmotte, consumatori primari negli ecosistemi in cui vivono e, a loro volta, prede essenziali per specie di rapaci minacciate di estinzione – quali l’aquila reale e il gipeto – e della volpe. 

La funzione ecologica delle marmotte nelle praterie alpine è oggetto di studi interessanti: nutrendosi prevalentemente di erbe e graminacee, di trifoglio alpino, germogli e radici, esse ne riducono la dominanza e creano le condizioni per la sopravvivenza di specie arboree più rare e delicate.

Vivono a terra e sotto terra, in cunicoli dotati di diverse stanze, collegate da gallerie sotterranee, che sono scavate con i lunghi e robusti artigli. Si estendono una decina di metri e hanno vari accessi, per consentire una fuga sicura in caso di pericolo. L’orientamento delle aperture è generalmente rivolto a sud, per ridurre l’impatto dei venti freddi e ottimizzare lo scambio termico interno/esterno nei versanti maggiormente soleggiati, oltre ad avere una particolare inclinazione, onde evitare di essere allagate durante le piogge. 

Le tane delle marmotte sono come le nostre abitazioni. Se si trovano in un buon territorio, vengono tramandate di generazione in generazione o sono occupate da nuove comunità che si sostituiscono alle precedenti. La struttura delle tane è complessa e l’interconnessione delle varie stanze è importante, poiché le marmotte trascorrono sottoterra la maggior parte della vita. L’entrata della tana principale è larga circa trenta centimetri ed è sovrastata da una roccia su cui si ergono le sentinelle durante la guardia. Le tane ausiliarie sono di dimensioni più contenute e sono collegate da tunnel. 

Ci sono anche rifugi temporanei disseminati sul loro territorio, in cui infilarsi a capofitto quando avvertono pericoli imminenti. La tana invernale è scavata più in profondità rispetto a quella estiva, e viene riempita con fieno ed erba secca, per proteggersi dalle temperature più rigide e trascorrere il letargo. Quando il gruppo familiare si ritira nella tana invernale, l’entrata viene chiusa dall’interno, con sassi e terriccio, per consentire agli animali di mantenere la temperatura corporea al di sopra di quella ambientale.

Non soltanto la quantità, ma la qualità del grasso corporeo delle marmotte ha una valenza nella termogenesi (processo metabolico con il quale si crea calore). Le marmotte (e i mammiferi in generale) sono animali omeotermici, cioè in grado di mantenere costante la temperatura interna negli organi vitali tramite l’eccitazione indotta dal freddo in un letargo profondo. Con il diminuire della tem-peratura ambientale, l’organismo attua alcuni processi per aumentare la produzione di calore e diminuirne la dispersione, ad esempio l’intensificazione dei processi ossidativi e la vasocostrizione periferica. La qualità di tessuto adiposo bruno è essenziale poiché sfrutta una molecola proteica (proteina disaccoppiante UCP) per «bruciare/ossidare» gli acidi grassi (trigliceridi) e produrre calore. La distribuzione anatomica del grasso bruno e lo scambio di calore in controcorrente vascolare sono funzionali a riscaldare gli organi vitali del torace, dei segmenti cervicali e toracici del midollo spinale. Durante il letargo, la massa intestinale si riduce di volume, per limitare la richiesta energetica. Ne deriva che l’alimentazione durante i mesi estivi è di vitale importanza per accumulare le scorte necessarie alla sopravvivenza nei mesi invernali. 

Le marmotte alpine sono territoriali e vivono in gruppi familiari, formati da una coppia dominante e riproduttiva, i cuccioli nati nell’anno e alcuni subadulti nati negli anni precedenti. Gli individui che non appartengono alla famiglia normalmente vengono scacciati. Non si riproducono ogni anno, poiché il dispendio energetico del crescere le cucciolate non può essere soddisfatto quando le condizioni ambientali non sono ottimali. Ad esempio, quando l’inverno è molto rigido e le praterie restano innevate più a lungo, questi roditori hanno difficoltà a reperire il cibo. 

L’asperità degli ambienti in cui vivono gioca un ruolo fondamentale nel loro comportamento sociale, e le avversità – così come l’isolamento – ne influenzano il comportamento. Le marmotte alpine vivono in piccoli gruppi, dove l’integrazione, l’aiuto, l’indipendenza e una gerarchia ben definita sono elementi che influiscono sulla durata della loro vita. In particolare, i ricercatori ritenevano che le sentinelle fossero svantaggiate rispetto al resto della comunità, poiché trascorrono molto tempo di guardia, mentre gli altri membri si alimentano o giocano, consolidando la gerarchia del gruppo. I ricercatori assumevano che le sentinelle fossero più a rischio di essere predate, mentre uno studio più recente (Clutton-Brock e al.) ha rilevato che esse hanno un vantaggio temporale non indifferente, potendo scorgere per prime i predatori e pertanto rifugiarsi nei cunicoli ben prima degli esemplari intenti a nutrirsi o socializzare.

Capire le logiche che regolano queste comunità è altrettanto affascinante che osservare questi buffi e simpatici roditori mentre giocano a rincorrersi o se ne stanno placidamente a riposare sulle pietraie.