La Scendruràta è Cenerentola, solo che qui ha il papà in Svizzera interna, fa tre balli e la terza sera il principe le mette un anello di nascosto nel bicchiere. È la versione di Jolanda Bianchi Poli, di cui una scelta di bellissime fiabe e altre storie è appena stata pubblicata per le edizioni Ulivo dall’antropologa Veronica Trevisan (da questa raccolta abbiamo tratto la fiaba pubblicata a pag. 2, ndr.).
«Ho selezionato alcuni tra i più bei racconti di Jolanda (1921-2011) per farli rivivere; io li ho sentiti in una registrazione degli anni Ottanta e sono eccezionali», spiega Veronica Trevisan. «Jolanda era conosciuta a Brusino Arsizio, narrava ai bambini e agli adulti, sapeva fiabe, leggende, filastrocche e non perdeva occasione per condividerle. Era una che usava voce, mimica e fantasia personale per arricchire storie antiche che le erano state raccontate». Si racconta nell’introduzione che imitava il vento e i versi degli animali, dava un carattere a ogni personaggio e interveniva con sue esclamazioni (Oh Madòna, Oh pora mì...); le piacevano le rime, le onomatopee, godeva essa stessa del racconto e spesso si interrompeva per ridere o fare commenti, cercando la complicità di chi le stava davanti, come fanno i migliori narratori. Nel volume Fiabe di Jolanda Bianchi Poli si trovano dodici storie trascritte in dialetto, pari pari a come sono uscite dalla bocca della raccontastorie, e la loro traduzione in italiano. Sono spassose, meravigliose, lasciano intuire la personalità di Jolanda; sono intrise di attualizzazioni e riferimenti alla realtà circostante, come la Madonna al posto della fata nel bosco, la fontana di Brusino, i gatti del paese e così via.
Ma l’originalità dei suoi racconti non sta solo nel fatto che lei, Jolanda, modificava le storie sentite: per lo studioso di folclore, leggere o sentire queste versioni è importante perché si viene a conoscere un altro repertorio tra quelli già registrati. Si sa che le fiabe circolano dalla notte dei tempi in forme numerose ma non poi così diverse (la matrice di Cenerentola è pur sempre quella: una poveretta che sta nel camino, viene nascosta da una matrigna e aiutata da una madrina ad andare al ballo, dove conosce il principe e si sposa). Le versioni che conosceva Jolanda arrivano da lontano: da un padre che viaggiava per il mondo, da una maestra che si interessava di fiabe, dalla madre che le tramandava oralmente un patrimonio ricco che si protrae di bocca in bocca, modificandosi ma mantenendo un nucleo universale che appartiene al genere della cosiddetta «fiaba di magia».
«Il mondo magico di Jolanda inizia fuori dalla porta di casa sua e prosegue nella piazza del paese o nei borghi, nelle campagne vicine, sulle rive del lago di Lugano e in cima alle sue montagne...», racconta ancora Veronica Trevisan, laureata in Lettere Classiche prima e Antropologia poi, con una tesi proprio sulla narratrice di Brusino Arsizio. «I protagonisti dei suoi racconti sono persone comuni: pescatori, mugnai, boscaioli, mercanti e ambulanti, carbonai, vetrai, mariani, cacciatori e calzolai. Dai suoi racconti emerge anche la sofferenza della vita degli emigranti: i suoi eroi aspirano a trovar fortuna, ma non si tratta di ori e palazzi, bensì piuttosto di un cappotto per l’inverno, cibo, una casa». Il sogno della studiosa sarebbe quello, con il professore che l’ha seguita, Glauco Sanga, di pubblicare un giorno tutto il repertorio di Jolanda Bianchi Poli. «Purtroppo io non l’ho incontrata di persona, ma in Ticino c’è una grande studiosa di fiabe, che molti conosceranno: Pia Todorovic; ed è proprio lei che negli anni Ottanta ha registrato cantafiabe, narratori, artisti di strada che conoscevano storie, aneddoti, filastrocche e le raccontavano nelle piazze, nelle stalle, accanto ai camini la sera, mentre le donne filavano. Quando poi i bambini andavano a letto, a sera inoltrata, si passava alle storie di paura, o addirittura a quelle piccanti: Jolanda ne aveva tutto un repertorio!».
Il racconto è sempre stato un elemento fondante per le comunità umane: ascoltiamo e inventiamo intrecci per trovare un senso alla nostra presenza nel mondo, per spiegare il mistero della vita e della morte, per sentirci parte di un destino comune e per crescere. In questo libro di «antiche storie» si può imparare senza pesantezza, per esempio, che la modestia, l’amore per il lavoro e il rispetto degli altri valgono più di qualsiasi magia. Che ci sono le prove da superare ma che queste sono superabili; che abbiamo risorse dentro di noi per affrontare la vita e le sue ombre, ma che abbiamo anche bisogno degli incontri con persone che ci aiutano e ci affiancano, lungo il cammino che percorriamo. «Certo, ai tempi di Jolanda si sentivano fiabe di giorno con le maestre d’asilo, nei boschi a pascolare capre, dopo una giornata di lavoro, nelle stalle alle veglie serali, mentre si girava l’arcolaio o si cuciva la dote, in osteria, al mercato, alle feste religiose... ma anche oggi, anche se forse non ci sembra, siamo attorniati da storie. Per esempio il Cinema ne è un grandissimo portatore. La letteratura, i videogiochi, le serie televisive. E anche queste forme vanno bene», conclude Veronica Trevisan, «purché la fiammella – anche virtuale – del camino resti accesa».
Veronica, che in passato ha curato anche una mostra sulla fiaba al Museo della Civiltà Contadina di Stabio, ha già presentato la sua raccolta di fiabe a Brusino Arsizio. «Mi piacerebbe che Jolanda non andasse dimenticata; penso che il suo ruolo fosse importante, non solo come passatempo, ma per dare valore all’immaginazione e alla fantasia umana. Le fiabe ce lo ricordano in continuazione: possiamo sperare in un futuro di realizzazione. Potremo vivere felici e contenti, anche se troveremo davanti a noi il “male”, perché lo supereremo. Per i bambini, ma anche per noi adulti, è fondamentale e benefico ricordarcelo».
La Scendruràta di Brusino
Pubblicazioni – Le fiabe di Jolanda Bianchi Poli raccolte in un libro che fa rivivere la magia dei raccontastorie
/ 20.12.2021
di Sara Rossi Guidicelli
di Sara Rossi Guidicelli