«Gli editori non hanno futuro, il giornalismo sì», ha detto di recente Hansi Voigt, fondatore del portale di informazione Watson. Sarà per questo che ha appena lanciato Wepublish, portale opensource indipendente per la pluralità dei media. A conferma, dopo il successo della campagna crowdfunding di «Republik» nella Svizzera tedesca e il lancio di «Bon pour la tête» in Svizzera romanda, che il panorama mediatico svizzero è in forte fermento, alla ricerca di nuove identità e ragioni d’essere. E non solo chi fa giornalismo guarda a nuove strade, anche i lettori sempre di più si interessano del futuro del giornalismo di qualità mentre si disamorano delle testate dei grandi gruppi editoriali troppo spesso intenti a tradire il patto di fiducia in nome della velocità, dei tagli o dei raggruppamenti come dimostra la notizia di questi giorni del colosso Tamedia, che ha annunciato che dal 2018 due sole redazioni, una tedesca e una romanda, si occuperanno di scrivere le principali rubriche per tutti i 17 giornali del gruppo.E se per ora non ci sono licenziamenti, c’è comunque da preoccuparsi per la pluralità di pensiero e di visioni vitali per il processo democratico.
Ma l’ecosistema mediatico svizzero, come detto, vede affacciarsi alcune novità all’orizzonte, tra queste un nuovo progetto, il Think Thank «Nouvelle Presse», volto a promuovere e a diffondere una stampa di qualità al servizio della democrazia. Di cosa si tratta e del perché nel nostro Paese ci sia bisogno di una nuova stampa, ce lo spiega Fabio Lo Verso, tra i membri del Think Thank, direttore del giornale «La Cité» e membro del Consiglio di Fondazione della qualità dei media di Zurigo.
Fabio Lo Verso, del concetto di una nuova stampa si parlava già qualche anno fa, ora però grazie al Think Thank «Nouvelle Presse» ha preso forma. Di cosa si tratta?
Intanto c’è molta prudenza da parte dei grandi professionisti che hanno aderito al progetto, tanto è vero che il sito in calce recita «Fondation Nouvelle Presse (en création)». Il Think Thank di fatto è una realtà, al resto ci stiamo lavorando. L’idea è di creare delle redazioni della «Nouvelle Presse», redazioni che fanno giornalismo di pubblica utilità. In altre parole, l’attuale gruppo di 12 membri, una volta trasformatosi in fondazione, cercherà dei fondi per creare piccole strutture giornalistiche che lavorano senza pubblicità.
Non sarà tutta qui la novità, un giornalismo senza pubblicità?
Le testate come le abbiamo conosciute fino ad oggi spariranno, saranno poche, in futuro, a sopravvivere. Cosa faremo dei qualificatissimi giornalisti che rimarranno senza lavoro (molti lo sono già adesso)? La «Nouvelle Presse» ha questa vocazione: ricostruire una parte del paesaggio mediatico abbandonato dalle strutture industriali. Per una questione di mezzi non arriveremo a rifare i giornali come sono oggi e non punteremo a fare dei giornali per attirare il pubblico o gli inserzionisti.
Quanto detto fin qui ricorda l’esperienza di «ProPublica», è così?
Assolutamente: la grossa differenza è che loro hanno iniziato grazie alla generosità di due miliardari che hanno messo sul piatto dieci milioni di dollari l’anno. Noi vorremmo che questi soldi fossero sostituti da duemila cittadini impegnati a sostenere la pubblica utilità del giornalismo. Per il resto abbiamo la stessa filosofia, «ProPublica» finanzia e produce inchieste di servizio pubblico. È questo il vero scopo del giornalismo e noi lavoriamo in questa ottica, cerchiamo un finanziamento per produrre inchieste, analisi, servizi, reportage di pubblica utilità. Gli abbonati cittadini non hanno mai finanziato la stampa, se si guarda il bilancio dei giornali degli ultimi 40 anni, i proventi legati all’abbonamento sono il 10%. Il resto è tutta pubblicità e derivati.
Il successo della campagna crowdfunding di «Republik» dice che qualcosa sta cambiando, non crede?
«Republik» ha un finanziamento misto come lo vorremmo anche noi della «Nouvelle Presse» e come lo abbiamo a «La Cité»: un certo numero di abbonati, il resto sponsor, persone e non marche, che possono versare un massimo di 1000 franchi per evitare capitali dominanti. Quando «Republik» formerà la sua redazione le dimensioni non saranno quelle del «Tages-Anzeiger» o della «Tribune de Genève». Con «Republik», «Nouvelle Presse» e altre realtà, passeremo da uno stadio industriale a una dimensione artigianale. Le redazioni avranno una ventina di giornalisti che però produrranno una qualità pari a quella dei titoli tradizionali.
La «Nouvelle Presse» sarà solo in lingua francese?
Il progetto ha una vocazione nazionale. Immaginiamo che ci sia un entusiasmo largo in tutto il Paese per questo tipo di progetto, si faranno anche giornali in tedesco e italiano. Tutto dipende dall’accoglienza che otterremo e dallo spazio. È un progetto di grande utilità pubblica proprio perché il ruolo pubblico dei giornali nel sistema tradizionale si sta indebolendo in maniera preoccupante.
Hansi Voigt dice che il giornalismo ha un avvenire, gli editori no. È d’accordo?
L’ecosistema mediatico è in crisi da tempo. L’idea di «Nouvelle Presse» parte dall’analisi fatta qualche anno fa dal Consiglio federale secondo cui il paesaggio della stampa si stava riducendo in maniera drastica. Oggi gli editori preferiscono sviluppare intrattenimento e informazione ma omettono di dare gli strumenti giusti al giornalismo, quelli che consentono ai giornalisti di fare una verifica lenta, un’analisi, di avere una comprensione posata e radicata delle cose. Vogliamo entrare in questo paesaggio industriale, prendere le parti che sono state abbandonate e installarvi delle piccole redazioni che fanno unicamente giornalismo utile alla democrazia. «La Cité» è un progetto sperimentale che ci ha dato diverse indicazioni importanti su come sviluppare una sorta di area che fa quanto dice Hansi Voigt: scommette sul giornalismo.
Come finanzierete la «Nouvelle Presse»?
Sarà uno spazio artigianale in cui gli editori sono i lettori. Poi cercheremo il contributo dei poteri pubblici. Immaginiamo delle piccole redazioni di una decina di persone che non costerebbero molto, un milione e mezzo, due al massimo, all’anno. In questo senso il progetto sperimentale de «La Cité» negli ultimi anni ci ha fatto capire come fare affinché i lettori diventino editori e partecipino attivamente al giornale. È importante coinvolgerli nel processo, far capire loro cosa significa fare un articolo di qualità.
«Republik» partirà a inizio 2018 «Bon pour la tête» è già online. Si tratta di meteore o il paesaggio mediatico muterà sempre più in questa direzione?
Ci sono due forze: quella che riduce il paesaggio industriale e una reattiva che dice no! E qui entrano in gioco i lettori, quelli che hanno sostenuto «Republik», lo hanno fatto perché vogliono un giornalismo diverso, bastioni come il «Tages Anzeiger» o la «NZZ» non gli bastano più. E, diversa mente da quanto ci ha fatto credere il marketing negli ultimi 40 anni, quello del lettore è un concetto importante.Non parlo di clienti, curiosi: il lettore è qualcuno per il quale lo strumento di scrivere, analizzare la realtà, è un’attività fondamentale, vitale per gli assetti democratici. È questa la forza alla quale punta «Nouvelle Presse», la stessa che «Republik» ha colto in maniera magistrale. In futuro ci saranno sempre più iniziative di questo tipo, serviranno dei criteri di analisi per poterne valutare la portata e l’impatto.