Microscopia a scuola (Martucci)

La scienza nell’epoca delle fake news

Scuola – Viviamo in tempi di facile accesso alle informazioni ma solo una solida educazione scientifica accessibile a tutti è in grado di gettare un ponte tra scienziati e popolazione
/ 23.07.2018
di Marco Martucci

I membri della Flat Earth Society, Società della Terra piatta, sostengono che la Terra non è sferica ma è piatta. Hanno un sito internet dove potrete trovare la risposta a ogni vostra domanda. Un altro gruppo interessante è quello dei «Chemtrails»: secondo loro, pure ben presenti in internet, fra le consuete scie di condensazione degli aerei ad alta quota, s’infiltrano «scie chimiche» non ben precisate, prodotte da un complotto internazionale che mirerebbe a impossessarsi del potere globale o a mettere in qualche modo in pericolo l’umanità. Possono far sorridere ma sono due esempi di come temi scientifici possano essere trattati in modi che di scientifico non hanno nulla. Viviamo in tempi di facile accesso all’informazione e questo è certamente un fatto molto positivo. Possiamo accedere agli open data, a informazioni aperte a tutti; dai grandi centri di ricerca, dalle università, possiamo ottenere dati sul clima, sull’alimentazione, sulla salute. Ma non ogni fonte è ugualmente affidabile e fra le informazioni si celano fake news, notizie false, diffuse per errore o con intenzione. I temi non sono tutti innocui come la Terra piatta o le scie chimiche ma questioni ben più rilevanti, che comportano scelte personali o politiche di ampia portata. 

Qualche esempio: i mutamenti climatici come conseguenza delle attività umane, la dannosità per la salute o per l’ambiente degli OGM, la sicurezza dei vaccini, per citarne solo tre. Sono tre temi chiaramente scientifici che in un sistema democratico possono richiedere scelte anche politiche. E c’è l’impressione che la voce della scienza, dei ricercatori, faccia un po’ fatica a farsi sentire. Non che il rispetto per gli scienziati sia diminuito, ma la gente si fida meno anche perché è più informata e sente tante campane diverse. Le verità scientifiche si dimostrano non con le parole o con i «credo che» ma con i fatti, le misure, gli esperimenti. Come iniziò a fare quattro secoli or sono il grande Galileo Galilei che si attirò la condanna del potere d’allora. Anche i medici non hanno vita facile: non di rado il paziente arriva con la «sua» diagnosi già fatta, dopo ampie navigazioni fra google e wikipedia. 

Scienziati e medici cercano la via più adatta, il tono più convincente per far passare le loro motivazioni nate non da superficiali escursioni sulla rete o su qualche pubblicazione popolare, ma da anni di studi e di ricerche. Accanto a questa difficoltà di comunicazione fra scienza e popolazione, la cui soluzione sta forse anche in un nuovo modo di dialogare, c’è, almeno in Svizzera, un altro problema. In un rapporto del 2010, il Consiglio federale denunciava una grave carenza di personale specializzato, una penuria di diplomati – particolarmente donne – in scienze matematiche, informatiche, naturali e tecniche, in breve nel cosiddetto settore MINT, una minaccia per la nostra economia e il benessere della Nazione. Questo grido d’allarme non è caduto nel vuoto e da più parti si sono avute reazioni e si sono prese misure per contrastare questa tendenza, fra le quali il promovimento dell’educazione scientifica per rendere più attrattivo il settore MINT con tutte le sue professioni e per aumentare la cosiddetta scientific literacy, una base di sapere scientifico nella popolazione. 

Nel contempo, l’educazione scientifica è una, forse la più efficace strategia per gettare un ponte fra scienza e popolazione. È un’educazione per ogni età, praticabile in modo anche informale da attori extrascolastici, come già da tempo avviene. Ma il luogo privilegiato per una profonda, non puntuale bensì sistematica educazione scientifica formale è la scuola. Per restare entro i nostri confini, quelli cantonali che c’interessano da vicino, la nostra scuola pubblica è ben attrezzata anche per l’educazione scientifica, inserita nei programmi, in particolare dal secondo ciclo – terza, quarta e quinta elementare – in avanti. Il momento ideale per educare alla scienza è il terzo ciclo, quello della scuola media. Per almeno due ragioni: ci passa tutta la popolazione e gli allievi sono abbastanza grandi da poter comprendere temi scientifici di una certa complessità e inoltre hanno ancora quella fresca curiosità del bambino, capace di meraviglia e passione. 

Da anni ormai l’insegnamento delle scienze naturali è fondato sul concetto delle «scienze integrate», che evita la distinzione, tipica dei licei, fra chimica, fisica e biologia. Ancor più importante è la modalità di apprendimento delle scienze naturali che non è nozionistico e cattedratico, non solo almeno, ma è soprattutto basato sull’esperimento, sulla misurazione, sull’osservazione compiuta dall’allievo, un atteggiamento, si direbbe oggi, di problem solving, di ricerca di risposte a una o più domande, com’è nello spirito del metodo scientifico. Questo è essenziale perché si vuol far comprendere all’allievo che la scienza non è una serie di dati da mandare a memoria, non solo almeno, ma un vero e proprio atteggiamento. Un obiettivo che traspare in modo evidente e chiaro dal nuovo e attuale Piano di studio della scuola dell’obbligo ticinese. Eccone qualche stralcio. Un allievo, alla fine della sua scolarità obbligatoria dovrà essere in grado di «apprezzare la bellezza e la raffinatezza della natura, della scienza e della tecnica, avere un’idea di cosa sia la scienza e di come funzioni». Fra i processi chiave da sviluppare ecco «domandare e indagare», «utilizzare informazioni», «valutare e giudicare» e, fra i «saperi irrinunciabili», evoluzione e selezione naturale, biotecnologie, chimica e tecnologia, fonti di energia. 

Obiettivi elevati? Certamente. Ma raggiungibili attraverso la curiosità e l’impegno degli allievi e il paziente e competente lavoro dell’insegnante.

Informazioni
www.educamint.ch
www.ti.ch/pianodistudio