La ragnatela che ti imprigiona e la rete che ti salva

Adolescenti – Intervista alla giornalista e scrittrice Sara Magnoli autrice del romanzo per ragazzi Dark Web
/ 13.06.2022
di Roberto Porta

«L’intimo, vorrei vederlo» scrive in chat il «ragazzo del destino» in uno scambio di messaggi la cui destinataria è Eva, una ragazza di quattordici anni che sogna di diventare una influencer. Ed Eva confessa a sé stessa la sua incapacità nel resistere alla tentazione: «Una forza misteriosa spinge la mia mano ad aprire la zip della felpa». E così alla prima fotografia ne seguiranno altre, sempre più audaci e sempre indirizzate a lui, il «ragazzo del destino» che promette di aprire le porte giuste per permetterle di sfondare nella carriera che tanto la fa sognare. Un rapporto virtuale e spregiudicato attorno al quale ruota il romanzo per adolescenti Dark Web, della scrittrice e giornalista varesina Sara Magnoli. Un racconto, un giallo per ragazzi che può di certo essere molto utile anche agli adulti, in particolare ai genitori, quando vedono i loro figli attraversare l’età dell’adolescenza. Ma perché, chiediamo all’autrice, questo titolo Dark Web? Perché scrivere un racconto che scandaglia il lato più oscuro della grande rete di internet? «Eva di per sé non va nel dark web ma nel dark web finiscono le sue foto. Il titolo in realtà non l’ho scelto io ma mi è stato proposto dalla casa editrice. Visto che si tratta di un giallo, di un crimine che si svolge nel dark web questo titolo calza davvero a pennello. La parola web ha poi una doppia valenza, è la ragnatela che ti imprigiona ma è anche la rete che ti salva. Dark non è solo la parte oscura di questa rete ma rappresenta anche le zone d’ombra e le debolezze di molti dei personaggi di questo mio racconto. E quindi quel titolo mi sembrava azzeccato perché dava più interpretazioni, più possibilità di lettura».

Il racconto che vede protagonista Eva ha un lieto fine, malgrado un percorso che la porta dentro il ventre oscuro di Internet e la spinge persino ad accettare un appuntamento al buio in un albergo malfamato, e non di lusso come promessole in chat. Seppur a fatica questa ragazza quattordicenne riesce a salvarsi grazie ai genitori e ai suoi amici, anche se a molti di loro tutta questa vicenda rimane a lungo nascosta. Vista la reazione di Eva, viene dunque da chiedersi quanto sia diffusa nei giovani la consapevolezza dei pericoli che si celano nella grande rete. «Tra ragazzi questa consapevolezza si sta sviluppando, sta crescendo – fa notare Sara Magnoli – E questo anche grazie all’impegno della scuola, che organizza regolarmente giornate di sensibilizzazione. Al di là di questo noto che, tra i ragazzi che incontro quando vengo invitata a parlare di questo argomento, c’è voglia di conoscere di più, di non essere degli sprovveduti. E questo perché c’è una percezione sempre più diffusa dei rischi che si corrono, e quindi c’è più attenzione. Ma c’è anche il rovescio della medaglia. C’è ancora poca consapevolezza, tra i giovani ma anche tra gli adulti, del fatto che determinati atteggiamenti possano essere motivo di rischio o addirittura di reato. Faccio un esempio: l’avere in memoria sul proprio cellulare delle immagini o dei filmati senza rendersi conto che possono essere oggetto di reato e portare a una segnalazione alla polizia. Su questo tema la soglia di allarme è ancora troppo bassa. C’è invece una maggiore attenzione al rischio in quanto tale, al tentativo di adescamento, ad esempio, o al concedere i propri dati. Detto questo la cosa che più mi preoccupa è il fatto che si stia abbassando l’età dei ragazzi che vengono adescati. E che si stia abbassando anche l’età degli adescatori. Sono aspetti su cui dovremo riflettere perché vuol dire che si sta acquisendo un nuovo modo di rapportarsi in cui non si sa più bene quale sia il limite tra la bravata e il reato, dove finisce lo scherzo e dove invece inizia qualcosa che scherzo non è».

Resta il fatto che c’è anche un altro rischio ormai sotto gli occhi di tutti, quello della dipendenza, del non riuscire a staccare gli occhi e il cervello dagli strumenti che permettono di navigare su internet. «Su questo punto ho visto dei ragazzini delle scuole elementari perdere completamente il controllo perché sarebbero usciti da scuola con 20 minuti di ritardo rispetto all’inizio di una sfida di gruppo su un videogioco. Ed è solo un esempio tra tanti altri. So benissimo che non è semplice gestire il rapporto dei propri figli con le nuove tecnologie. Penso però che sia il caso di dare dei tempi di utilizzo per tutti questi strumenti, soprattutto ai bambini più piccoli, perché emerge proprio una dipendenza da questo mondo spesso basato sul divertimento e sul gioco. Tra l’altro non dobbiamo dimenticare che nel gioco si abbassa anche la capacità di reazione ai rischi, perché stai giocando e quindi non immagini che ci possano essere dei pericoli. Il computer o il telefonino ci fanno vivere questa dimensione virtuale, che in verità è anche molto reale. Non è come guardare un cartone animato, perché sul web tu sei dentro un gioco, sei dentro una chat, ci sei tu, non un’altra persona, e quindi c’è anche una dimensione reale in tutto questo. È essenziale dare dei limiti di tempo, come del resto capitava alla mia generazione con la televisione. Limiti di tempo da indicare ai nostri figli ma da dare anche a noi adulti».

E qui tocchiamo un altro argomento delicato, quello del comportamento degli adulti e nello specifico dei genitori, perché, a ben guardare, il primo cellulare di cui dispone un bambino è quello del papà o della mamma. Dal loro primo vagito i figli vedono i propri genitori con questo strumento in mano, una sorta di chiave segreta che permette l’accesso a un mondo sconosciuto ai più piccoli, ma che esercita su di loro una grande attrazione. «Credo che questo sia vero. Ci accorgiamo un po’ poco che alla fine i ragazzi sono lo specchio degli adulti. Se vedono papà e mamma con il cellulare anche quando stanno mangiando è chiaro che diventa per loro normale comportarsi così. Sono però convinta di una cosa: è forse la prima volta che i ragazzi sono più adulti di noi nell’uso di uno strumento. Loro sanno benissimo quello che c’è nel web, noi adulti lo sappiamo un po’ meno. Le loro competenze sono superiori e questo può anche portarli a mettersi nei pasticci, spesso eludendo i nostri controlli. In altri termini noi adulti abbiamo spesso un uso limitato delle nuove tecnologie, non ci spingiamo così in là nell’affrontare spazi virtuali ad alto rischio». Nella speranza che dal dark web si riesca a stare alla larga, perché in gioco c’è la vita dei ragazzi, e con loro, anche quella degli adulti. Ma in gioco c’è pure la capacità di riuscire a non perdere del tutto il contatto con la realtà. E qui usiamo le parole di Eva, formulate al termine del giallo di Sara Magnoli: «E finalmente scoppiamo a ridere. Perché, a essere sinceri, da quanto tutto è finito, o forse tutto è ricominciato, ho deciso di ricominciare a sorridere». Quel sorriso che era rimasto imbrigliato nelle false promesse di una chat.