Gli ospedali ticinesi ritornano gradualmente alla quotidianità dopo l’emergenza Covid-19: La Carità di Locarno e l’Italiano di Viganello riprendono quindi l’attività chirurgica elettiva (precedentemente sospesa) anche per i pazienti non Covid-19. Chiusura e riorganizzazione dell’intera rete ospedaliera, pubblica e privata, si erano rese necessarie per combattere in modo opportuno questo virus e non far trovare impreparata la nostra sanità a cui è stata richiesta la massima vigilanza nel raggiungimento del tanto atteso «picco», come è successo poche settimane fa.
Un picco artificiale che non assicura l’immunità di gregge, ma permette alla popolazione di ammalarsi in modo progressivo così da essere curata adeguatamente dal sistema sanitario riorganizzatosi per questo. «Dovremo imparare a convivere col virus, alcune misure di igiene e distanziamento sociale dovranno entrare a far parte della nostra quotidianità come già è in nazioni come il Giappone dove, ad esempio, la distanza sociale, non starnutire e non toccarsi sono sinonimo di grande educazione e civiltà» dice il professor Paolo Merlani, direttore sanitario dell’Ospedale Regionale di Lugano. Dall’inizio dell’emergenza è alle redini dell’organizzazione sanitaria della Medicina Intensiva ticinese per affrontare i veloci e grandi cambiamenti. Prima e dopo il raggiungimento del picco, lo abbiamo incontrato per capire come la sanità abbia affrontato l’intera situazione, e quali risorse sanitarie siano state poste in atto perché tutti, ammalati di Covid-19 e non, possano sempre ricevere in tutta sicurezza e completezza le cure appropriate.
«La diffusione del virus continuerà, e dovremo capire come si propagherà una volta allentate le misure: qualcuno si ammalerà, qualcuno avrà bisogno di essere ricoverato in ospedale, e pian piano si andrà verso l’immunità di gregge» spiega Merlani sottolineando l’importanza di tenere sotto controllo le nuove ondate il cui picco potrebbe essere «più grave del precedente».
Ammette la difficoltà di prevedere quando tutto sarà davvero alle spalle: «Dipenderà dall’allentamento e dalla restrizione a singhiozzo delle misure (ndr. politiche), come si fa con l’acqua di una diga, e dall’incognita della scoperta di un vaccino». Con questa chiara premessa, parliamo delle ansie e paure della popolazione di recarsi in ospedale, della difficoltà di capire le differenze fra quelli che abbiamo imparato a conoscere come ospedali dedicati alla cura di pazienti covid positivi, e gli ospedali liberi da Covid-19. Durante la prima chiusura, puntualizza Merlani, «bisogna informare adeguatamente e rassicurare gli ammalati che si tengono alla larga da medici e ospedali col timore di essere infettati e i pazienti cronici come ad esempio diabetici, cardiopatici e via dicendo, che non recarsi all’ospedale per l’infondato timore di contrarvi il virus comporta il rischio di conseguenze negative sullo stato di salute e magari arrivare troppo tardi». Ribadisce che, nonostante l’epidemia, all’ospedale (e sicuramente pure negli studi medici) ci sono sempre risorse sufficienti e soprattutto un ambiente sicuro per chi necessita di cure, se sono davvero necessarie.
In merito alla prima riorganizzazione avvenuta in un incredibile minimo lasso di tempo della sanità, ribadisce che, anche all’inizio dell’emergenza, sarebbe comunque stato sbagliato considerare separati il «mondo covid» dal «mondo non covid» ospedalieri: «Abbiamo ridisegnato tutto il sistema sanitario. Non è, infatti, possibile immaginare due sanità distinte: per questo gli ospedali preposti a cure di pazienti non covid sono stati riorganizzati per permettere agli avamposti di Moncucco e Locarno di prendersi cura dei pazienti covid positivi. È stata inoltre creata una task force di Cure intense che ha coordinato in modo strettamente legato il funzionamento delle due realtà di cure intense covid e non».
Sanità pubblica e privata hanno collaborato allo stesso tavolo verso un unico obiettivo. Il modo di curare è essenzialmente cambiato nella riorganizzazione e nello spostamento del personale medico-sanitario, garantendo l’eccellenza delle cure in ogni ambito: «Abbiamo dovuto ripensare a un sufficiente numero di posti di ventilazione e covid intubati, sulla base delle cifre di Cina e Italia. In questo primo tempo, i modelli ci hanno portato a realizzare 107 posti per pazienti covid intubati e per 29 pazienti non covid intubati allo scopo di coprire un’onda, la più alta possibile, a fronte dei circa 51 posti di Cure intense disponibili prima in tutto il Cantone».
Ma la difficoltà dell’esercizio non stava nel moltiplicare le apparecchiature, bensì, «bisognava creare in tempo record i locali con monitoraggi, disporre di farmaci che vanno esaurendosi in fretta, delle protezioni per il personale difficili da reperire e, ancor più essenziale, avere personale medico-infermieristico altamente qualificato i cui turni sono passati da 8 a 12 ore». La sanità ticinese ha dimostrato un’unità di intenti mai immaginata prima: «In due settimane abbiamo attuato questi cambiamenti rivoluzionari, spostando personale medico e sanitario in modo da razionalizzare e rendere le cure efficaci per tutti i pazienti». Essenziali restano sempre prudenza e disciplina della popolazione, aperture e chiusure ragionate, parziali e coordinate per contenere i contagi in modo da poter curare le persone. Merlani riassume: «In fondo, nel funzionamento sanitario globale della prima fase di riorganizzazione ed emergenza, covid e non covid sono stati una sola cosa; gli ospedali non covid sono sempre stati sicuri e controllati; la disinfezione e pulizia di locali comuni e di cura continua è stata assicurata; le malattie croniche sono state curate adeguatamente e per tempo».
Oggi si va, come detto, verso il graduale ritorno alla normalità. Arrivasse un secondo picco e la relativa emergenza, ci viene assicurato che in 48 ore la sanità risponderebbe e si riorganizzerebbe come già ha fatto. Il poi: «Sarà uno stimolo per la ricerca soprattutto sugli antivirali. Alla luce di quanto viviamo, dovremo forse riconsiderare il sistema sanitario ottimizzandone le risorse e preparando uno stato di prontezza perenne a simili eventi sanitari. Il messaggio per tutti noi: l’uomo moderno non è invulnerabile, la sanità può contenere tanto ma non tutto come erroneamente si pensava».
Merlani non si esime dal confidarci un intenso ricordo: «Quando erano paventate le chiusure delle frontiere, medici e sanitari frontalieri si sono presentati la notte prima per poter prendere comunque servizio, consci che il sistema sanitario ticinese sarebbe crollato senza il loro contributo. Non dimenticherò quella grande generosità. Dovremo continuare a collaborare tutti così, come ora, e le frontiere non dovrebbero più essere un tema».
La sanità ticinese si reinventa
Covid-19 - L’emergenza coronavirus ha abbattuto le barriere a favore dell’unità di intenti
/ 11.05.2020
di Maria Grazia Buletti
di Maria Grazia Buletti